“Interpretare è cercare gli spazi ancora vuoti di una canzone”: appassionata lettera aperta del noto e severo critico musicale al giovane artista piemontese finalista a Castrocaro 2018 su Raiuno
E’ andata in scena ieri sera, in una timidissima ed inutile seconda serata televisiva, la sessantunesima edizione del Festival di Castrocaro, manifestazione ormai storica della musical leggera del nostro Paese a cui tanto bene ha fatto nel corso della sua storia e che oggi, purtroppo, se ne sta come un relitto a guardare il paesaggio che cambia, muta, si trasforma senza alcun bisogno del suo intervento.
In me ha causato, nuovamente, un dolore sordo e assonante la notizia di vedere, nuovamente, oscurato e osteggiato la seconda manifestazione musicale più importante e duratura del nostro Paese dopo il più famoso e scintillante Festival di Sanremo. Sarà che credo fermamente che nella TV italiana ci sia posto ancora per entrambi, sarà che sono assolutamente convinto che ci sia la necessità di ridare ai giovani emergenti uno spazio tutto loro che sia diverso dai palchi dei talent show, sarà che sono nauseato all’idea di vedere dei ragazzi con delle potenzialità giocarsi tutte le loro carte in un appuntamento registrato, mandato in onda a tarda notte in un periodo dell’anno in cui il palinsesto non offre chissà quali altri appuntamenti d’importanza maggiore. Un po’ per tutti questi motivi ho scelto, questa volta, di non seguire la trasmissione in segno di una piccola e personale protesta ma sono felice che, nel marasma della scarsissima qualità a cui ultimamente ci si era abituati anche a Castrocaro, il collega Maurizio Scandurra abbia notato una proposta valida d’attenzione dedicando un suo personale pensiero che qui riporto fedelmente:
Ringrazio sentitamente in primis l’Amico fraterno e valente Direttore Ilario Luisetto per lo spazio prezioso di cui sempre mi fa dono, quando avverto il bisogno istintivo e irrefrenabile di condividere un pensiero importante per qualcuno. Uno spunto di riflessione che mi auguro possa essere producente.
Chi mi conosce, sa quanto sia difficile e molesto, per il sottoscritto, parlare di talent show e affini: ‘E’ come un pugno nello stomaco/un vetro rotto dalla fantasia’, per citare in tema, e sempre con piacere, gli irripetibili Matia Bazar di ‘Stringimi’, capolavoro insuperato del 1989, come del resto tutti quelli numerosi e ugualmente immortali sbocciati nell’era targata Antonella Ruggiero.
In carriera, in qualità di giornalista e critico musicale, l’ho fatto soltanto due volte, in positivo: la prima, per lodare l’indiscutibile talento di Marco Mengoni, artista eccezionale e altrettanto meritevole, che dire di più?
La seconda, invece, per sottolineare la freschezza vocale, la classe e il talento puro di Ilaria Porceddu, voce regina – tra le più giovani emerse negli ultimi anni – per ricerca del bello e della qualità: titolo acquisito di diritto, come una laurea honoris causa, grazie anche alla splendida Tabula Rasa, magistralmente scritta dal poeta contemporaneo e music-maker Gae Capitano, come ha rilevato per primo nel 2017 con autorevolezza e consueta, disarmante schiettezza anche il sagace e sempre attento Collega Michele Monina.
Non c’è due senza tre: si sa, gli antichi adagi non sbagliano mai. Ed eccolo, allora. Veniamo subito al dunque.
Lo faccio ora, per la prima volta in assoluto, per uno degno di affermazione. Al 61° ‘Festival di Castrocaro’, su Raiuno, in seconda serata – sotto gli occhi di una giuria attenta, impreziosita dalla presenza di un fuoriclasse e cantautore puro, Gatto Panceri – il 10 agosto 2018 è sfilato un volto: che, per noi addetti ai lavori, e per il pubblico più attento, proprio nuovo non è.
