A tu per tu con il cantautore emiliano, in uscita con la sua prima raccolta “Tra via Emilia e blue jeans”
A due anni di distanza dalla nostra precedente chiacchierata, ritroviamo con piacere Marco Ligabue in occasione dell’uscita di “Tra via Emilia e blue jeans”, raccolta volta a celebrare l’importante traguardo dei suoi cinquant’anni. Abbiamo raggiunto il cantautore emiliano via Skype per approfondire la sua visione di vita e di musica.
Ciao Marco, bentrovato. Partiamo da “Tra via Emilia e blue jeans”, com’è nata l’idea di realizzare questa raccolta?
«Quest’anno ho compiuto cinquant’anni, il mezzo secolo ha suonato più forte degli altri compleanni. Volevo fare una grande festa, ma non è stato possibile a causa della pandemia, però avevo comunque voglia di celebrare al meglio questo traguardo, per raggruppare e riassumere i miei tre percorsi musicali: i primi due con le band Little Taver e con i Rio, l’ultimo da cantautore solista. Avendo a disposizione tanto materiale, era arrivato il momento di realizzare la mia prima raccolta di canzoni».
Le raccolte combaciano quasi sempre con i bilanci, come valuti il tuo percorso artistico fino ad oggi?
«Guarda, personalmente sono molto contento del mio percorso artistico. Avendo un fratello così famoso che mi ha preceduto, sicuramente era più difficile, ma la cosa di cui sono più orgoglioso è essere riuscito a rispettare e non bruciare le tappe, perchè la mia carriera è andata di pari passo con il mio orologio biologico. Fino ai trent’anni avevo un gran voglia di divertirmi, fare baracca e cuccare le ragazze, questo ha combaciato con un progetto di puro rock and roll, senza grandi pretese artistiche, ma con la voglia di ballare, divertirmi e far divertire.
Poi, dopo, ho cominciato ad avere l’esigenza di scrivere, ho fondato i The Rio, che poi sono diventati i Rio, scoprendo una mia nuova vena artistica, un percorso molto bello durato dieci anni, che ci ha portato nelle radio più importanti e sul palco del Festivalbar, diciamo un vero e proprio ingresso nel mondo della musica. Superati i quarant’anni, invece, mi sono sentito ometto, voi l’età o vuoi che sono diventato papà, sono riuscito a mettere da parte certe mie paure, soprattutto nel confronto musicale con mio fratello, così ho iniziato la mia carriera solista da cantautore. Direi un bilancio fantastico di questi trent’anni di musica e cinquant’anni di vita!».
Anche Luciano ha pubblicato in questi giorni un progetto che riassume la sua di storia, come descriveresti il vostro rapporto oggi e come si è evoluto negli anni? Nonostante siate entrambi due eterni ragazzi, la verità è che quest’anno avete compiuto entrambi due bei traguardi anagrafici
«Sono al suo fianco da quando partì con il primo concerto nell’87, nel Circolo Culturale della nostra Correggio, lì fu una rivelazione, perchè lo sentivo suonare in casa, ma in realtà è sempre stato uno timido. Sul palco mostrò una verve e un carisma che non mi aspettavo, mi aveva spiazzato, nella mia testa pensavo: “ma è lo stesso fratello che tutti i giorni mangia i tortellini a tavola con me?”. C’era qualcosa che non mi tornava (sorride, ndr), in realtà ho capito in quel momento che la musica ce l’aveva dentro. Ricordo che i primi tre anni li ho passati a raccattare la gente per portarla a vedere i suoi concerti, perchè non era ancora famoso e non è facile convincere le persone ad andare a sentire uno sconosciuto.
