venerdì 22 Novembre 2024

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Marco Vezzoso: “L’arte è la risposta alla violenza perché genera dialogo” – INTERVISTA

A tu per tu con con il musicista piemontese, in uscita con il doppio album “14/7 dalla parte dell’arte”

Ha vissuto la stragrande maggioranza della mia vita in Italia ma ha trovato la sua realizzazione professionale in Francia, stiamo parlando di Marco Vezzoso, trombettista di Alba che  da anni risiede e lavora a Nizza, anche se il lavoro di musicista lo porta a viaggiare in giro per il mondo. Più che jazzista, la sua musica mescola influenze differenti, dal pop alla world music, come possiamo ascoltare dal suo ultimo progetto discografico “14/7 dalla parte dell’arte”, un doppio album che racchiude il racconto della terribile strage del 2016 lungo la promenade della cittadina francese, dove Marco era presente intento ad esibirsi in ciò che più sa fare: suonare. Il primo disco si compone di nove tracce strumentali, mentre il secondo vede la partecipazione degli attori Chiara Buratti (per le parti in italiano) e Marc Duret (per quelle in francese e inglese), alle prese con l’interpretazione dei tre canti scritti dal poeta Giannino Balbis.

“14/7 dalla parte dell’arte”: un’esperienza che nessuno avrebbe mai voluto vivere, si trasforma in una prestigiosa testimonianza musicale, che significato ha per te questo progetto?

«Per me ha un significato maggiormente importante rispetto a tutti i dischi fatti fino ad oggi, per più ragioni, in primis per poter raccontare al mondo quello che ho vissuto attraverso il mio linguaggio, ovvero l’unica cosa che sono capace di fare: suonare. Da una parte è stata una terapia, dall’altra una fortuna aver avuto la possibilità di essere qui e poterne parlare. Per circa un anno ho vissuto un blackout completo, non riuscivo più a comporre e mi era venuta a mancare la voglia di scrivere. Questo progetto mi ha aiutato a liberarmi di un bel po’ di pensieri ricorrenti, l’ho vissuto come una liberazione, una rinascita».

Ti va di raccontarci com’è andata esattamente?

«Mi trovavo su uno dei quattro palchi allestiti sulla promenade quando è accaduto l’irreparabile, il mio pensiero è andato subito a mia moglie che se n’era andata da una decina di minuti, ho provato immediatamente a contattarla, ma non rispondeva perché stava guidando. E’ stata la mezz’ora più lunga della mia vita, fino a che non mi ha risposto e tranquillizzato. Quella forte preoccupazione mi ha in qualche modo distolto da quello che stava accadendo, pensavo costantemente a lei e speravo che stesse bene. Le scene che ho visto non si possono raccontare con le parole, ho provato a farlo attraverso la mia musica».

Le musiche sono tue, mentre i testi del poeta Giannino Balbis, come sei riuscito a trasferire le terribili immagini che hai visto e le sensazioni che hai provato dal tuo hardisk al suo?

«Il processo creativo è partito dalle mie musiche, sentivo che mancava qualcosa per rendere universalmente accessibile l’ascolto a più persone possibili. Ho avvertito la necessità di trovare un modo per raccontare quello che avevo vissuto, parlando con Giannino Balbis è nata l’idea, lui per me è stato come uno psicologo, mi ha ascoltato e ha scritto questi bellissimi versi che mi hanno toccato il cuore. Ci siamo parlati tanto, scambiati le nostre rispettive visioni ed è stato illuminante, mi sono aperto raccontandogli le emozioni che ho provato in quel momento, quelle che avrei voluto provare dopo e che non sono riuscito ad avvertire subito. Tutto si è svolto in maniera semplice e abbastanza naturale».

Fondamentale anche l’apporto recitativo di Chiara Buratti, come mai la scelta è ricaduta proprio su di lei?

«In primis perché la considero una superba interprete, per questo tipo di progetto serviva qualcuno che approvasse e sposasse la mia stessa idea, è un argomento che ha bisogno di essere trattato con forza, ma allo stesso tempo con grande rispetto, con tutte le difficoltà del caso. Chiara è stata una scelta ovvia, quando le ho parlato di questo progetto ha subito aderito e mostrato coinvolgimento per i testi».

Mentre Marc Duret ha interpretato le parti in francese e inglese, un disco multilingue per parlare a più popoli?

«Lavorare con Marc è stato un piacere, forse in Italia è poco conosciuto, ma a livello cinematografico è apprezzato anche fuori dai confini francesi, infatti ha il passaporto americano. L’ho coinvolto perchè, essendo nativo di Nizza, non c’era una voce più rappresentativa della sua. L’obiettivo era quello di rendere l’ascolto il più internazionale possibile, avrei voluto inserire anche altre lingue ma nel primo disco, essendoci solo tracce strumentali, diciamo che il linguaggio e il codice utilizzato è da considerarsi universale».

Al di là dei banali motivi calcistici, avverti che esista una reale “antipatia” tra francesi e italiani?

«Credo che entrambi siamo gelosi, la Francia è un Paese di mecenati, che investe molto sulla cultura, ogni città ha circa il 15 – 20% del proprio budget dedicato all’arte, numeri che in Italia sono impensabili. Oltre a dare spazio ai propri artisti accolgono chiunque e noi italiani di talento ne abbiamo davvero da vendere, quindi il loro diventa un territorio fertile dove costruire e sviluppare le arti. Questo progetto è la prova che non esistono differenze, perché i testi di Giannino sono nati in italiano e poi tradotti, in più è stato suonato da musicisti  internazionali, tra cui mi piace citare Khaled Ben Yahia, di nazionalità tunisina proprio come l’attentatore della strage. La musica è sempre la risposta giusta, chi si schiera dalla parte dell’arte difficilmente commette un errore».

Per concludere, senza entrare in termini politici o in discorsi più grandi di noi, che idea ti sei fatto della situazione tra Europa e Medio Oriente che ha scaturito non solo la strage di Nizza ma, ahimè, anche altri attentati?

«Facendo il musicista ho la fortuna di viaggiare molto, credo che i grossi problemi derivino dal fatto che in molti non conoscono realtà diverse dalla propria. Quando noi andiamo nei loro Paesi ci rendiamo conto che vivono esattamente come noi e ci sentiamo osservati, nella stessa maniera con cui guardiamo loro quando sono qua. Il rovescio della medaglia è importante, perché ci permette di capire che non esistono differenze. La cultura e l’istruzione sono fondamentali, l’arte è la risposta perché genera dialogo, al contrario della violenza».

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Nico Donvito

Nato a Milano nel 1986, è un giornalista attivo in ambito musicale. Attraverso il suo impegno professionale, tra interviste e recensioni, pone sempre al centro della sua narrazione la passione per la buona musica, per la scrittura e per l’arte del racconto. Nel 2022 ha scritto il libro "Sanremo il Festival – Dall’Italia del boom al rock dei Måneskin" (edito D’idee), seguito da "Canzoni nel cassetto" (edito Volo Libero), impreziosito dalla prefazione di Vincenzo Mollica, scritto a quattro mani con Marco Rettani. L'anno seguente, sempre in coppia con Rettani, firma "Ho vinto il Festival di Sanremo" (edito La Bussola), con introduzione curata da Amadeus e il racconto di trenta vincitori della rassegna canora. Tale opera si è aggiudicata il Premio letterario Gianni Ravera 2024.