A tu per tu con il cantautore milanese classe ’98, in uscita con il suo album d’esordio intitolato “Kintsugi“
A qualche mese di distanza dalla nostra precedente chiacchierata, ritroviamo con piacere Antonio Guadagno, meglio conosciuto con lo pseudonimo di Manfredi, artista che abbiamo imparato a conoscere con il singolo “Hollywood” e che continuiamo ad apprezzare con “Kintsugi“, l’album che segna il suo debutto discografico.
Ciao Antonio, bentrovato. Partiamo da “Kintsugi”, cosa hai voluto raccontare in questo che, di fatto, è il tuo biglietto da visita musicale?
«Essendo “Kintsugi” il mio primo disco, ci tenevo che fosse intimo e personale, così da farmi conoscere come persona e non solo come artista. Le canzoni raccontano di quelle esperienze che più hanno segnato la mia adolescenza, dalla fine del primo amore all’ansia del “cosa farò dopo il liceo?”. Il mio sogno è quello di riascoltare questo disco tra 10 anni per dire “quindi ero così a 20 anni”».
A cosa si deve la scelta della metafora contenuta nel titolo?
«Ho scelto questo titolo perché il “Kintsugi” è la tecnica giapponese del riparare gli oggetti utilizzando l’oro. La cosa che mi colpisce del kintsugi è che non cerca di nascondere le crepe delle ceramiche ma le mette anzi in risalto arricchendole con l’oro, trasformando un errore in qualcosa di prezioso, di unico e di raro. A mio modo di vedere, c’è un parallelismo tra queste ceramiche e le persone. Ciò che rende unica una persona sono i momenti difficili che deve affrontare e superare, quei momenti che ci segnano e che definiscono il nostro carattere. In questo disco ho parlato di quelle esperienze che mi hanno reso la persona che sono oggi, nel bene e nel male».
Da quali cocci sei partito e cosa senti di essere riuscito “a mettere a posto” durante la lavorazione di queste dieci tracce?
«Questo disco è cresciuto con me, lentamente. Sento di essere diventato una persona più matura, ho iniziato a capire cosa mi piace fare nella vita, che tipo di persone voglio avere intorno, cosa mi fa stare davvero bene. Credo però sia solo l’inizio di un percorso di crescita personale, non sento di essere arrivato ad un traguardo».
Dal punto di vista musicale, che tipo di sonorità hai voluto abbracciare?
«Io mi concentro molto sui testi, però questa volta non ho cercato i suoni del cantautorato, anzi, credo sia un disco molto pop. Volevo dei ritornelli esplosivi, ci sono molti pad che riempiono e che abbracciano l’ascoltatore. Un must per me sono le code dei brani: devono essere energiche, un crescendo emotivo, devono farti venire voglia di cantare. L’obiettivo è quello di farti arrivare in fondo al brano per cantarlo tutto».
Che ruolo gioca la musica nel tuo quotidiano?
«Nonostante tutti i momenti lavorativi legati alla musica, per me scrivere rimane uno sfogo, un modo per raccontare cosa mi succede, per comunicare. Ultimamente mi sono concentrato molto sul disco, quindi il focus era più sul discorso tecnico che su quello emotivo. Non vedo l’ora, però, di tornare a scrivere così da lasciarmi andare, di concentrarmi sui sentimenti e sulle emozioni».
A livello di ascolti, tendi a cibarti di un genere in particolare oppure ti reputi abbastanza onnivoro?
«Ascolto tanti generi anche per capire cosa sta uscendo, quali artisti stanno andando forte e così via. Ci sono poi quegli ascolti che non mancano mai, come Vasco o gli Oasis. Esce davvero tanta musica in questo periodo, è difficile stare dietro a tutto, quindi molte cose me le perdo. Vorrei spaziare di più, ultimamente lo faccio, cerco di ascoltare un disco al giorno, ma non sempre ci riesco. Diciamo che è uno dei miei buoni propositi per il futuro».
Considerato l’attuale momento storico, cosa ti piacerebbe riuscire a trasmettere a chi ascolterà questo tuo lavoro?
«Attualmente la musica è fatta in gran parte da persone che “vogliono prendersi tutto”. Capisco il loro punto di vista, la voglia di riscatto, io vorrei però riuscire a “dare qualcosa”. Mi piacerebbe che qualcuno ascoltando questi brani si senta capito, si rispecchi nei miei testi e in qualche modo senta sue queste canzoni».
Per concludere, se dovessimo definire “Kinstugi” con uno stato d’animo, quale sceglieresti?
«Credo direi “la voglia di crescere e di andare avanti”. Sai quando dici “basta, da domani cambia tutto”?. Però questa volta vorrei farlo davvero, ho già rimandato tante volte».
© foto di Federico Cataleta
Nico Donvito
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