Intervista al noto cantautore e produttore impegnato a favore di storia e giovani
Maestro Leavezzi partiamo dal presente e, dunque, da “Imparare ad amarsi“, una canzone che pur non essendo scritta da lei in qualche modo le è legata a doppio filo. La partecipazione di Ornella Vanoni all’ultima edizione del Festival di Sanremo, accompagnata sul palco da Bungaro e Pacifico, in qualche modo arriva anche da una sua idea collegata al progetto di restituire centralità alla canzone e ai suoi vari componenti
<<Si, certamente. Essendo il produttore di Ornella Vanoni, del suo ultimo progetto e di questo brano in particolare sono coinvolto totalmente in questa sua nuova partecipazione al Festival>>.
Ecco, quanto di lei c’è in questo brano e in questo progetto che vede la grande Ornella Vanoni ritornare in gara sul palco dell’Ariston?
<<Abbastanza direi perchè ho dovuto convincere Ornella a compiere questo passo. Inizialmente non era molto entusiasta all’idea di partecipare alla gara come, d’altronde, non lo sono molti altri artisti della sua levatura ma, poi, ascoltando la canzone è stato molto più semplice compiere questa scelta, anche per lei stessa. Per quanto riguarda me ho un passato come produttore anche di brani non miei: vale per Dedicato di Loredana Bertè, per Come si cambia e altrettanto, per esempio, per Quello che le donne non dicono di Fiorella Mannoia. Sono tutti brani che ho prodotto io pur non avendoli scritti: non ho mai guardato, quando curo la produzione di un artista, nient’altro che l’interesse assoluto dell’artista. Ciò che mi ha sempre aiutato è stata l’autocritica, la capacità di capire quale brano possa meglio adattarsi al momento e alle persone>>.
Lei per primo, quindi, ha creduto in Imparare ad amarsi?
<<Si, è arrivata questa canzone firmata da Bungaro, Cesare Chiodo e Antonio Fresa con un testo molto impostato su di uno schema a duetto che, ovviamente, Ornella non poteva interpretare al meglio: un amore cantato in coppia alla sua età non sarebbe risultato credibile. Grazie alle ottime capacità di Pacifico il testo è stato parzialmente cambiato cucendo addosso ad Ornella il racconto e convincendola di tutte le potenzialità della canzone>>.
E’ “bastata”, dunque, la canzone a convincere Ornella Vanoni a partecipare al Festival?
<<Lei all’inizio avrebbe preferito essere presente nelle vestite di ospite ma, poi, ragionando insieme abbiamo capito quanto, in realtà, sarebbe stato più interessante partecipare alla gara che consente un’esposizione maggiore per il brano e per lei stessa che ha così messo nuovamente in luce tutta la sua capacità interpretativa>>.
Che poi, tornando alla presenza sul palco anche di Bungaro e Pacifico, il tutto si collegava con quella petizione firmata da lei e da altri importanti esponenti del cantautorato italiano per promuovere una revisione del regolamento del Festival
<<Si, esatto. Noi stiamo parlando del “Festival della canzone italiana” non di “Sanremo” quindi dovrebbe avere l’obiettivo di rappresentare l’eccellenza della produzione della canzone italiana cosa che, oggettivamente, negli ultimi anni non sempre accadeva. Quest’anno Claudio Baglioni ha fatto ciò che la nostra petizione presupponeva e ciò che fosse scelta la canzone e, solo in un secondo momento, l’interprete. La volontà di avere Bungaro e Pacifico è collegata alla mia produzione del progetto: Ornella con questa formula era più protetta, più sicura. Ogni artista vive delle ansie, non era, forse, il caso che lei vivesse ulteriori pesi e, visto che lei stessa firmò la petizione per dar maggior risalto alla canzone, ci è sembrato giusto avere sul palco tutti gli autori del brano dandogli il giusto onore>>.
Ripercorrendo la sua biografia per prepararmi a quest’intervista sono arrivato a definirla “l’uomo delle donne in musica” perchè, nella sua carriera da autore e da produttore, è sempre stato particolarmente legato all’universo femminile più che a quello maschile. E’ frutto di casualità oppure c’è un motivo ben preciso?