Ricordo che facevo il giro dei bar, pagavo bibite a tutti e mi portavo gli amici a vedere Luciano. Nel ’90, poi, è partito alla grande con “Balliamo sul mondo” e il suo primo disco. Cominciai a seguirlo, a lavorare con lui per racimolare due soldini, a girare l’Italia, a respirare a pieni polmoni la musica, cercando di rendermi più utile possibile. Ho fondato il suo fanclub, nel ’96 ho aperto ligabue.com, uno dei primi siti internet d’Italia, diventando col tempo anche un ottima spalla per dei confronti, non più soltanto quello che vendeva le magliette ai suoi concerti. Il nostro è un rapporto che si è evoluto grazie alla musica, lui ha fatto una carriera incredibile ed io, anziché star lì a gongolarmi per essere “fratello di”, ho cercato di crescere al suo fianco».
Se penso a Marco Ligabue mi vengono in mente subito i live, perchè tu sei cintura nera di concerti, hai una media impressionante, quindi non posso non chiederti un pensiero su quello che stiamo vivendo. Quali sono, secondo te, le più importanti criticità del settore?
«E’ un periodo tosto, negli ultimi anni il mondo della musica funziona molto grazie ai live. Dietro gli spettacoli e gli eventi ci sono tantissime persone che lavorano, in più, con l’avvento dello streaming si guadagna molto di più con i concerti rispetto al passato. Aver azzerato la possibilità di esibirsi dal vivo, ha portato la musica in un momento di seria difficoltà. Le maggiori criticità le stanno subendo le persone che stanno dietro, più che noi cantanti.
Come vedi, io ho la possibilità di fare una raccolta, di uscire con un nuovo progetto, cercando di tenermi in vita artisticamente attraverso le mie canzoni. Un fonico non ha la stessa possibilità, per cui ci sono un sacco di persone che adesso sono ferme. Già era tosta prima, perchè comunque la musica non è mai stata realmente regolamentata, ma saltare un anno ha penalizzato l’intero settore, soprattutto queste categorie. La notizie che arrivano riguardo i vaccini ci fanno ben sperare, l’augurio è di poter riprendere presto, magari con eventi ristretti e non enormi, sempre in totale sicurezza».
Nella nostra precedente chiacchierata abbiamo parlato delle piazze, location che molti artisti sono soliti snobbare, perchè fa più figo dire “stasera suono a San Siro” piuttosto che “stasera suono in Piazza Plebiscito”. In realtà, il pubblico che passa da una piazza è sicuramente più variegato, diventa uno stimolo conquistarlo, è un po’ come una partita in trasferta, no? Piuttosto che giocare in casa con un pubblico pagante che ha acquistato il biglietto perché ti conosce e sa già chi sei. Sbaglio o per te ogni concerto è come se fosse un po’ il primo?
«Hai centrato benissimo, io sono un fan dei concerti nelle piazze, una cosa che ho scoperto da quando ho cominciato a fare il cantautore. Ogni sera la piazza è diversa, mentre in un palazzetto o in uno stadio si assiste ad una specie di celebrazione di un artista, perchè conosci quasi tutte le canzoni, hai acquistato un biglietto per esserci. A me invece piace andare in posto dove c’è anche tanta gente che non sa chi sono, o magari ha sentito una volta una mia canzone, ovviamente mi fa piacere che ci siano anche persone che mi seguono e mi supportano, ma anche che ci sia questa specie di imprevisto che mi spinge a mettermi in gioco, che mi fa sentire come hai detto tu… in trasferta, come se fosse il mio primo concerto. Salgo sul palco nella più totale incertezza, perchè può andare benissimo o malissimo, e questo mi regala quella sana tensione che mi fa dare il meglio ogni sera».
Per concludere, qual è la lezione più importante che senti di aver appreso dalla musica fino ad oggi?
«La musica è come una bella donna che non si fa prendere mai, la devi corteggiare e conquistare ogni giorno. Non è una storiella, è un percorso che va costruito e coltivato tutti i giorni, proprio come dicevamo per le piazze, ogni concerto è un po’ come se fosse il primo. La musica mi da tanto, soprattutto, quando riesco a viverla in questo modo».
Nico Donvito
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