A tu per tu con la cantante romana, in uscita con il suo disco natalizio intitolato semplicemente “E’ Natale“
E’ disponibile a partire dall’8 dicembre il nuovo album di Manuela Villa, un omaggio al Natale e alla magia che accompagna questo speciale momento dell’anno. Un progetto autoprodotto e fortemente voluto dalla cantante romana, impreziosito dalla presenza di due brani inediti, “E’ Natale” e “Ninna o ninna e”, che mettono in risalto anche le sue doti da autrice. Tra le cover in scaletta figurano grandi classici come “Astro del ciel“, “Jingle bells rock“, “Mele kalikimaka“, “Santa Claus is coming to town“, “What a wonderful world” e “White Christmas“. In occasione di questa pubblicazione natalizia, abbiamo raggiunto telefonicamente l’artista, per condividere con lei una piacevole e confidenziale chiacchierata.
Ciao Manuela, molto banalmente parto col chiederti: com’è nata l’idea di realizzare un disco di Natale?
«Lo scorsa estate, non so dirti perché, mi è venuta la voglia e l’intuizione di realizzare un progetto natalizio, perché non conosco bene i tempi di uscita, mi reputo una persona molto libera dai canoni discografici. In un certo senso ho seguito il mio istinto e mi sono messa al lavoro, sia sulla scelta dei brani che sulla veste sonora da attribuirgli. Insomma, è nato così, senza troppi calcoli, anche perché sono una fuori moda, proprio per questo motivo ho pensato di produrmi un album da sola, per cui faccio le cose perché le sento, non perché c’è una regola, non seguendo le tendenze posso permettermi di fare quello che voglio».
Negli ultimi anni c’era stata un po’ una sovrabbondanza di dischi natalizi, al punto che alcuni non erano andati benissimo a livello di vendite. Di fatto sei l’unica artista italiana che quest’anno propone un lavoro di questo genere…
«E speriamo che questo vada bene (sorride, ndr), certamente non ho alle spalle una grossa etichetta discografica in grado di spingermi in ogni dove, però ho realizzato questo album con il cuore e con l’anima, assolutamente non in maniera meccanica. Questo è importante, perché il pubblico lo percepisce, personalmente avrei potuto farlo anche prima, ma ho voluto aspettare il momento giusto. Sai, ci sono delle cose che maturano e diventano magiche proprio perché arrivano da sole all’improvviso, non le puoi comandare, l’intuizione parla da sola devi solo avere la possibilità di svilupparla».
Sei cover e due inediti. Partiamo da questi ultimi, come sono nati “E’ Natale” e “Ninna o ninna e”? Pezzi che mettono in risalto anche le tue doti da autrice
«Sono nati al pianoforte, “E’ Natale” è un pezzo che ha composto mio fratello Claudio, mentre io ho lavorato al testo. “Ninna o ninna e” l’ho pensata per dedicarla a tutti i bambini, perché avendo un figlio ormai di quindici anni un po’ mi manca da mamma cantargli una ninna nanna, così ho deciso di indirizzarla ai bimbi di tutto il mondo, da quelli più fortunati a quelli che stanno in guerra, perché ognuno di loro ha il diritto di avere una ninna nanna, almeno la notte di Natale».
Poi c’è “What a wonderful world” che esula dal repertorio natalizio, come mai questa scelta?
«L’ho scelta perché adoro la voce di Louis Armstrong, lui è unico e irripetibile. Questo pezzo mi dà un’emozione talmente grande di universalità, al punto da farci comprendere davvero tutta la bellezza che abbiamo, perché a volte ce ne dimentichiamo, non godiamo pienamente di ciò che realmente ci circonda. Ho deciso di interpretarla in maniera diversa, completamente opposta dall’idea che si ha solitamente di me e della mia vocalità, senza tirare fuori a tutti i costi per forza la voce, così l’ho cantata in tonalità originale, da uomo, mi sono immersa in un’estensione completamente diversa e l’ho trovata, a mio avviso, un’operazione affascinante».
