domenica 24 Novembre 2024

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Margherita Vicario: “L’arte ha il ruolo di lanciare messaggi, attraverso musica e immagini” – INTERVISTA

A tu per tu con la giovane attrice e musicista, attualmente in rotazione radiofonica con “Romeo”

In un momento storico in cui si fatica a stare dietro alle numerose proposte che settimanalmente vengono fuori, a volte capita di scoprire per caso e di riconoscere al primo ascolto il puro talento, proprio come mi è capitato con Margherita Vicario, artista che conoscevo unicamente per le sue esperienze da attrice e che ha lavorato con registi del calibro di Marco Pontecorvo, Woody Allen, Lamberto Bava, Fausto Brizzi, Antonio Manzini e tanti altri. Cinema e televisione, film e fiction, questa la dimensione che attribuivo alla giovane romana prima di scoprire la sua innata e profonda attitudine per la scrittura e per la musica, quel suo riconoscibilissimo modo di raccontare più punti di vista con un sola voce. Finalista di Musicultura nel 2013, ha poi pubblicato un album e iniziato di recente un nuovo percorso con l’etichetta indipendente torinese INRI, trovandosi attualmente in fase di lavorazione del suo secondo album prodotto da Davide “Dade” Pavanello, anticipato dai singoli “Abauè (Morte di un Trap Boy)”, “Mandela” e “Romeo”. Approfondiamo la sua conoscenza.

Ciao Margherita, benvenuta su RecensiamoMusica. Quando ti ho ascoltato la prima volta mi sono detto “finalmente qualcosa di nuovo!”, per cui ti chiedo: come nasce la tua musica?

«Prima ancora di scrivere, sono una persona che ama molto osservare, ascoltare e scrutare tutto ciò che reputo interessante. La mia musica nasce sicuramente da una grande passione per il teatro, perché alla fine qualsiasi cosa fai sul palco è volta a comunicare qualcosa al pubblico, che sia attraverso il canto o la recitazione. Quello che conta per me è la narrazione, per il tipo di percorso che ho fatto e per la mia formazione cerco sempre di fondere entrambe le cose, sperando di farlo nel miglior modo possibile».

Qual è l’aspetto che più ti affascina nella fase di composizione di una canzone?

«La cosa più divertente per me è immaginare visivamente quello che sto scrivendo, creare le scene nella mia testa, per poi affidarmi completamente all’esperienza dei registi che, spesso e volentieri, riescono a nobilitare ulteriormente l’idea che avevo in mente. Ritengo che la musica e le immagini siano due canali di comunicazione incredibili».

Infatti, non è facile scindere le immagini dei tuoi video dalla musica, in un’epoca votata sempre più all’apparenza, credi che questo aspetto possa rappresentare più un vantaggio o uno svantaggio?

«Personalmente penso possa essere un vantaggio, proprio perché c’è un’inflazione dell’uso delle immagini, per cui il compito di un artista è cercare di utilizzarle oculatamente, veicolando ulteriormente il contenuto che si intende esprimere con le parole. Bisogna cercare di essere carini, glamour, alla moda e fighi perché i tempi lo richiedono, il mio intento è quello comunque di lanciare messaggi, sia attraverso la musica che mediante i videoclip, per me l’arte ha questo ruolo… poi, ovvio, come diceva Bennato sono solo canzonette, ma se si riesce a dire anche qualcosa tanto meglio».

“Romeo” è il titolo del tuo ultimo singolo, realizzato insieme al rapper Speranza, che significato ha per te questo pezzo?

«E’ una canzone che racconta come l’unica arma e la nostra difesa contro i brutti ceffi sia la conoscenza, la passione e lo studio. Poi, ovviamente, nel testo tendo ad esagerare per scimmiottare i dissing dei rapper, ribaltando la situazione e vantando gli studi classici, anziché le automobili di lusso o le cifre a sette zeri sul conto in banca, il tutto proposto naturalmente in chiave ironica, come sono solita esprimermi».

Che ruolo gioca la musica per te nella vita di tutti i giorni?

«Un ruolo importante che negli anni è molto cambiato, quando ero piccola ascoltavo molta più musica ma sempre la stessa, oggi ne ascolto meno ma i miei gusti sono diventati più variegati. La considero un rifugio, un luogo dove nascondermi per raccogliere idee».

Come e quando e come hai intuito che questa passione poteva diventare per te un mestiere?

«Da quando ho cominciato questo nuovo percorso con l’etichetta INRI e il produttore Dade, i numeri si stanno allargando e ci stanno dando ragione, anche se abbiamo fatto ancora solo tre canzoni, sono molto felice perché tutto sta arrivando in maniera inaspettata, seppur ci metto tanto impegno e dedizione.  Nel 2014 avevo pubblicato un disco realizzato da Roberto Angelini, già lì avevo capito che la musica poteva diventare per me un mestiere, col tempo ho cercato di rendere questa aspirazione sempre più concreta e possibile».

