venerdì 22 Novembre 2024

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Malika Ayane: “Ho imparato ad osservare vivendo visceralmente il presente” – INTERVISTA

A tu per tu con la cantautrice milanese, in uscita con il suo sesto progetto discografico intitolato “malifesto

Un presente dilatato e contestualizzato al periodo storico che stiamo vivendo, questo è quello che ha voluto raccontare Malika Ayane all’interno suo nuovo album di inediti “malifesto”, rilasciato da Sugar Music lo scorso 26 marzo. Dieci tracce che fotografano diversi stati d’animo dell’artista, che ha deciso di manifestare emozioni e pensieri a suo modo, con l’accurata e appassionata visione che da sempre contraddistingue le sue produzioni.

Ciao Malika, benvenuta. Partiamo da “malifesto”, un disco in cui parli di amore irrazionale, del desiderio di vivere senza sovrastrutture e di altre tematiche sia personali che universali. Quanto hai dovuto scavare, a mani nude e in profondità, per portare alla luce queste dieci canzoni?

«La buona notizia è che invecchiare ha qualche lato positivo (sorride, ndr), per esempio permette di poter aver accumulato delle esperienze, arrivando a guardare le cose in profondità, senza il bisogno di vivere determinate situazioni in quel preciso momento. Conoscere uno spettro di emozioni un po’ più ampio, ci permettere di poterne scrivere con maggiore lucidità, in più ho lavorato in squadra con autori meravigliosi, come Colapesce, Dimartino, Leo Pari e Pacifico. Dal punto di vista testuale, insieme a loro, abbiamo tirato fuori tanti punti di vista differenti, magari anche dello stesso argomento, per cui raccontarlo ha fatto in modo che il ponte tra l’universale e il particolare diventasse un sacco più piccolino».

Ho una curiosità sui titoli che generalmente attribuisci ai tuoi album, perchè ho notato che non c’è mai un pezzo che da, poi, effettivamente il titolo al disco. Come avviene la scelta in generale e com’è avvenuta in questo caso?

«A me piace dare nomi alle cose, infatti non c’è nulla in casa mia che non abbia un nome. Ogni titolo viene scelto sulla base di quello che succede dentro, se “Naif” si riferiva al mio approccio alla vita in quel momento, “Domino” invece stava a simboleggiare come i pezzi, combinati in un modo o nell’altro, possano cambiare oggettivamente la realtà. In questo caso, dato che parliamo del manifestare emozioni ed essendo io la portabandiera di un lavoro collettivo, ho pensato di personalizzare il tutto trasformando il mio nome in un verbo coniugato in prima persona».

Anche questa volta è piuttosto ricorrente il concetto di presente. Quello di “Naif” era un presente quasi senza fine, eterno se vogliamo, mentre in questo album diventa forse più realista. A cosa si deve questa nuova presa di coscienza?

«E’ stato necessario il passaggio per “Domino” e con quello che c’era prima, quindi l’impegno a teatro, ma anche l’avventura televisiva ad X Factor. L’esperienza dell’osservazione mista a quella del vivere visceralmente, ha tirato fuori una capacità sia consapevole che congenita dello stare nelle cose: guardarle mentre le si vive e non per forza scegliere l’una o l’altra. Anche questa si chiama vecchiaia, temo (ride, ndr)».

In realtà si chiama maturità! Sai, ti ho sempre considerata musicalmente filoeuropeista, nel senso che hai spesso attinto culturalmente del nostro continente, in questo disco in particolare dal movimento franco-belga. In un Paese che guarda spesso a riferimenti anglo-americani, da cosa nasce questa passione per la musica più vicina a casa nostra?

«Beh, prima di tutto noi siamo europei. Io dico sempre che l’America è fatta di spazi, mentre l’Europa di appartamenti (sorride, ndr) e devo ammettere che abbiamo una storia musicale davvero antichissima. Per carità, sono una che adora Dylan, Young e tutto il cantautorato canadese, mi piace da matti, però c’è tutta una sensibilità che, secondo me, dipende molto dal nostro modo di vivere gli spazi. Posto che già da qui al Belgio siamo molto lontani, anche per abitudini di vita, penso che l’Europa sia davvero un posto straordinario.

Negli ultimi anni si sta sviluppando una vera e propria identità europea, un movimento che prescinde dall’origine geografica delle persone. Nel mio caso specifico, per una sorta di costrizione al non poter viaggiare, “manifesto” è il mio primo disco che realizzo in Italia dopo tanto tempo. Aver lavorato con due produttori come Antonio Filippelli e Daniel Bestonzo che, come me, sono molto affascinati dalla musica proveniente da tutto il mondo, al punto da riadattarla da noi, secondo me è un ulteriore passo in avanti, oltre che la chiusura di un cerchio».

Sei tornata per la quinta volta a Sanremo, un Festival sicuramente diverso dagli altri, sia per la condizione generale in cui riversiamo, ma anche perchè effettivamente mancavi da quel palco da sei anni. Ce lo fai un bilancio di questa esperienza?

«Ah, io mi sono divertita tantissimo! Ho fatto esattamente quello che volevo e l’ho fatto bene, senza falsa modestia. Mi sono detta: “dopo quasi quindici anni, dobbiamo ancora spiegare alla gente che so cantare?”, posso non piacere, ma quello non possiamo metterlo in dubbio. In più, “Ti piaci così” parla anche di questo, ha dei contenuti per cui se non sei la prima ad andare a goderti la serata, meglio stare a casa in pigiama a guardare il Festival con 5 kg di popcorn, cosa che ho comunque fatto il martedì (ride, ndr)».

Per concludere, alla luce di tutto quello che ci siamo detti, qual è l’insegnamento più importante che senti di aver appreso dalla musica fino ad oggi? Hai una particolare lezione che ti porti dietro?

«Assolutamente sì, ce l’ho: mentre seminiamo… stiamo già raccogliendo. Anche qui, c’entra sempre con il presente, se le canzoni durano tre minuti e ci tengono su per quei tre minuti, noi è lì che dobbiamo trovarci, bisogna sempre essere presenti in tutto quello che stiamo facendo».

Malika Ayane

© foto di Julian Hargreaves

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Nico Donvito

Nato a Milano nel 1986, è un giornalista attivo in ambito musicale. Attraverso il suo impegno professionale, tra interviste e recensioni, pone sempre al centro della sua narrazione la passione per la buona musica, per la scrittura e per l’arte del racconto. Nel 2022 ha scritto il libro "Sanremo il Festival – Dall’Italia del boom al rock dei Måneskin" (edito D’idee), seguito da "Canzoni nel cassetto" (edito Volo Libero), impreziosito dalla prefazione di Vincenzo Mollica, scritto a quattro mani con Marco Rettani. L'anno seguente, sempre in coppia con Rettani, firma "Ho vinto il Festival di Sanremo" (edito La Bussola), con introduzione curata da Amadeus e il racconto di trenta vincitori della rassegna canora. Tale opera si è aggiudicata il Premio letterario Gianni Ravera 2024.