Per quanto riguarda le altre cinque cover, invece, perché hai selezionato proprio questi pezzi dall’immenso e sconfinato repertorio natalizio?
«Sono dei brani che avevo già cantato qualche anno fa durante dei concerti gospel che ho fatto insieme a Marcello Cirillo e Annalisa Minetti, mi divertivano moltissimo e sono pezzi che mi piacciono, stanno nelle mie corde. Rispetto ad altri molto più sfruttati, ho voluto rispolverare alcuni altrettanto belli come, ad esempio, “Mele kalikimaka” che aveva fatto Mina qualche anno fa, una canzone molto bella, allegra, solare, natalizia al 100%».
Il Natale è una festività dalle mille sfaccettature, oltre all’atmosfera di festa, c’è una sorta di nostalgia che ci avvolge. Tu come lo vivi questo periodo?
«Lo vivo in una maniera molto malinconica, soprattutto da quando non ho più mia mamma, il fulcro della famiglia, colei che cucinava, apparecchiava e ci radunava tutti insieme, riempiendoci il cuore d’amore. Io ho un po’ sostituito la sua figura, infatti vengono tutti da me la sera di Natale, in un certo senso cerco di riproporre in cucina tutto quello che faceva lei, per lo meno ci provo (sorride, ndr), è un modo di farla rivivere attraverso le cose che mi ha insegnato, cercando di ripristinare quell’atmosfera di allegria che lei era bravissima a regalarci. Il Natale è sicuramente un momento magico per i bambini, ma anche molto malinconico per i grandi che col tempo hanno perso le proprie persone importanti».
Facciamo un salto indietro nel tempo, c’è stato un momento preciso in cui hai capito che la musica avrebbe ricoperto un ruolo centrale nella tua vita?
«Diciamo che la musica per me è importante e che mi dà grandi emozioni quando la faccio come voglio io, purtroppo ho sempre vissuto di preconcetti, senza voler scendere in particolari che sicuramente conosci, per cui è sempre stato molto difficile imporre la mia musica e il mio modo di essere. A piccoli passi sto continuando a provarci, non è semplice perché non ho una major alle spalle, però la libertà mi dà l’opportunità di esprimermi al meglio per ciò che sono. La musica è stata da sempre importante, ma il teatro mi ha donato quella completezza necessaria per approcciarmi nel migliore dei modi con il palco, ho imparato l’arte della concentrazione, a rispettare i tempi, ad interpretare un pezzo anche fisicamente e non solo vocalmente».
Quali ascolti hanno accompagnato e influenzato il tuo percorso?
«Ho scoperto la mia voce per sbaglio, pensa. Mi regalarono un disco di Barbra Streisand e da quel momento mi sono innamorata di questa artista, scoprendo tutte le sue canzoni e di conseguenza la mia vocalità, perché per andare appresso a lei devi per forza beccare delle tonalità pazzesche. Poi, piano piano ho cominciato ad affinare quel modo di cantare un po’ all’americana, con la voce al servizio del testo, da lì ho cominciato ad esplorare e studiare nuove tecniche, da sola».
Come valuti l’attuale settore discografico? Cosa ti piace e cosa meno della musica di oggi?
«Che dire? Io sono proprio fuori dal settore discografico. Sai, conducendo un programma radiofonico ascolto di tutto, capisco e percepisco nei ragazzi di oggi un grande potenziale, anche negli artisti che hanno un grande successo, credo che possano fare molto di più di ciò che propongono. E’ come se il sistema soffocasse un po’ la creatività, ciò che interessa è solo vendere e la sperimentazione passa in secondo piano, noto poca libertà insomma, tranne in alcuni casi ma parliamo di personaggi che hanno raggiunto una certa consacrazione e possono fare quello che gli pare. Mi incuriosiscono molto le nuove tendenze, cerco sempre di capire il mondo dove va, concentrandomi sui messaggi che si trovano all’interno delle canzoni, a volte li capisco a volte meno, però cerco sempre di scovare l’emozione, anche una cosa brutta paradossalmente può emozionarmi, il problema è quando un pezzo non ti dice nulla».