La canzone che ha aperto le danze al tuo nuovo progetto si intitola “Abaué (Morte di un Trap Boy)”, com’è nata e cosa hai voluto raccontare esattamente?

«E’ nata in un giorno in cui ero un po’ triste a causa delle mie vicissitudini musicali, produttive e creative, avevo mille domande nella testa, mi chiedevo se stessi o meno prendendo la strada giusta. Tutto è partito da un mio momento un po’ down, poi ho cominciato a buttare giù quelle parole. Non è facile descrivere la nascita di una canzone, quello che ti passava esattamente nella mente in quel momento, spesso è frutto di qualcosa di irrazionale, anche se successivamente metti in ordine i versi, le rime e distribuisci il tutto in maniera più consapevole. Nel dettaglio, l’atmosfera di questo pezzo è votata al principio del piacere, se vogliamo anche una riflessione sulla musica che mi circonda».

Cosa ne pensi della trap e dell’attuale scenario musicale?

«Onestamente penso che la trap abbia rotto un po’ a tutti, al suo interno c’è una misoginia estrema ed è fatta solo da uomini, credo che non abbia più nulla da dire e ad un certo punto debba esaurirsi. Bene o male a livello di sonorità mi diverte, la trovo interessante, ma bisogna cercare di aprire lo sguardo altrove e farsi contaminare anche da altre culture, da ciò che non conosciamo e che può soltanto arricchirci. Al di là di questo, secondo me, stiamo vivendo un ottimo momento creativo, ci sono tanti artisti che mi piacciono, tipo Venerus, Dutch Nazari, Frah Quintale e Calcutta. Nonostante i vari circuiti, il web è abbastanza meritocratico, perché fotografa i gusti delle persone in tempo piuttosto reale, a volte con filtri e ritocchi, ma bisogna cercare di distinguere ciò che reale da quello che viene gonfiato. Per colpire nel segno c’è bisogno di dosare la propria musica, far uscire poche canzoni, magari le migliori e non buttare fuori più roba possibile».

Altro brano importante per te è “Mandela”, che proprio in questi giorni ha superato il milione di view su YouTube. Cosa mi racconti di questo pezzo?

«Mi è stato ispirato dall’esperienza di quando vivevo a Roma a Piazza Vittorio, il quartiere multietnico per eccellenza. Al suo interno c’è il mio punto di vista, che non è assolutamente politico bensì molto personale, su quello che vive una ragazza quando torna a casa da sola di notte. Al di là dei numeri e delle visualizzazioni che mi fanno certamente piacere, la cosa che più mi ha reso felice di “Mandela” è il modo con cui è stata accolta, recepita da persone diverse. C’è una frase dell’astronauta russo Gagarin che mi ha molto ispirato e che dice “da quassù la terra non ha confini”. Semplicemente credo di essere nata in una parte del mondo fortunata, dove se voglio posso prendere l’aereo e andare dove mi pare, in questa canzone parlo di chi invece è obbligato a viaggiare, a spostarsi in giro per il mondo».

Quali sono i tuoi prossimi progetti in cantiere?

«Attualmente sono impegnata nelle riprese di una serie tv, parallelamente sto facendo un tour in duo acustico in cui propongo anche i pezzi nuovi. Dal punto di vista discografico, invece, non ho scadenze vere e proprie, nel senso che sto lavorando con Dade alla fase di chiusura dell’album, abbiamo diversi brani già pronti e, forse, usciranno ancora altri singoli».

Ti piacerebbe tentare il Festival di Sanremo?

«Beh sì, ci ho anche provato più di una volta, ma credo serva il pezzo giusto.  Certo, mi piacerebbe un sacco perché ho sempre seguito il Festival, in più ti dà la possibilità di proporre davanti ad un grandissimo pubblico un tuo brano inedito, questo secondo me è molto figo».

Per concludere, dove e a chi desideri arrivare con la tua musica?

«Non ho nessun tipo di preferenze, che siano uomini o donne, vecchi o bambini, italiani o stranieri, vorrei arrivare a tutti. Mi piacerebbe passare in radio con un bel pezzo, farmi apprezzare da più persone possibili, suonare con artisti che stimo, farmi conoscere per quella che sono. Piano piano, sento che ci stiamo riuscendo».

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Nico Donvito

Nato a Milano nel 1986, è un giornalista attivo in ambito musicale. Attraverso il suo impegno professionale, tra interviste e recensioni, pone sempre al centro della sua narrazione la passione per la buona musica, per la scrittura e per l’arte del racconto. Nel 2022 ha scritto il libro "Sanremo il Festival – Dall’Italia del boom al rock dei Måneskin" (edito D’idee), seguito da "Canzoni nel cassetto" (edito Volo Libero), impreziosito dalla prefazione di Vincenzo Mollica, scritto a quattro mani con Marco Rettani. L'anno seguente, sempre in coppia con Rettani, firma "Ho vinto il Festival di Sanremo" (edito La Bussola), con introduzione curata da Amadeus e il racconto di trenta vincitori della rassegna canora. Tale opera si è aggiudicata il Premio letterario Gianni Ravera 2024.