Marco Liorni: “La verità è la mia stella polare, sia in tv che nella vita” – INTERVISTA

Marco Liorni

A tu per tu con Marco Liorni, per parlare dell’esperienza di “Ora o mai più”. La nostra intervista al conduttore, una chiacchierata a 360 gradi sul suo modo di vivere e di intendere la tv

Con “Ora o mai più”, in onda al sabato sera su Rai 1, Marco Liorni si trova per la prima volta al timone di uno show musicale, una sfida che lo mette alla prova tanto quanto gli otto concorrenti in gara. Il conduttore, sempre pronto a mettersi in gioco, ci racconta in questa intervista del suo approccio televisivo libero e autentico, ma anche del suo legame con la musica che considera come una medicina in grado di mutare i suoi stati d’animo. In un contesto dove la musica dal vivo torna a essere protagonista, Liorni accompagna i concorrenti della trasmissione verso la ribalta e il riscatto, con la sua visione empatica e la capacità di mettere gli ospiti a proprio agio, lontano da costruzioni e sensazionalismi. Ecco cosa ci ha raccontato.

Marco Liorni racconta la sua esperienza a “Ora o mai più”, l’intervista

Partiamo dal concetto del mettersi in gioco: “Ora o mai più” è un programma in cui si mettono in gioco in primis i concorrenti, a loro modo pure i coach e ti sei messo in gioco anche tu, perché è la prima volta che affronti uno show musicale. Come lo stai vivendo?

«Esattamente, sono d’accordissimo sul fatto di mettersi in gioco, anche perché sennò non ci si diverte. Mi è capitato diverse volte negli ultimi anni di misurarmi anche con generi diversi, ogni volta ci penso su per capire se è la cosa giusta, ma poi mi butto e penso che, comunque vada, ne uscirò comunque cresciuto e rinnovato. Penso che per i concorrenti di “Ora o mai più” si tratti della stessa cosa, pur rimanendo nel loro habitat: quello della musica, anche se in un contesto diverso, con una gara a tutti gli effetti e la pressione di essere giudicati. Penso che abbiano fatto bene, nell’accettare questa sfida hanno dimostrato grande coraggio».

Venendo alla questione del titolo, se il programma si fosse chiamato “Carpe diem” o “Qui ed ora”, nessuno avrebbe avuto da ridire davanti a quel “mai più” che suona un po’ roboante. Ciò che conta però è il senso, quel “cogli l’attimo” di oraziana memoria. È una filosofia in cui credi e che ti capita di applicare nella vita professionale e non?

«Sì, certo. Non pianifico troppo, ho capito che non servirebbe a molto. Tempo fa la pensavo diversamente, maturando mi sono reso conto che non basta avere uno sguardo lungo, ma che bisogna tenerne uno fisso sul presente. Il segreto è farsi trovare pronti a cogliere il momento giusto per dare il meglio di noi stessi, con leggerezza e senza troppe preoccupazioni. Riguardo al titolo, invece, abbiamo riflettuto parecchio se cambiarlo in “Ora” col punto esclamativo, ma alla fine abbiamo deciso di lasciarlo com’era, perché si tratta di un’espressione del linguaggio comune. “Ora o mai più” non vuol dire che non ci siano altre possibilità, un domani c’è sempre. È lo stesso concetto del cogliere l’attimo, per non lasciarsi sfuggire le occasioni che la vita e questa esperienza hanno da offrire». 

Credo che “Ora o mai più” sia un tentativo di riportare in televisione il grande varietà, attualizzandolo con i linguaggi e i meccanismi del talent show. Dietro tutto questo, c’è anche il nobile desiderio di riproporre in prima serata la musica dal vivo…

«A parte il Festival di Sanremo, non me ne vengono in mente molti altri di programmi con un’orchestra che suona dal vivo. Poi è chiaro che, essendo un format televisivo, la musica non basta. La gara, per esempio, stimola i concorrenti a fare del proprio meglio. È giusto che ci sia anche una narrazione che permetta alla gente di conoscere le storie di questi personaggi e cosa c’è dietro alla perdita di visibilità, spesso scelte sbagliate. Proprio per questo motivo, il confronto con i coach è fondamentale per gli allievi, un’opportunità unica per loro per ritrovare la strada o cercarne una nuova. E devo sottolineare il fatto che quest’anno abbiamo otto eccellenze della musica italiana nel mondo, che ci deliziano condividendo le loro esperienze e le loro canzoni».

Cosa ti stanno trasmettendo a livello umano questi concorrenti?

«Mi stanno trasmettendo molta complicità tra di loro. Poi mettiamoci il fatto che per un artista non è mai facile, perché esporsi è un po’ come mettersi a nudo, sia quando canti le tue canzoni e tiri fuori le tue emozioni sia quando devi interpretare quelle di altri nelle cover. Questo è diverso dal mio ruolo di conduttore, io sono un artigiano che si mette al servizio dei contenuti del programma, invece i concorrenti stanno tirando fuori veramente loro stessi, stanno comunicando qualcosa, anche se magari l’arte non sempre incontra un pubblico vasto. Ma credo che l’artista che scrive o canta per un pubblico abbia bisogno sempre di un riscontro e che, questo equilibrio tra espressione artistica e interazione, sia molto delicato».

Quest’anno abbiamo visto un ringiovanimento del cast. Molti concorrenti sono figli degli anni 2000 e diversi provengono dai talent show. E’ stata una scelta precisa?

