A tu per tu con il tenore emiliano, reduce da successi numerosi internazionali a dieci anni da “Amici“
Correva l’anno 2009, tra i banchi della nona edizione di “Amici” di Maria De Filippi si faceva largo Matteo Macchioni, il primo aspirante tenore a prendere parte al celebre talent show di Canale 5. Dagli studi di Cinecittà ai teatri più importanti d’Europa, questo il destino di un artista che si è evoluto nel tempo, fino a calcare palchi prestigiosi come il Teatro alla Scala di Milano, il Teatro Carlo Felice di Genova, il Teatro Verdi di Padova, il Teatro Olimpico di Vicenza, il Teatro Regio di Parma, la Royal Danish Opera House di Copenhagen e la Welsh National Opera di Cardiff. Acclamato dal pubblico e dalla critica a livello internazionale, l’artista è da poco rientrato in Italia dove è stato protagonista, lo scorso 10 maggio, con uno speciale evento presso la Chiesa Santo Stefano degli Agostiniani di Empoli. Il tenore sarà protagonista per tutta l’estate con diversi spettacoli, tra cui citiamo il “Don Giovanni“ di Mozart in scena al Theater Freiburg di Friburgo in Germania e nel “Guillaume Tell” di Rossini al Festival di Erl in Austria.
Ciao Matteo, bentornato in Italia, sei sempre in giro a portare la nostra musica nel mondo, a tenere alta la bandiera tricolore, ma andiamo con ordine: come e quando nasce questa tua passione per la musica?
«Da bambino quando avvertivo l’esigenza di distruggere pentole e padelle, perché il ritmo è la prima cosa che arriva, il voler fare rumore. Poi da cosa nasce cosa e ho cominciato a studiare lo strumento a tastiera, inizialmente l’organo, pian piano mi sono iscritto al conservatorio per la scuola di pianoforte, dove mi sono diplomato anni dopo. La mia formazione artistica nasce come musicista e pianista, prima ancora che come cantante, infatti, la laurea in canto lirico la prenderò il prossimo giugno, nonostante lavori già da tempo in giro per il mondo».
Nel 2009 hai partecipato ad “Amici”, diventando il primo tenore a prendere parte al talent show di Maria De Filippi. Arrivi fino alla finale classificandoti quarto, quell’anno vince Emma, seconda Loredana Errore, terzo Pierdavide Carone. A dieci anni di distanza, cosa porti con te di questa esperienza?
«Tanti bei ricordi, innanzitutto. E’ stata un’esperienza positiva, una bella parentesi che ho vissuto da studente, questo è importante sottolinearlo, perché come ti dicevo avevo preso alcune lezioni di canto private, ma ero un aspirante tenore, come disse in quella circostanza lo stesso Maestro Beppe Vessicchio. Il talent mi ha messo a contatto con un mondo diverso da quello che vivevo in conservatorio, lo considero un approccio e per me un punto di partenza, perché la vera gavetta è arrivata dopo quando ho navigato in mare aperto».
Stai seguendo “Amici” quest’anno? Mi riferisco in particolar modo ad Alberto Urso, il tenore di questa 18esima edizione
«Ho seguito un paio di puntate, devo dire che da quello che ho visto e sentito ho avuto un’impressione positiva, Alberto è un ragazzo di talento, con degli studi accademici alle spalle, ho letto che è laureato in canto lirico, ha un background importante e questo è molto positivo. Mi ha fatto piacere vedere Vittorio Grigolo, un talento incredibile di fama internazionale, credo che sia un’operazione che stia andando molto bene, onestamente parlando».
Hai girato il mondo, conosci tante realtà, questo può essere un discorso legato alla mentalità. Siamo amati in giro per il mondo per il bel canto all’italiana, perché fatichiamo noi stessi a riconoscerlo o, peggio ancora, scimmiottiamo in malo modo dei generi che non sono i nostri. Come se la stanno passando l’arte e la cultura del nostro Paese?
«Partiamo dal presupposto che l’Italia è ancora vista come un punto di riferimento per la formazione classica operistica, perché ci sono tanti studenti stranieri che vengono a studiare nei nostri conservatori. La nostra è una solida scuola che può formare ancora degli artisti, la mia impressione è che l’arte in generale sia molto più viva e in fermento di quella che è la percezione generalista. Personalmente penso che l’Opera lirica dovrebbe essere tutelata dall’Unesco, perché fa parlare italiano nel mondo, la nostra cultura viene esportata nella nostra lingua, seppur in modo arcaico perché non si tratta di un linguaggio corrente. Questo è un grande vanto per noi, mi sento orgoglioso da questo punto di vista, mi piace sottolineare quello che funziona piuttosto che parlare delle cose che non vanno».
Possiamo al contrario affermare che Rossini, Donizzetti, Verdi, Puccini, Mozart siano state le prime rockstar della storia?
«Non possiedo alcun titolo, non mi reputo un musicologo, sono un cantante e un musicista, non ho la presunzione di dare dei giudizi o di esprimere dei teoremi, ma credo che l’Opera lirica sia un genere popolare, alla portata di tutti. Mozart, Rossini e i grandi compositori che hai citato, non hanno scritto per un’élite, hanno composto musica pop per arrivare il più possibile alla gente. Questo genere musicale nasce per il popolo, è un errore quando si dice che il pubblico teatrale è rappresentato da una sola fascia della nostra società, l’Opera è per tutti, certo ha un costo, ma non deve essere inteso come musica colta, perché non lo è».
Per concludere, qual è la lezione più importante che senti di aver appreso da tutti questi anni di attività musicale?
«Che ci sono cose buone che possono essere insegnate da tutti, qualcosa di positivo e di utile c’è a livello multilaterale, bisogna avere sempre le orecchie aperte per carpire ciò che ti può essere utile. Essere in grado di apprendere e assorbire come una spugna, può essere utile per captare le cose, masticarle, digerirle e riportarle con la propria personalità».
Nico Donvito
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