Marco Ligabue: “La mia mappa fatta di canzoni” – INTERVISTA
A tu per tu con Marco Ligabue, che si racconta in occasione dell’uscita del nuovo album “M.A.P. S. Manuale Alternativo Per Sentire”. La nostra intervista al cantante emiliano
Un album che non indica una destinazione, ma suggerisce direzioni. Con “M.A.P.S. – Manuale Alternativo Per Sentire“, Marco Ligabue torna dopo cinque anni con un progetto che è, prima di tutto, un viaggio: fuori e dentro di sé. Un disco diviso in due lati, come un vinile da scoprire girandolo tra le mani, che mette in dialogo gli elementi della natura e le mappe interiori dell’anima.
Il lato A racconta la geografia del mondo esterno: il fuoco che accende le passioni, la terra che richiama il bisogno di consapevolezza ecologica, l’aria che porta libertà, l’acqua che custodisce verità intime. Il lato B, invece, è un itinerario più profondo: ricordi, notti che amplificano la magia, domande sulla vita che si vive e quella che si potrebbe vivere, direzioni che si aprono senza imporre un traguardo definito.
Registrato con una band intercettata “alla prima intenzione”, suonato con energia fisica, curato nei dettagli ma istintivo nella resa, “M.A.P. S. Manuale Alternativo Per Sentire” è un lavoro che invita a prendersi tempo: per ascoltare, per sentirsi, per fermarsi e ripartire. Un album profondamente emiliano nel cuore, universale nello sguardo, autentico nella voce.
Marco Ligabue presenta “M.A.P. S. Manuale Alternativo Per Sentire”, l’intervista
Come si è sviluppato il processo creativo di questo nuovo album?
«All’inizio mi sono dato una sfida, quella di scrivere quattro canzoni sui quattro elementi: fuoco, terra, aria e acqua. Da quelle canzoni ho capito di avere tra le mani il lato A di un disco. Mi piace ragionare ancora in vinile, lato A e lato B. Dopo aver raccontato la geografia esterna, quella dei quattro elementi, ho sentito l’esigenza di passare alla geografia interiore. Ho scritto cinque brani che esplorano varie mappe interne. Costruire tutto mattone dopo mattone mi ha restituito proprio l’idea del viaggio: un viaggio senza destinazione».
Qual è stata la prima tappa da cui sei partito? C’è una canzone che ha dato il via al progetto?
«La prima è stata “Anima in fiamme”, non a caso è il primo brano del disco. Sono partito dall’elemento fuoco. Ho voluto interpretarlo come la scintilla che dobbiamo tenere accesa sempre, perché arriviamo da anni di pandemie, notizie pesanti, freni. A un certo punto mi sono detto: non possiamo aspettare sempre qualcosa da fuori, dobbiamo alimentare il fuoco dentro. Da lì mi è venuta l’immagine dell’anima in fiamme».
Il fuoco è il tuo elemento preferito? O ti rappresentano anche gli altri?
«Mi piacciono tutti e quattro in realtà. Il fuoco perché mi dà un’energia incredibile. La terra perché mi ha permesso di affrontare il tema ecologico: volevo bussare alla mia coscienza sul cambiamento climatico e magari anche a quella degli altri. E poi l’acqua: “Quello che c’è” è il brano più intimo del disco. L’acqua è la fonte di vita, e lì ho cercato di andare all’osso di ciò che davvero c’è nelle nostre vite».
Nel lato B ti sposti dentro te stesso: che tipo di lavoro è stato affrontare questa geografia più intima?
«È stato come avere un navigatore impazzito che cercava posti perduti dentro di me. Con “Le canzoni inglesi” ho sbloccato un ricordo della giovinezza, quando tutto era possibile. Con “Una vita diversa” mi sono chiesto: sono contento della mia vita? E se potessi cambiarla? Con “L’ultima notte” ho cercato quella parte che stiamo perdendo: la magia della condivisione. Tra vite frenetiche, lavoro, burocrazia e notifiche continue non riusciamo più a parlare bene con chi amiamo. La notte amplifica la magia, i sogni, la musica: ho voluto ritrovare quei momenti».
Il disco non dà destinazioni ma direzioni. Qual è stata la direzione più inaspettata che hai trovato scrivendolo?
«“Spacca il cielo” è partito come un brano d’amore tra due persone. Pian piano ha preso una direzione diversa, più universale. Vorrei fosse un brano su ciò che accade quando condividi davvero qualcosa: con un figlio, un collega, un amico speciale. Quando succede, puoi davvero spaccare il cielo. È nato sentimentale, è diventato universale».
Il titolo parla di un manuale: a chi è rivolto questo disco?
«Non dà direzioni, quindi faccio fatica a pensare a un interlocutore unico. Mi piacerebbe arrivare a chi ha ancora voglia di prendersi del tempo. In questa schizofrenia generale, chi ascolta il disco può fermarsi, sentire, fare qualche riflessione. E prendersi il tempo».
La produzione è molto curata. Quanto è stato importante per te il dettaglio sonoro?
«Ci tengo tantissimo. Scrivo voce e chitarra, poi vado in studio con la band senza aver mandato i brani prima: voglio catturare la loro prima intenzione, l’energia istintiva. Registriamo così la base e solo dopo lavoriamo sui dettagli, aggiungiamo elettronica o loop per far suonare il disco contemporaneo. Volevo un album fisico e umano, ma anche adatto al 2025».
Avere tra le mani il vinile: quanto conta per te l’oggetto fisico?
«Tantissimo. La musica digitale è comoda, ma un vinile ti dà peso e valore. Sono cresciuto comprando i dischi di Springsteen, U2, Police quando avevo 13-14 anni: mi sembrava di essere a Gardaland. Quell’atteggiamento mi è rimasto dentro».
Quanto entra l’Emilia nella tua musica, anche quando non la citi apertamente?
«Moltissimo. La copertina è scattata a due chilometri da casa mia, nelle campagne di Correggio. È il posto da cui parto e a cui ritorno, sempre con la valigia in mano. Essere emiliano significa rimboccarsi le maniche, sorridere anche nelle difficoltà, essere orgogliosi della propria terra e fare squadra. Tutto questo entra nelle mie canzoni».
Pensando al futuro: quale artista di oggi ti piacerebbe sentire interpretare un tuo brano?
«Sono incuriosito da Olly. Ha fatto brani tradizionali, folk, strumenti non scontati. Ho capito che vuole esplorare, non seguire solo la moda. Mi piacerebbe sentire “Spacca il cielo” o “Anima in fiamme” cantate e rilette da lui».
Alla luce del tema del viaggio, in che tappa ti senti? E in che direzione sta andando la tua musica?
«La musica è bella e brutale allo stesso tempo: ogni anno si riparte da zero. Non è scritto quanti concerti farai, dove andrai. Questo disco mi sta dando direzioni e voglia. Vado sul palco con la gioia di un bambino al primo giorno a Gardaland, anche dopo mille concerti. Queste canzoni mi hanno dato una spinta nuova».