Una stella, proprio la notte di San Lorenzo (le coincidenze hanno sempre un loro perché, e possono altresì essere beneauguranti per il futuro, come mi auguro vivamente anche in questo caso), che porta il nome di Giuseppe Leone: piemontese di Galliate (possiede però origini siciliane), astro in erba ma che, con le giuste dritte, potrebbe potenzialmente rivelarsi una piacevole conferma, trovando degno incastro e ampio posto nel cielo auspicato e fortunato delle star canterine di domani.
Stando a quanto si apprende dai suoi social, e dalle notizie circolate in rete, di giorno pizzaiolo in un locale del novarese (a Cameri, dove un tempo si fabbricavano per la ‘Fiat’ anche le carrozzerie degli autobus urbani, quelli tutti gialli, li ricordate?) di proprietà della mamma Giovanna (le recensioni di web e Facebook dicono che lì, la pizza, sia una vera bomba!).
E figlio invece, per parte di padre, di uno stimato musicista professionista, sul palco per tutti semplicemente Principe Leone, cantante, animatore, speaker radiofonico di web radio, organizzatore di eventi e deejay poco più che quarantenne, sempre della zona. Un 50% di arte geneticamente ereditata è sempre una buona partenza, un impulso in più.
Di notte, invece, Giuseppe è un instancabile cantante, pianista, rocker, musicista. Uno che ama il live, il contatto con il pubblico, il sudore sulla fronte, la cultura delle radici, i valori onesti e assoluti che pagano nella vita, e fanno la differenza. I presupposti ci sono tutti per una di quelle storie destinate a fiorire nel tempo.
Giovane, semplice, genuino e di provincia (valore assolutamente positivo, per Chi scrive), sul palco di Castrocaro in tv ha reinterpretato ‘Adesso tu’: brano che fece la fortuna di Eros Ramazzotti, il ragazzo di provincia per antonomasia della musica italiana che travolse tutto e tutti, in quel decennio di super canzoni, elettronica e tanta, tanta dance che furono gli ‘80.
Il mood estetico è anche un po’ quello: maglietta con sopra indosso una camicia con le maniche risvoltate e ben tirate su fin sopra il gomito (semioticamente, sinonimo di attitudine al lavoro e all’impegno), presenza scenica delicata e convincente, voce potente e viso pulito con occhi così intensamente azzurri che trasudano gioia, e sensibilità da vendere.
Personalmente, il miglior artista in gara che abbia visto e sentito su quel palco, popolato – ahimé, ahinoi! – invece per lo più da anonimi soggetti smarriti. E altrettanti visi pallidi privi d’espressione che nulla dicono: e proprio di niente sanno, anche a voler far loro a tutti i costi un favore. Pur volendoselo a forza imporre, come gesto di cristiana carità e altrui umana benevolenza.
Tant’è che, per un attimo, ho smesso di persin di fare ciò che mi occupava in quel frangente (leggere un buon libro, raramente la tv esercita un simile potere sul Sottoscritto), e ho ascoltato: di scatto, e di gusto. Lasciandomi poi sfuggire naturale un’interiezione col pensiero: “Però,…”, mi son detto. Dunque, da qui la voglia spontanea di approfondire. Di saperne degnamente e rispettosamente di più: sull’artista, e sulla persona che gli sta dietro.
Giuseppe Leone è uno che ci crede. Uno che vale, si vede lontano un miglio. Le prova tutte, senza stare con le mani in mano. Né tantomeno arrendersi, spedito come un treno in corsa, e altrettanto serenamente entusiasta, verso una destinazione ambita e ben chiara. Così si fa e si deve fare sempre, se si vuol spuntarla e uscire fuori a testa alta, vittoriosi, dalla mischia dei pretendenti i riflettori.
