Matteo Bocelli: “Se sei autentico arrivi a tutti” – INTERVISTA

A tu per tu con Matteo Bocelli che si racconta in occasione dell’uscita del nuovo album “Falling in Love”, disponibile a partire da venerdì 12 settembre. La nostra intervista al cantante
Matteo Bocelli è tornato con un nuovo progetto dal respiro internazionale: “Falling in Love“, fuori dallo scorso 12 settembre per Decca Records / Universal Music. Registrato tra le colline toscane insieme al produttore Martin Terefe, già al fianco di Shawn Mendes e Jason Mraz, l’album fonde l’eleganza del pop romantico con l’intensità della tradizione classica italiana, dando vita a un lavoro intimo e ambizioso, dove la voce, il pianoforte e le emozioni sono protagonisti assoluti.
Composto da inediti scritti con autori di fama mondiale come Toby Gad, Iain Archer e Johan Carlsson, “Falling in Love” racconta l’amore in tutte le sue sfumature: dalla dolcezza alla nostalgia, dalla fragilità alla rinascita. In questa intervista, Matteo Bocelli ci parla del processo creativo, della collaborazione con Gianluca Grignani, del tour mondiale in partenza da New York e dell’equilibrio, sempre più personale, tra eredità familiare e identità artistica.
“Falling in love”: l’amore secondo Matteo Bocelli, l’intervista
Partiamo da una panoramica generale: come si è sviluppato il processo creativo di questo lavoro?
«”Falling in Love” è nato un po’ in tutto il mondo. Dopo il mio primo album, non ho avuto davvero il tempo di fermarmi e dedicarmi esclusivamente alla scrittura. I brani sono nati tra una camera d’hotel e il bus del tour. Forse è proprio questa la sua forza: non nasce dalla comfort zone, ma da luoghi che mi stimolavano in continuazione. La produzione, invece, è avvenuta a casa mia, in un piccolo studio che abbiamo allestito. Lì, con Martin Terefe e altri musicisti straordinari, abbiamo costruito il disco. È stato sempre il mio sogno realizzare un album così, suonando dal vivo, senza ricorrere a librerie digitali».
L’amore, raccontato con romanticismo e melodia, è al centro del disco. Hai contribuito alla scrittura di tutti i brani: che emozioni hai provato durante queste sessioni?
«Le sessioni di scrittura sono momenti importanti, ma io cerco sempre di arrivarci con idee chiare, melodie o testi già abbozzati. Altrimenti si rischia di finire in qualcosa di scontato o poco personale. Col tempo ho trovato autori con cui ho davvero sintonia. La scrittura ti mette a nudo, si parla delle proprie esperienze. Serve fiducia e una chimica reale».
La mia traccia preferita è “Amnesia d’amore”, un brano che mostra tante sfumature della tua voce. Come hai lavorato sull’interpretazione vocale del disco?
«‘Amnesia d’amore” nasce in un camp di scrittura per mio padre. Avevo registrato la demo con la mia voce e, cosa rara, quella versione non l’avrei cambiata per nulla al mondo. Ha colpito tutti, me per primo. Alla fine è entrata nel mio disco e sono felice che sia così. Le sfumature vocali, secondo me, emergono quando il brano ha una sostanza vera: un testo forte, una melodia importante. Inoltre, due anni e mezzo di tour mi hanno aiutato tantissimo, anche tecnicamente. Ora conosco meglio la mia voce e riesco a usarla con più consapevolezza».
Hai reinterpretato “La mia storia tra le dita” con Gianluca Grignani, trent’anni dopo l’uscita originale. L’hai portata anche a Viña del Mar. Che esperienza è stata?
«Viña del Mar è stata un’esperienza unica. Da lì è partito un tour in Sud America e il mio primo palazzetto a Santiago. Sentivo il bisogno di un brano in spagnolo nell’album e ho scelto quello. Non era obbligatorio coinvolgere Gianluca, ma per rispetto gli ho fatto ascoltare la mia versione. Non solo gli è piaciuta, ma ha voluto cantarla con me. Abbiamo anche avuto l’occasione di eseguirla insieme al Teatro del Silenzio. Emozioni forti, una dopo l’altra. Gianluca è un artista generoso, vero, puro, che ha davvero creduto in me. È stato bello condividere questo brano con lui».
Il disco si chiude con “Caruso” di Lucio Dalla. Perché questa scelta?
«È un pezzo che mi accompagna da sempre. Quando David Foster mi propose di fare un disco con lui a 16 anni, mio padre rifiutò: non era il momento, aveva ragione lui. Ma “Caruso” fu il primo brano che scelsi di cantare in pubblico, proprio con David. È rimasto con me da allora, è il pezzo con cui chiudo i miei concerti e ora i fan avranno finalmente una versione registrata. È una grande dedica d’amore, perfetta per chiudere il disco».
Quali skills pensi di aver acquisito durante la realizzazione di “Falling in Love”?
«Il vero cambiamento è stato nel modo di lavorare. Ho vissuto ogni momento con il produttore e i musicisti, anche fuori dallo studio. Condividevamo pranzi, vino, risate. Questo mi ha permesso di trasmettere la mia energia anche a loro, il mio quotidiano, il mio approccio alla vita. E tutto questo si riflette nelle canzoni».
Ti sei sempre diviso tra pop e lirica. In questo album senti di aver trovato un equilibrio tra i due mondi?
«Non penso mai a “combinare” due mondi. Cerco solo di essere sincero. Negli ultimi due anni ho vissuto davvero tanto, viaggiato, sofferto, imparato. Questo album è la somma di quelle esperienze. Non è un genere, è Matteo».
A chi si rivolge questo disco? Hai in mente un ascoltatore ideale?
«No, non ho un target preciso. Scrivo come parlerei alla mia sorellina, a un adulto, a un coetaneo. Se sei autentico, arrivi a tutti: un bimbo di dieci anni o una persona molto più grande. Sul pubblico rifletto più nei live, per la scelta della scaletta ad esempio, ma non quando scrivo».
A proposito di live, sta per partire il “Falling in Love World Tour”. Che tipo di esperienza ti aspetti?
«Abbiamo viaggiato per due anni con “A Night with Matteo”, ora voglio portare ancora di più la mia musica, anche se ci sarà sempre spazio per i classici. Il mio obiettivo è riuscire a includere tutti i brani del nuovo disco».
Per concludere, qual è la lezione più grande che la musica ti ha insegnato finora?
«La sincerità. Essere onesti con se stessi e con gli altri. Solo così si può vivere con serenità. E secondo me la serenità è più importante della felicità, perché è qualcosa che si può coltivare dentro di sé, ogni giorno».