<<No, non direi che è frutto della casualità ma è, forse, dovuto al fatto che la prima produzione “professionale” che ho fatto fu al fianco di Loredana Bertè che per me è stata un’ottima palestra (ride). Mi chiamarono da allora per occuparmi prevalentemente di produzioni femminili: la Sony mi chiamò per occuparmi di Anna Oxa con Io no e la CGD per Fiorella Mannoia. Con Ornella capitò la stessa cosa: mi chiamarono per assegnarle Insieme a te durante una delle sue fasi depressive come lei stessa le ha definite recentemente>>.
Se dovesse riguardare i suoi inizi con gli occhi di oggi come li racconterebbe?
<<Sicuramente come quelli di un ragazzo entusiasta, appassionato di musica. Mio padre era avvocato e mio nonno pretore per cui avrei dovuto anch’io intraprendere quella strada ma non ci pensavo affatto, ero travolto anch’io, come molti dei miei coetanei dei primi anni ’60, dalla musica inglese e americana. Chi ha vissuto gli anni’60-’70 è stato un privilegiato perchè sono stati anni in cui il fermento sociale spingeva tutti alla creatività in ogni settore. Fu un ‘epoca che diede vita ad un nuovo illuminismo culturale mentre oggi stiamo vivendo uno di quei cicli di decadenza planetaria che costringe le nuove generazioni a dare nuova linfa a quello che, secondo me, è da sempre un ciclo dell’umanità stessa>>.
La fine degli anni 70 e l’inizio degli anni 80 sono stati per lei il vero momento d’oro. C’è qualcosa che le manca particolarmente di quegli anni o qualcosa che li hanno resi in qualche modo unici?
<<Pochi giorni fa ero ad una riunione in SIAE in cui alcuni relatori sostenevano la necessità di dare ai giovani autori degli impulsi e delle possibilità tali da permettere la nascita creativa di canzoni che a distanza di anni ancora oggi funzionano. Io ho fatto presente che, secondo me, tutto ciò non può più accadere per la velocità di consumo che oggi impediscono ad una canzone di durare così tanto ad eccezione, forse, di qualche brano fatto dai grandi nomi. A tutto, poi, si aggiunge la sovraproduzione di canzoni che non consente ai singoli brani di essere apprezzate e tenute nella memoria dalla gente>>.
E i nuovi nomi? Cioè, se il meccanismo che lei illustra è valido che destino hanno i nuovi artisti che, stando al suo ragionamento, non hanno la possibilità d’imporre nella memoria collettiva i loro brani?
<<Prendiamo Ermal Meta e Fabrizio Moro che hanno vinto il Festival di Sanremo quest’anno: quanto durerà la loro canzone sul sociale? A settembre la sentiremo ancora in giro? Mah… Più facile che ci si ricordi la canzone di Ornella Vanoni perchè rientra in un repertorio musicale più consono ad essere ricordato ma è comunque dura>>.
Tra le sue tantissime collaborazioni con le cosiddette “signore della musica italiana” a cui accennavamo prima ne ho selezionate 4 che sono Loredana Bertè, Anna Oxa, Fiorella Mannoia e Ornella Vanoni
<<Ho collaborato alla produzione anche di alcuni album di Loretta Goggi, eh (ride)!>>.
Beh certo, ma come anche di Alexia e tante altre
<<Ultimamente mi sono messo in testa e ho una fortissima determinazione di riportare al successo Alexia perchè ha una voce straordinaria che ha venduto milioni e milioni dischi. Nell’ultimo progetto che abbiamo realizzato insieme, Quell’altra, le ho fatto presente come, secondo me, dovesse calarsi anche nelle vesti d’interprete che le ha permesso di fare un salto di qualità e di maturità. Ora dobbiamo fare un ulteriore passo ma arriverà>>.
Delle quattro, però, che le citavo riuscirebbe a tracciarne un profilo personale e musicale in base alla sua esperienza?
