venerdì 22 Novembre 2024

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Marco Ligabue: “Quante vite hai? Una tappa d’amore” – INTERVISTA

A tu per tu con il cantautore emiliano, in uscita dal 19 ottobre con il singolo prodotto da Corrado Rustici

Prenotarsi per tutte le prossime vite della persona amata, un concetto semplice quantomai ispirato e ricco di buone intenzioni. Questo il messaggio racchiuso nel refrain di “Quante vite hai”, brano che segna il ritorno discografico di Marco Ligabue, alle prese con una concreta dedica d’amore densa di significato e di valore.

Ciao Marco, partiamo dal singolo “Quante vite hai”, quale tappa rappresenta del tuo percorso artistico?

«Una tappa d’amore, una dedica alla persona amata. Vivo un momento di grande innamoramento, cerco di essere sempre molto delicato nell’affrontare l’argomento nelle canzoni, per il grande rispetto che nutro nei confronti di questo nobile sentimento. Non vorrei mai scadere nel retorico o nel banale nel raccontarlo, tutto è partito dall’idea dell’inciso e dal concetto molto romantico del prenotarsi per tutte le vite dell’altra persona. Come tappa penso che sia anche una prova di maturità vocale, a livello di interpretazione è la canzone di cui sono più contento tra quelle cantate sino ad oggi».

Ascoltando appunto il ritornello mi è venuto in mente che, oggi come oggi, tutto si prenota con un click, vedi ad esempio l’app di thefork, hai voluto riportare l’attenzione su qualcosa di più tradizionale?

«Esatto (ride, ndr), gli incontri sono diventati digitali e last minute, l’idea di prenotarsi per tutte le vite dell’altra persona è veramente un qualcosa fuori da qualsiasi logica contemporanea. Per fortuna ci sono ancora emozioni che ci fanno fare questi viaggi mentali, di cuore e che non smetteranno mai di esistere».

Un brano prodotto da Corrado Rustici, un’istituzione. Com’è stato lavorare con lui? 

«Benissimo, avevo già lavorato con lui, ma ogni volta riesce a stupirmi per il suo modo particolare di lavorare, vale a dire: fa tutto lui (ride,ndr), proprio come i grandi arrangiatori di una volta. Riesce sempre a confezionare qualcosa che non mi aspetto, a valorizzare completamente un provino iniziale, sviluppandolo nel modo migliore possibile».

Interessante quello che dici, perché alla fine ci avete messo le mani in due, mentre le produzioni di oggi somigliano più a delle catene di montaggio. Quanto è importante sul risultato finale?

«Credo molto, anche secondo me questa catena di montaggio sarebbe da snellire. A me piace affidarmi a mani esperte come le sue, ho bisogno di confrontarmi e di non fare tutto da solo, perché diventerebbe un progetto troppo personale, è giusto che la musica sia un insieme di colori, ma passare da un musicista all’altro, dall’ingegnere del suono, si rischia di mettere troppa carne sul fuoco, snaturando l’intuizione iniziale».

Quali innovazioni ha questo brano rispetto alle tue precedenti produzioni?

«Sento un suono molto attuale, la canzone è molto più scarna a livello musicale, gli arrangiamenti sono più minimali rispetto a qualche anno fa. In più, come ti dicevo prima, ho cercato un timbro un po’ più aggressivo e pungente rispetto alle mie passate produzioni».

Cosa avete voluto trasmettere attraverso le immagini del videoclip girato a Matera? 

«L’idea era quella di non cadere nella banalità della classica storia del lui-lei, come consiglierebbe qualsiasi discografico di primo acchito (ride, ndr). Mi è venuta subito in mente Matera perché c’ero stato e ho voluto mettere al centro le immagini di quei magici paesaggi che hanno visto lo scorrere di tante vite, proprio come canto nell’inciso del pezzo».

Sei reduce dal grande successo della tua tournée estiva in oltre cinquanta piazze italiane, ti sei fatto un’idea su chi viene ad ascoltarti dal vivo? È un pubblico che hai maturato negli anni? Noti una presenza anche dei fan di Luciano?

«Ho capito di essere forte nelle piazze, un luogo che molti altri artisti snobbano, perché sono posti meno roboanti dei palazzetti o degli stadi. In realtà trovo la piazza molto stimolante, sicuramente un centinaio di persone mi seguono perché mi hanno già visto o mi conoscono perché sono il fratello di Ligabue, in qualche modo sono venute a contatto con la mia musica, tutti gli altri sono curiosi, scettici e passano lì per caso. Questo mi affascina molto perché ogni volta si comincia dallo zero a zero, la serata è da portare a casa, hai un paio d’ore per farti conoscere e convincerli di meritare la loro attenzione a colpi di note e parole. Una bella sfida, che vinco ogni qualvolta qualcuno decide di tornare ad ascoltarmi».