Non sa proprio che cosa siano le braccia conserte, nella musica (e, ne sono certo, anche nella vita, visto che aiuta e supporta quotidianamente nel mestiere un genitore), ma la determinazione costante e muscolare, quella sì: ne è un ostinato assertore, un valente campione. A 20 anni – e, comunque, a tutte le età – uno ha ben il diritto di lottare per credere concretamente nei propri sogni, specie se candidi e passibili di realizzazione, come questo suo.
Ha tentato due volte ‘Amici’ e ‘X Factor’, mettendosi totalmente in gioco. A ‘The Voice of Italy’ 2018 è persin giunto in diretta su Raidue alla delicata terza fase delle Blind Auditions, con una magistrale interpretazione letteralmente osannata dal pubblico di un brano difficilissimo: ‘Sign of the times’ di Harry Styles, già membro dei pluricelebrati One Direction. Senza ottenere, però, il plauso di alcuno dei quattro coach (tra cui anche Albano, Francesco Renga, Cristina Scabbia dei Lacuna Coel), le cui poltrone sono rimaste tutte ferme, in posizione di partenza.
Idem con patate anche su Raiuno, ove ha comunque fatto bella figura: riportando fedelmente le testuali parole – nel caso di specie, illuminate e sagge – di J-ax proprio a lui rivolte in studio a ‘The Voice’: “Era bravo, ma a noi serve un calcio nelle palle, non un grattino sulla schiena”. Parole anche sante! A loro modo, un invito sincero e istintivo a far bene, e meglio, se possibile.
Non stimo i rappers: ma c’è sempre, con intelligenza e umiltà, da apprendere da tutti, specialmente quando hanno ragione, e i risultati sono dalla loro. E il buon Alessandro Aleotti, padre nobile e ‘santo patrono’ di tutti i più o meno bravi e famosi parlatori su base musicale emersi negli ultimi vent’anni in Italia (trap e indie rap inclusi), è uno che, in fatto di successi, la sa comunque davvero lunga. Il ‘problema’ (risolvibilissimo e altrettanto superabile, sia ben chiaro ai lettori!) di Giuseppe Leone non è affatto la voce. E neanche l’immagine, o le movenze, la proprietà scenica.
E’, semmai, provare a imprimere maggiore e più autentica, convincente personalità all’intenzione del canto. Tirarla fuori con le unghie e con i denti: nello specifico, concentrarsi di più non tanto sull’esecuzione tecnica (già peraltro ottima), bensì soltanto sul piglio interpretativo, che necessita di evolvere verso un impatto più schiacciante e dirompente, per poter dare il massimo.
Di essere ancora opportunamente forgiato e plasmato artigianalmente, come si fa con i metalli preziosi, con il fuoco caldo e utile del tempo, e la mano esperta di un sapiente e ottimo produttore artistico, se vuole trasformarsi in un impeto e un suono carismatico e irresistibile anche per le masse. Di strappare all’istante, con mani e piedi della voce, con tutto sé stesso, occhi, anima e cuore a chi lo ascolta. A chi ha davanti a sé, in piedi o seduto poco importa. Rapirlo. Stregarlo, punto e basta: questo è l’obiettivo. Ogni debolezza che si fa forza, appaga e ripaga, come la migliore delle monete esistenti. Tu puoi farlo, Giuseppe.
Deve saper graffiare, mordere di più, far sognare, far librare in aria i sensi, smarcandosi dall’innata ‘sindrome da coverismo imperante’ che affligge indistintamente, come un male diffuso e spesso incurabile, più o meno il 98% dei giovani cantanti desiderosi di compiere il fatidico, agognato grande salto: alias, quell’idea errata per la quale chi reinterpreta un successo cerca di emularlo, rifacendolo il più possibile identico all’originale. Ritenendo ciò anche un vanto. Un fiore all’occhiello. Una coccarda o medaglia ben visibili al petto, di cui andare fieri.
