Recensione del primo album d’inediti del giovane cantautore
Chi di noi non ha mai avuto un sogno irrealizzabile nella propria vita e per questo è riuscito, anche solo per un momento, ad immaginare che le favole potessero esistere davvero? Le storie di principesse e maghi hanno fatto parte di ognuno di noi e, forse, ci hanno insegnato più di quanto da adulti ci troviamo a pensare perchè l’immaginazione e l’irrealtà hanno lo strano ma invincibile potere di riuscire a far credere nei sogni, grandi o piccoli che siano, e a tutti piace sognare. Lo sa bene Matteo Faustini, ragazzo bresciano che quella voglia di chiudere gli occhi ed immaginare mondi incantati l’ha forse mantenuta più di altri testimoniandola nel suo album di debutto, Figli delle favole, che oltre a suonare come frutto di una dimensione altra riesce anche, in più punti, a raccontare la nostra realtà ordinaria con la consapevolezza illusoria di voler, un giorno, provare a cambiarla.
Il mondo delle favole è, ovviamente, parte vitale di questo progetto a partire dalla title track, Figli delle favole, che spalanca anche le porte ad una parte di brani decisamente più movimentati, freschi e contemporanei nelle intenzioni di ritornelli che si fanno canticchiare con facilità e orecchiabilità. Su questa scia s’inserisce anche la Si, lei è, dedicata all’amore assoluto per la musica, e Lieto fine?, che su di un basso a tratti blues e su di un sintetizzatore che concede anche qualche barra rap si trova a riflettere sul senso ultimo del racconto ricordandosi che “devi amare perchè solo non puoi stare mai”.
Piccole gemme risultano essere Vorrei (la rabbia soffice), una sorta di lettera aperta a sè stessi in cui si fantastica ad occhi aperti a proposito di un amore senza limiti e di un mondo che sappia davvero vivere secondo i più profondi valori morali, e Il cuore incassa forte, che, invece, inneggia (dirigendosi anche verso una destinazione finale che strizza l’occhio al pop-soul alla Giorgia degli anni ’90) alla forza del cuore per rialzarsi dopo ogni difficoltà e delusione. Gioiellino unico, invece, è Il gobbo con cui si condanna ogni forma di pregiudizio e di violenza partendo dal bullismo e arrivando all’omofobia passando per la xenofobia ed il gusto del giudizio gratuito (“non c’è più colore sulla mia pelle, non c’è più amore di serie A, non ho più paura delle mie scelte: ma là fuori il mondo poi ti giudica, siamo come il gobbo soli a Notre Dame“).
Concludono questo viaggio dentro l’intimità di Matteo, che poi è quella di gran parte di noi, un’arrabbiata Lo stregatto, in cui si sfoga tutta la delusione per l’immediata fine di una storia d’amore che si conclude come quando “mi hai pugnalato al cuore”, e Un po’ bella un po’ bestia, che, invece, inneggia alla bellezza della vita e, contemporaneamente, ne mette in mostra tutta la sua fragilità e provvisorietà.
Migliori tracce | Nel bene e nel male / La bocca del cuore / Il gobbo / Vorrei (la rabbia soffice)
Voto complessivo | 8.5/10
Tracklist |
- La bocca del cuore