«Sì, in passato è stata fatta un’operazione diversa, prendendo degli artisti che hanno vissuto una o più stagioni di successo, ma che erano conosciuti per una o più canzoni, mentre questa volta molti dei concorrenti hanno ottenuto visibilità mediatica e quindi sono dei volti noti del piccolo schermo. Bisogna distinguere la popolarità dal successo discografico, sono due rette parallele che non sempre combaciano. Sappiamo che partecipare a un talent significa entrare dalla porta principale, al tempo stesso non ti prepara al lungo percorso che serve per restare. I coach, invece, sono venuti dal basso e hanno fatto molta gavetta. In più, internet ha cambiato le regole del gioco, con milioni di follower e video che girano. Questi ragazzi stanno tornando sul mercato in un modo completamente diverso da prima».

E la discografia, secondo te, cosa dovrebbe fare?

«Le case discografiche dovrebbero cogliere l’occasione per costruire progetti seri con questi ragazzi, molti di loro stanno facendo grandi numeri con le visualizzazioni delle loro esibizioni, ciò a sottolineare non solo che c’è del potenziale, ma che c’è anche un riscontro. Poi, ciascuno di loro può avere degli obiettivi diversi, c’è a chi basterebbe implementare il numero di serate e chi vorrebbe rimettere in piedi un nuovo discorso discografico. Per qualcuno di loro credo ci sia la possibilità concreta di farlo, non faccio nomi perché il mio ruolo è anche un po’ quello dell’arbitro, ma spero che questo faro di luce che si è riacceso su di loro, possa poi trovare il giusto proseguo nel mondo della discografia».

Gli inediti arriveranno in finale?

«Sì, dovrebbero esserci gli inediti nella finalissima del 1° marzo. Li stiamo preparando». 

“Ora o mai più” è un programma che appassiona al punto che non sono mancate le critiche, alcune anche simpatiche e ironiche, sulla questione di “Padre Liorni”. Chi più velatamente e chi meno, ti ha accusato di essere un po’ troppo buonista. Ti ci ritrovi in questo termine?

«Le critiche ci stanno, fanno parte del gioco, ma io cerco sempre di rimanere fedele alla mia stella polare, sia in ambito professionale che nella vita di tutti i giorni: la verità. Non credo nelle cose costruite e seguo più una filosofia del “real” piuttosto che del “fake”. La questione è quella di mettere le persone in condizioni tali da sentirsi a proprio agio e quindi di tirare fuori il loro carattere, la loro verità. In genere non cavalco le situazioni, ma non sono nemmeno uno che censura chi ha qualcosa da dire. Chiaro che dietro la trasmissione c’è un’intera settimana in cui succedono cose che non si vedono davanti alle telecamere e che il pubblico non è tenuto a conoscere. Il mio compito è quello di assorbire anche dinamiche che non si sono viste all’interno della gestione di quei momenti, di comprendere anche le personalità e le emotività di chi è coinvolto. Ma non mi ritengo per questo un buonista, perché anche in questo termine si nasconde una costruzione che non è del tutto reale. E, ripeto, io sono sempre dalla parte della verità. E’ un patto che ho stipulato con chi ci guarda, fa parte della mia formazione, a prescindere dal genere di programma con cui mi interfaccio».

Questa cosa di mettere a proprio agio chi hai davanti, di tirare fuori il meglio dai vari attori in campo, ha molto a che fare con un taglio giornalistico. Mi vengono in mente grandi come Enzo Tortora e Maurizio Costanzo, giornalisti di nascita poi prestati alla tv. A proposito di conduttori, a quali maestri della televisione ti ispiri?

«Sicuramente Enzo Tortora e Maurizio Costanzo che hai citato, ma anche Corrado e Fabrizio Frizzi. Mi ispirano per la loro capacità di racconto che, al contempo, permetteva a chi si apriva di sentirsi un po’ come a casa. È una questione di fiducia che si instaura tra le parti. Avendo iniziato in radio come fonico e in televisione come montatore, ho avuto la fortuna di conoscere tutte le fasi, in modo da maturare un’idea complessiva dei ruoli di tutti. Questo è importante in qualsiasi mestiere, soprattutto all’interno di un gruppo di lavoro». 

E la gavetta quanto è stata importante per te?

«La famosa gavetta serve, sempre. Anzitutto caratterialmente, perché ti struttura, impari a soffrire, a reggere la fatica. E poi ti stimola a prendere un po’ di qua e un po’ di là. A prescindere che io conduca un quiz o uno show musicale, poter utilizzare tanti linguaggi mi diverte. Nel momento in cui ho avuto la possibilità di immaginare un programma fatto su misura per me, ho costruito “Italia sì”, in cui c’era tutto. C’erano sia l’intrattenimento che l’attualità, la parte più giocata e quella più seria. A me piace passare da un registro all’altro, chiaramente con una costruzione dietro e non a caso. Ci deve essere sempre un filo che unisce le tematiche e i vari linguaggi si devono intrecciare. Pensiamo a “Portobello”, per citare sempre il buon Enzo Tortora, che all’epoca fu un avanguardista. La televisione sta cambiando molto. Poter utilizzare linguaggi diversi mi diverte e credo possa divertire anche il pubblico da casa».

Per concludere, che ruolo gioca la musica nel tuo quotidiano?

«La musica e le parole sono fondamentali per me. Ascolto di tutto, dai podcast alla musica di ogni genere. La uso come una medicina per cambiare il mio stato d’animo. I miei preferiti restano i Beatles, nei loro album trovo il 70% di ciò che mi serve, ma mi piace esplorare ogni genere, persino l’heavy metal. Anche in ambito musicale, bisogna distinguere le cose “real” da quella “fake”. E da come avrete capito in questa lunga intervista, prediligo sempre ciò che risuona autentico».

Scritto da Nico Donvito
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