A tu per tu con la giovane cantautrice padovana, in uscita con il suo singolo d’esordio “C’è tempo“
Debutto discografico per Matilde Schiavon, artista classe ’92 fuori con l’inedito “C’è tempo”, brano da lei stessa composto durante il lockdown, un periodo difficile da cui sono nate riflessioni intime e personali, ma anche universali, sul tema della normalità. Approfondiamo la sua conoscenza.
Ciao Matilde, benvenuta. Partiamo dal tuo singolo d’esordio “C’è tempo”, che sapore ha per te?
«“C’è tempo” è un brano riflessivo, che descrive il percorso di quella che per me è stata una vera e propria presa di coscienza, a partire da un semplice “riordinare” le mie cose, i miei spazi, fino ad arrivare alla decisione di vivere per me stessa e per i miei sogni, libera dal peso delle aspettative che altri avevano su di me È un brano che vuole dare speranza all’ascoltatore e attivare una sorta di campanellino d’allarme che ci ricordi che il tempo c’è (non ci aspetta, ma non significa che non ne abbiamo) ma lo si deve spendere con intelligenza».
Quali riflessioni e quali stati d’animo ti hanno accompagnata durante la fase di scrittura di questo pezzo?
«Mi sentivo imprigionata nei pensieri, stretta tra il mio senso del dovere e quello che invece avevo sempre desiderato per me. Ho sentito la necessità di fare chiarezza, nella mia testa e nel mio animo, di fare una scelta che fosse solo mia, di ribellarmi e liberarmi dai sensi di colpa per le scelte che non avevo intrapreso o portato a termine. Il momento particolare che abbiamo vissuto mi ha fatta interrogare sul significato di quella “normalità” a cui tutti desideravamo tanto tornare e che però, a ben guardare, non mi sembrava davvero così “normale”: mancanza di comunicazione, mancanza di un momento per sé o per le persone care, in una vita frenetica in cui sembrava contare di più il risultato da ottenere che la persona stessa o il suo percorso. Non era e non è questa la “normalità” che sogno per me. Se mi guardo intorno le persone a cui voglio più bene potrebbero essere definite in tanti modi eccetto che “normali”. Ed è per questo che le amo».
C’è una frase che, secondo te, rappresenta e sintetizza al meglio il senso della canzone? E perchè?
«Per me che l’ho scritta, la frase più significativa è “E se non si può vivere di sogni, sarò un sogno e vivrò per me”, perché racchiude in sé la ragione che mi ha portato a scrivere questo brano. Mi sono sentita dire spesso che quello in cui stavo investendo le mie energie non era altro che un sogno impossibile, e che avrei dovuto pensare al mio futuro in un’ottica più concreta. Spesso le persone che hai vicino si sentono in diritto di dirti che cosa devi fare e io per prima ho sofferto per aver disatteso le aspettative degli altri, mi sono fatta rallentare e demotivare (anche se, grazie a Dio, erano molte di più le persone che mi dicevano di avere fiducia in me stessa). E così, ad un certo punto mi sono detta: “Ok, vuoi dirmi cosa devo fare? Dimmelo pure. Ma non puoi dirmi chi devo essere”. Ho deciso di diventare il mio stesso sogno, di identificarmi con quello che amo di più, perché la musica è stata la mia salvezza e senza di essa io non potrei essere io».
Dal punto di vista narrativo, invece, cosa aggiungono le immagini del videoclip?
«Il video contiene un paio di riferimenti diretti alle parole di “C’è tempo”, ovvero il mio libro di diritto privato (che richiama un percorso di studi, un capitolo della mia vita che, per quanto interessante, non si è rivelato essere la mia strada) e, al suo interno, come un “reminder” per il futuro, una foto che riassume quel senso di libertà e grande gioia che provo ogni volta che canto. In generale, trovo che la scelta di un panorama naturale e dell’orario delle riprese, con il sole che, nel corso del brano, scende fino al tramonto, si sposi perfettamente con l’atmosfera e il colore di “C’è tempo”, dando un senso di pace e serenità a chi ascolta. È un brano intimo, e anche il video è un racconto personale che vuole lanciare un messaggio in modo chiaro e privo di filtri».
Facciamo un breve salto nel tempo, quando e come ti sei accorta che la musica per te era qualcosa in più di un semplice passatempo?
«Quando ho iniziato a studiarla, avevo circa 17-18 anni. La mia prima insegnante, Vittoria, mi ha aiutato tantissimo a capire che la musica, se ne hai rispetto e ti ci dedichi in modo sincero, ti dà delle opportunità incredibili, se non altro l’opportunità di raccontare chi sei e di esprimere le tue emozioni in modo vero e autentico. E così è stato finora. Non è successo un episodio particolare, ma è stata una presa di coscienza che è maturata nel tempo, mentre studiavo all’università e parallelamente iniziavo a cantare nei miei primi progetti e a insegnare canto. Ci sono voluti sacrifici, scontri e lotte interiori, ma non potevo scegliere un lavoro migliore».
Quali ascolti hanno accompagnato e ispirato il tuo percorso?
«Ho sempre ascoltato e ascolto tuttora tanta musica italiana (Mina, Cocciante, Mia Martini, Lucio Battisti, Lucio Dalla, Venditti, Renato Zero, Laura Pausini, Elisa, Tiziano Ferro, Ultimo, Brunori, Cremonini) e i più grandi del pop/soul/rock internazionale (Whitney Houston, Celine Dion, Michael Jackson, Queen, Beatles). Mi piace ascoltare gli artisti con cui sono cresciuta, cerco di restare aperta anche alle nuove proposte e di apprezzare generi musicali diversi, anche se il mio cuore è decisamente pop».
Quali sono i tuoi obiettivi per il futuro e/o sogni nel cassetto?
«L’obiettivo principale è quello di lavorare sulla mia musica, scrivere, comporre e produrre i miei brani, per poterli far ascoltare e raccontare di me, magari in un concerto tutto mio. Sarebbe un sogno, e farò il possibile per realizzarlo. Parallelamente continuo la mia formazione nell’ambito del canto e della didattica, e a investire sui miei progetti di musica live».
Per concludere, a chi si rivolge la tua musica e a chi desideri arrivare?
«La mia musica è una musica popolare, sia nei testi che nella composizione, e la musica popolare è di tutti per definizione: vorrei che arrivasse alla gente in modo semplice e genuino, perché non è una musica fatta col pensiero di “vendere un prodotto” o di piacere a qualcuno in particolare, ma con l’unico desiderio di raccontare un’emozione e condividerla, in modo che chi ascolta possa ritrovarsi in quelle parole ed entrare in “risonanza” con me».
Nico Donvito
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