Nel ’94 hai partecipato a Sanremo con la mitologica Squadra Italia, cosa ricordi di quell’esperienza?
«Ricordo la bellezza di aver partecipato e di essere stata accanto a grandi miti della canzone italiana, aver cantato accanto a Nilla Pizzi, la prima vincitrice di Sanremo, mi rende molto fiera. Ho un bellissimo ricordo di tutti i miei compagni di avventura, ero la più giovane ma venivo presa in giro pure io lo stesso, mi chiamavano pure a me “Jurassic Park”, non ho mai capito perché. Come vedi non c’è giustizia per nessuno (ride, ndr). A parte gli scherzi, sono contenta di aver partecipato a quel Festival, proprio con loro».
Qual è il tuo pensiero sul Festival che sta per compiere settant’anni?
«Ho sempre sognato di poter presentare i miei nuovi lavori sul palco dell’Ariston, sono venticinque anni che mi candido puntualmente e non ho problemi a dirlo. Anche quest’anno ho mandato un pezzo, però non credo che farò parte del cast di Sanremo come sempre (ride, ndr), non mi preoccupo di questo, non è di certo un problema. Sai, molti artisti si presentano ma non lo dicono perché credono di fare brutta figura se non vengono presi, io credo che non si tratti di un demerito, evidentemente la commissione ha altri obiettivi oppure non fai parte di certi meccanismi, le proposte sono notevolmente maggiori rispetto ai posti a disposizione. Io davvero quest’anno festeggio le nozze d’argento con Sanremo (ride, ndr), sono venticinque anni che mi propongo e lo faccio col sorriso, con serenità, perché ognuno ha la sua stella e il mio destino magari non prevede un ritorno su quel palcoscenico. Vado avanti comunque, indipendentemente. Sai, credo che il Festival sia un po’ come un “gratta e vinci”, se non ci provi non sai se vincerai mai».
Dicembre, tempo di bilanci. Come valuti questo tuo 2019?
«Solitamente non amo fare i bilanci, li considero una forma di scadenza, mentre io guardo il tempo verso una direzione, senza mettergli uno stop, non mi piace. E’ un segno di libertà anche questo, non avere delle regole. E’ un momento sicuramente importante della mia vita, in cui sento di avere la massima espressione della mia voce, quindi voglio cercare di fissarla nel tempo, come una bella donna che decide di fare un bel calendario prima che la sua bellezza sfiorisca. Ecco, voglio cercare di fare dei lavori che rimangano nel tempo, senza tempo».
Quale regalo ti piacerebbe ricevere sotto l’albero?
«Non lo so, non amo ricevere regali, mi piace più farli. Adoro sorprendere i bambini, fare regali pensati ai miei famigliari e ai miei amici, vedere le loro facce felici e rallegrate. Tutto il resto non importa, mi interessa che siamo tutti insieme, questo è il regalo più bello».
Per concludere, qual è l’insegnamento più grande che hai appreso dalla musica in questi anni di attività?
«Innanzitutto la musica non ha confini, io penso che Dio mi abbia dato questo dono per darlo agli altri, non lo faccio per me, canto sempre pensando a qualcuno che possa emozionarsi, riflettere o pensare a qualcuno attraverso la mia voce. Cercare di rendere felice qualcuno attraverso le mie canzoni, credo sia il regalo più bello che io possa aver ricevuto, mettermi a disposizione degli altri è fondamentale per me. Caratterialmente mi reputo una persona che vive alla giornata, che si accontenta anche di niente, non mi piace la vita mondana, non amo lo sfarzo, anche gli abiti che indosso solitamente sono fatti da me. Non sono una che vive nel lusso, bensì di emozioni e passioni che cerco di trasferire. Ho ricevuto questo dono e l’ho interpretato in questo modo: “perché a me tutto questo e a qualcun altro no? Allora vuol dire che lo devo mettere a disposizione?”, almeno io l’ho interpretata così».
Nico Donvito
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