<<Non è facile perchè ognuna di loro ha una caratteristica diversa che rende ciascuna totalmente diversa dalle altre. Diciamo che come interpreti avvicinerei Fiorella Mannoia ad Ornella Vanoni. Loredana Bertè ha una grinta, un estro e una capacità di proporsi unica: quando lavoravo con lei nel periodo di Dedicato e di E la luna bussò lei era esattamente come è oggi: le scelte di come vestirsi o come apparire erano totalmente sue tant’è che si disegnava i vestiti da sè come Renato Zero. Anna Oxa ha una capacità tecnica vocale ottima che a volte l’ha portata a mettere ciò in evidenza rispetto all’interpretazione tant’è che in alcuni suoi brani si fatica a capire le parole>>.
Negli ultimi anni è stato talvolta affianco anche di alcuni nuovi talenti ricordo, ad esempio, che nel 2009 ha prodotto il primo grande successo di Alessandra Amoroso, Immobile, e qualche anno più tardi ha affiancato Deborah Iurato.
<<Si, con la differenza, però, che gli album prodotti per Amici erano compilation in cui erano presenti tutti i ragazzi della scuola e che io ho curato nelle varie edizioni di Marco Carta, Alessandra Amoroso, Emma… Deborah, invece, l’ho sentita e dopo la prima puntata ho detto che mi sarebbe piaciuto occuparmi io della sua produzione perchè, a mio giudizio, aveva una capacità molto forte. Poi, però, tutto questo deve unirsi anche alla determinazione mentale di voler arrivare a degli obiettivi: io per lei avevo un obiettivo che non collimava con il suo probabilmente per cui dopo il non eclatante risultato di Sanremo 2016 ho preferito farmi indietro. Non riuscivo a capire quale utilità avrei potuto avere da lì in avanti per lei e per il suo futuro artistico>>.
Lei stesso, però, ha detto essere molto difficile riuscire a far musica per questi giovani ragazzi nella situazione attuale. E’ più una “colpa” dei “talenti” scoperti dalla TV o del sistema discografico che non lascia, poi, così tanto spazio come ai giovani degli anni ’60?
<<L’industria discografica si affida ai talent show lo fa perchè non ha più le risorse economiche per investire sui giovani, per andare a scovarli, per promuoverli e farli crescere. Un album si può realizzare con 10-20 mila euro, 30 ad essere generosi, ma poi casca l’asino, come si suol dire, per la promozione dove bisogna spendere per radio, stampa, TV. Se non si investe nella promozione il progetto non si conosce ma come si fa ad investire se non ci sono le risorse economiche? Quindi, il talent da la possibilità all’industria discografica di abbattere i costi di promozione, almeno inizialmente. Ma ricordiamoci che rispetto ai pochi che escono dai talent o da Sanremo Giovani ci sono i ben più numerosi che non vengono notati pagando il prezzo: quello dei giovani purtroppo è un ingranaggio che appare come inceppato>>.
E la naturale evoluzione di tutto ciò qual è?
<<Le etichette indipendenti ancora riescono ad ottenere qualcosa perchè si concentrano realizzando un percorso più lento ma che, con il tempo, da dei risultati. E’ un lavoro sicuramente più faticoso ma più “sicuro”. Con la SIAE stiamo proprio cercando di impegnarci a favore dei giovani tant’è che fino ai 30 anni non si paga più l’iscrizione, il deposito si può fare anche online e sono state avviate una serie di iniziative per mettere in evidenza i ragazzi>>.
Da qui trae origine anche la sua personale iniziativa a favore dei giovani, Campusband
<<Esatto ho pensato di dedicare un concorso a quelli che studiano (liceali e universitari) ma che sono appassionati di musica. E’ una piccola possibilità che consente al vincitore di pubblicare l’inedito presentato con il relativo videoclip sui relativi portali oltre che in rotazione radiofonica sulla radio-partner RTL 102.5. La possibilità sta anche nel fatto che, per esempio, per proporsi a Sanremo Giovani oggi è obbligatorio aver già pubblicato un singolo per cui questo può fornire un aiuto. E’ già possibile iscriversi nelle tre diverse categorie (gruppi, cantautori e interpreti) su www.campusband.it>>.
Ilario Luisetto
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