Non solo un buon riscontro dal vivo ma anche grandi numeri sui social network, ad esempio il tuo ultimo videoclip ha quasi 230 mila visualizzazioni. Senza toccare alcun tasto dolente o voler aprire discorsi più grandi di noi, ti sei chiesto perché in radio c’è diffidenza sia nei tuoi confronti che di altri colleghi?

«Bella domanda, la radio è un mondo un po’ complicato da capire, ho cercato di darmi delle risposte sia per me che per il mondo della musica in generale. I network di oggi hanno scelto la via più facile, quella di trasmettere solo grandi successi, vanno sul sicuro perché contano gli ascolti per vendere gli spazi pubblicitari, passare troppa musica emergente, indipendentemente dalla qualità, potrebbe essere rischioso per i loro investimenti. Dal punto di vista personale, invece, chi non passa la mia musica lo fa o perché non la reputa interessante o perché c’è già un altro Ligabue che basta e avanza. Sicuramente le radio si sono adagiate, cercano di calvacare l’onda dei successi e non hanno già voglia di rischiare».

Potremmo sintetizzare questo discorso in un verso di “Quante vite hai”, che dice: “Tenere i piedi in tante scarpe è diventato quasi normale”. Ci stiamo dirigendo in un futuro verso il quale gli artisti sono prima influencer e poi cantanti?

«La sensazione è che oggi ti limiti solo a cantare è un po’ pochino, non dico proprio influencer, ma se non t’inventi qualcosa sui social o non fai dell’intrattenimento non hai molta considerazione. C’è bisogno di infarcire un po’ il contenuto, un Bob Dylan che si presenta solo con la voce e la sua chitarra, forse, non basta più».

La tua musica, invece, in che direzione sta andando?

«Guarda, io mi lascio trasportare dalle canzoni e da quello che vivo. Nella mia carriera ho cantato l’amore, ma anche pezzi con valori sociali importanti, come ad esempio “Il silenzio è dolo”, dove ho raccolto la testimonianza di un giovane giornalista di vent’anni che aveva raccontato verità scomode ed era stato lasciato solo da tutti. Non avrei mai pensato di affrontare un tema delicato come quello della legalità, ma la musica ti spinge verso direzioni inesplorate, la bussola è l’ispirazione».

Obiettivi per il futuro? Cosa bolle in pentola?

«Mi piacerebbe realizzare un nuovo progetto discografico per il 2019, ci stiamo lavorando  Nell’immediato, invece, il prossimo 5 dicembre pubblicherò un video live su YouTube di una canzone pubblicata tre anni fa che si chiama “Fare il nostro tempo”, un piccolo regalo per tutte le persone che negli anni mi hanno seguito, supportato e portato ad arrivare a quota 500 concerti nelle piazze italiane. Un obiettivo importante, che ho voluto festeggiare con uno dei pezzi più cantati ed apprezzati dal vivo».

Alla luce di tutto quello che ci siamo detti, per concludere, quale messaggio vorresti trasmettere al pubblico, oggi, attraverso la tua musica?

«Tendenzialmente mi reputo una persona positiva, energica e solare, cerco sempre di far arrivare alle persone queste mie caratteristiche in maniera non banale. Ciò che conta per me è lanciare un messaggio attraverso la mia musica, lascio che sia pubblico a sceglierne il contenuto, perché ognuno è libero di vederci ciò che vuole in una canzone, quello che per me è importante è arrivare ad ogni singola persona, anche in maniera differente».

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Nico Donvito

Nato a Milano nel 1986, è un giornalista attivo in ambito musicale. Attraverso il suo impegno professionale, tra interviste e recensioni, pone sempre al centro della sua narrazione la passione per la buona musica, per la scrittura e per l’arte del racconto. Nel 2022 ha scritto il libro "Sanremo il Festival – Dall’Italia del boom al rock dei Måneskin" (edito D’idee), seguito da "Canzoni nel cassetto" (edito Volo Libero), impreziosito dalla prefazione di Vincenzo Mollica, scritto a quattro mani con Marco Rettani. L'anno seguente, sempre in coppia con Rettani, firma "Ho vinto il Festival di Sanremo" (edito La Bussola), con introduzione curata da Amadeus e il racconto di trenta vincitori della rassegna canora. Tale opera si è aggiudicata il Premio letterario Gianni Ravera 2024.