Recensione del nuovo album d’inediti
Lo stavamo aspettando da circa tre anni e finalmente Atlantico, il nuovo album d’inediti di Marco Mengoni, è arrivato per l’etichetta Sony Music il 30 novembre 2018. La forte attesa era in qualche modo dovuta e motivata non solo dalla grande popolarità che il cantante di Ronciglione era riuscito a conquistare con i suoi ultimi fortunatissimi progetti (Parole in circolo e Le cose che non ho) ma anche, e soprattutto, dalla speranza di nuovi stravolgimenti musicali e stilistici che Mengoni, in passato, aveva già dimostrato di saper imporre alla scena discografica nostrana.
E, in effetti, il Re Matto lo stravolgimento inatteso lo ha cercato e perseguito anche in questa nuova avventura pur senza andare alla ricerca del successo facile e certo, di uno schema rigido da applicarsi alla perfezione per raggiungere l’obiettivo ed il risultato voluto. Mengoni, questa volta, stupisce ancora ma lo fa in un modo nuovo con un disco, Atlantico, che non ha il compito di imporre qualsivoglia novità o hit di successo da bissare e scopiazzare. L’obiettivo unico e solo di Atlantico è la ricerca, il recupero della sperimentazione e la volontà di tornare a stupire senza ricorrere a mode e schemi prefissati.
Ad esemplificare al meglio questa volontà sono indubbiamente i due singoli apripista del progetto, Voglio e Buona vita (qui le nostre recensioni), che, ciascuno a suo modo, ricorrono a soluzioni nuove per la discografia di Menogni. Se la prima, per mezzo delle firme di Andrea Bonomo e Gianluigi Fazio, impone una scrittura eclettica ed un sound istrionico la secondo fa leva, piuttosto, sulle sfaccettature urban di un arrangiamento multietnico.
A ricordare il passato artistico di Mengoni è, in principal modo, Hola, la speciale traccia che, con il contribuito di Tom Walker è stata incisa anche nella versione in duetto, Hola (I say). E’ qui che la voce de L’essenziale recupera la dimensione più classicamente italiana delle ballate pop orchestrate alla meraviglia per mezzo di struggenti archi che confinano la ritmica in secondo piano fino a quando, nell’inciso, avviene l’entrata in scena anche di leggere sfumature di elettronica. Lui che l’electropop l’ha praticamente importato in Italia ora sembra quasi allontanarsene preferendo un suono più puro, originale, vivo che viene recuperato dal pop alla vecchia maniera che va quasi in simbiosi con un testo d’amore che ricorda come “non mi capirai mai, né domani né ora” a causa del fatto che “attorno al cuore hai il muro di Berlino”. Ciò che, però, più colpisce nel segno è il recupero della vocalità, la sua duttilità eclettica e i suoi mille colori che di recente troppo erano stati celati dietro ad ultra-produzioni intriganti e motivetti accattivanti: Mengoni finalmente torna a cantare e lo fa con tutta la sua bravura, la sua estensione e la sua classe. Un gusto per chi il pop lo ha amato davvero senza le contaminazioni d’oggi giorno.
Mahmood, che di Hola risulta co-autore insieme al produttore Katoo e agli stessi Mengoni e Walker, nell’album torna ad essere protagonista anche per le più estive e trascinanti Mille lire, in cui il cantautore romano (che in alcuni passaggi con prepotenza ricorda l’autore del brano) si confronta per la prima volta con la produzione di Takagi & Ketra creando una buona alternativa ai tormentoni estivi d’oggi giorni adottando un mood leggero che, alla lunga, risulta però ipnotico, e Rivoluzione, dove l’elettronica accompagna all’esplosione di un ritornello davvero funzionale e orecchiabile.
Altra presenza fondamentale nella costruzione dell’album è quella di Fabio Ilacqua che oltre a Buona vita ha accompagnato Mengoni anche nella multietnica stesura de La casa azul, dove Adriano Celentano interviene a sorpresa per un piccolo cameo che impreziosisce ancor di più uno degli esperimenti più riusciti sul piano della contaminazione sonora in senso latino di cui si adotta anche la lingua spagnola per alcuni passaggi, Amalia, dove le collaborazioni sono quelle brasiliane di Vanessa da Mata e i Selton. Più intime e “italian style” sono, invece, La ragione del mondo (preceduta da una rispettiva Intro della ragione tutta strumentale), che recupera l’intima partenza chitarra e voce per riflettere sul senso ultimo dell’esistenza, I giorni di domani, che invece parte con il caro vecchio pianoforte guardando al “giorno dopo la fine del mondo” in cui tutto parla dell’amore passato, e Dialogo tra due pazzi, in cui viene recuperata la parte ritmica per un gioco tutto stilistico tra cori e arrangiamento.
A concludere il viaggio oceanico sono Muhammad Ali, (firmata dai bravi Tony Maiello-Davide Simonetta-Piero Romitelli) che si basa sulla tematica del confronto con la vita e le sue sfide, Everest, che con coerenza recita “io cambio e mi trasformo ma i cambiamenti han bisogno di tempo” sulla base di un tappeto tutto orchestrale prima di una contaminazione elettrica, e la omonima Atlantico, che la firma di Dario Faini sposta con abilità (e sfoggio di tastiere) verso il mondo indie-pop estivo di questi ultimi anni italiani.
Questo viaggio sull’Atlantico compiuto da Marco Mengoni è il primo necessario passo che la sua carriera richiedeva per compiere una nuova svolta che, in qualche modo, non lo fossilizzasse senza più alcuna possibilità all’interno di un contenitore fin troppo stretto e povero per il suo talento musicale. Mengoni torna finalmente a stupire, a ricercare, a sperimentare in un disco che, pur non potendo vantare il capolavoro che tutti ricorderanno tra vent’anni, resterà sicuramente nella memoria per aver restituito al pubblico una Voce che ha la necessità di essere messa in mostra in tutta la sua interezza. Ben tornato, Re Matto!
MIGLIOR TRACCIA: Hola (I say)
VOTO COMPLESSIVO: 8.3/10
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Ilario Luisetto
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