venerdì, Marzo 29, 2024

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Mario Biondi: “L’arte ci ricorda che la guerra è solo fonte di dolore” – INTERVISTA

A tu per tu con il popolare artista catanese, in uscita con il suo quattordicesimo album in studio, intitolato “Romantic

A un anno di distanza dalla nostra precedente chiacchierata, ritroviamo con piacere Mario Biondi, per parlare del suo nuovo disco “Romantic”. Ispirazione, gentilezza e sonorità anni ’70 sono gli elementi alla base di questo lavoro. Tra gli inediti in scaletta, spiccano l’unico brano in italiano “Fino all’ultimo respiro”scritto da Maurizio Fabrizio, e il duetto in napoletano “Ricuordate” impreziosito dalla partecipazione di Lina Sastri. Tra le cover, invece, due autentiche chicche: ovvero “Take it as it comes”, la versione inglese di “Prendila così” di Lucio Battisti, e “Tu malatia” cantata in siciliano e composta quarant’anni fa proprio da suo padre e da Gaetano Agate. Il risultato è un progetto che confluisce vari linguaggi per trasmettere un fortissimo e univoco messaggio di pace.

Ciao Mario, bentrovato. Partiamo da “Romantic”, come suggerisce il titolo è un disco che racconta l’amore in tutte le sue declinazioni. Direi che in un periodo come questo c’è proprio bisogno di parlare e di praticare sentimenti, no?

«Sì, sono sempre dell’idea che non bisogna praticare il romanticismo e il sentimento solo nei momenti critici e di sconforto, perché talvolta potrebbe essere considerato comodamente una specie di rifugio. Invece bisogna cercare di agire con bontà nel quotidiano, nella vita di tutti i giorni. Questo disco in alcuni brani rispecchia il suono ed il carattere degli anni ‘70, gli anni in cui la musica ci ricordava che la guerra è solo fonte di dolore. Ognuno di noi ha una vena romantica e spera che le problematiche si risolvano con il buon senso, con l’amore per il prossimo, non con violenza o ostilità».

In scaletta ci sono sei brani inediti e nove rivisitazioni. Il filo conduttore tra le tracce, oltre naturalmente alla tua inconfondibile timbrica, è il suono… rigorosamente analogico. Quali sono le motivazioni che ti spingono ad andare controcorrente e continuare a preferire i tuoi validi musicisti ai plug-in?

«Per questo progetto, l’idea di romanticismo, mi ha fatto propendere per avere tutti i ragazzi in studio con me, con l’obbligo di guardarci. Sai, siamo tutti bravi, navigati e non più di primissimo pelo, ma non dobbiamo mai dare per scontato certe cose, per cui diventa fondamentale interagire anche solo con lo sguardo. Nel momento in cui ci ritroviamo a suonare insieme, c’è un’energia che si sprigiona fra di noi ed è importante condividerla. La scelta dei brani fa parte di questa propensione, di questo concept album legato al romanticismo. Quindi, in parole povere, il progetto “Romantic” nasce già romantico a monte e non diventa romantico a valle».

MARIO BIONDI ROMANTIC

Lo scorso 8 marzo ti saresti dovuto esibire in concerto a Mosca, ma diciamo che nel corso della tua carriera hai avuto modo di cantare più volte sia in Russia che in Ucraina, di visitare le stesse città che in questi giorni sono sotto attacco. Riesci a dare una spiegazione a quello che sta accadendo? Sarà anche vero che la guerra fa parte del DNA dell’uomo, ma a volte sembra che la storia non ci abbia insegnato proprio niente…

«E’ un po’ così, purtroppo il passare del tempo non insegna molto, ma lo vediamo anche nel nostro quotidiano. Siamo soliti puntare il dito sulle cose evidenti e più grandi di noi, ma nel nostro piccolo non siamo da meno nel mancare di rispetto e nell’essere poco accoglienti con il prossimo. Ovviamente tra Russia e Ucraina c’è una questione politica antica e pregressa, dissapori che esistono dalla notte dei tempi. Putin racconta di aver deciso di difendere il suo popolo da un gruppo terroristico, quando sappiamo che la realtà è ben diversa e che gli equilibri est-europei sono saltati quando Zelensky ha strizzato l’occhio all’Occidente. Quello che mi preoccupa, però, non sono né le ragioni dell’uno né tantomeno quelle dell’altro. Il problema sono le condizioni inaccettabili in cui riversano i civili, dai bambini agli anziani. Non si può più tollerare nemmeno un minuto di quell’inferno, è una situazione inammissibile».

Per concludere, durante il Covid ce lo siamo chiesti più volte, ma cosa può fare realmente la musica in queste situazioni? Oggi come oggi, se uscissero una “Imagine” di John Lennon o una “Heal the world” di Michael Jackson, avrebbero ancora il potere di smuovere masse e coscienze oppure siamo troppo bombardati da informazioni per soffermarci sulla bellezza dell’arte?

«La velocità che abbiamo raggiunto negli ultimi anni ci sta facendo perdere di vista la dilatazione del tempo, lo stiamo stringendo sempre di più. E’ un atteggiamento umano, sicuramente favorito dal consumismo e dalla frenesia di questo momento storico, ma sono dell’idea che dovremmo rallentare. Io un po’ lo faccio, perchè per mia indole sono un vulcanico. Sono cresciuto negli anni ’80 alle pendici dell’Etna, in una città all’epoca molto difficile, a tratti pericolosa: ho imparato a rallentare, perchè se corri e se prendi decisioni affrettate rischi di fare male o di ricevere del male. Take it slowly, prendiamola piano, lentamente, ragioniamo un po’ di più sulle cose. In un momento come questo c’è bisogno di riflettere, di ascoltare e di prendere le misure con chi ci circonda, con il nostro interlocutore. Questo è diventato fondamentale, anche nella vita di tutti i giorni. Bisogna sempre cercare di capire a chi ci rivolgiamo e con chi abbiamo a che fare».

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Nico Donvito

Appassionato di scrittura, consumatore seriale di musica italiana e spettatore interessato di qualsiasi forma di intrattenimento. Innamorato della vita e della propria città (Milano), ma al tempo stesso viaggiatore incallito e fantasista per vocazione.
Nico Donvito
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Appassionato di scrittura, consumatore seriale di musica italiana e spettatore interessato di qualsiasi forma di intrattenimento. Innamorato della vita e della propria città (Milano), ma al tempo stesso viaggiatore incallito e fantasista per vocazione.