Qui non siamo al karaoke, non c’è Fiorello sul palco, e neanche all’interno dello showcase per lo più soventemente impreciso di una qualsivoglia, qualunque, comune e anonima band il sabato sera in un pub inglese. Qui si parla di Artisti e Canzoni che aspirano all’Eternità. A restare quantomeno a lungo, come ora a cuore aperto sto augurando succeda anche a te.
Anche i grandi pianisti, violinisti, singoli musicisti-(poli)strumentisti in genere ricercano sempre le cosiddette variazioni sul tema, quando rielaborano o rieseguono meraviglie di altri. E’ lì che eccellono, il motivo per cui vengono consegnati alle mani fedeli e amorevoli della Storia.
Interpretare è propriamente cercare con la voce quel non ancora detto, uno spazio vuoto fra la musica e le parole di una stessa canzone finora rimasto ignoto, e pertanto non percorso da altri. Questo è il mio consiglio spassionato e appassionato, vivo e vibrante per te, caro Giuseppe. Sintonizzati, se vuoi e se puoi, su queste parole, se le ritieni utili. Giuste. Facci mente locale, un mantra da ripeterti a loop, se davvero presto vuoi sfondare.
La musica professionale è un fatto complesso. Tortuoso, faticoso, ma pur sempre profondamente appagante. E’ come un amore: desidera sempre il lato migliore. Richiede di più, per poter ricambiare, a sua volta, ancor più generosamente, nel tempo, come una cornucopia che dispensa ricchezze infinite. Una voce come la sua, come quella di Giuseppe Leone, nata per esplodere, ha bisogno di inediti importanti con cui sporcarsi di più, cuciti sartorialmente su misura addosso a lui. Che gli calzino addosso a pennello, senza pieghe, e con colori vivaci e altrettanto intensi, come la più elegante e stupefacente delle mode durature.
Di autori bravi e capaci, con cui rinchiudersi in studio di registrazione per dei mesi, a provare e riprovare la quadra e la squadra per partorire convintamente un idoneo repertorio che apra definitivamente quella tanto attesa porta: argomenti e stili musicali, mondi sonori, alchimie che sappiano valorizzare, seppur in italiano (ma anche, sparso qua e là, qualche accenno di inglese che ha dimostrato di saper ben pronunciare e masticare correttamente a livello vocale), la vocazione intrinsecamente e spiccatamente internazionale che il suo modo di cantare, a un orecchio attento e arguto, nell’immediato tradisce.
Del suo inedito da poco rilasciato in rete – dal titolo ‘Romy’, e lanciato con lo pseudonimo di Leone – apprezzo, ancora una volta, solo un elemento. Lo stesso di prima, sempre quello: la bella voce, il gusto del belcanto (l’arrangiamento di Davide Maggioni, che in passato ha fatto molto di meglio per altri artisti, non convince affatto: e neanche il brano).
Voce e Belcanto che, se abbinati a un grande – GRANDE! – pezzo, le canzoni per la vita e della vita, possono fare realmente far di lui un artista credibile e duraturo, sulla scia dei magnetici performers maschili reinaugurata in Italia da Marco Mengoni: e di cui, per quel che mi riguarda, il caro Pino Mango, sublime ‘Artista e Maestro della Voce’, resta precursore, apripista, pioniere indiscusso, insuperato e indimenticato.
Cerca prima di tutto le canzoni, Giuseppe: le ribalte decisive arrivano dopo. Cercale nei luoghi e fra le persone giuste. Questo è il Vangelo di un artista che arriva e che resta. Lasciati guidare dalla vita, e sii fiducioso. ‘Rem tene, verba sequentur’, Cicerone aveva ragione: abbi costantemente chiaro il concetto, il tuo senso, e il successo presto verrà a trovarti. Alle volte un buon letargo è funzionale a una magnifica, profumata primavera. Così un’attenta preparazione solo nuovi brani, pensati e firmati apposta per te, per essere realmente TU il protagonista primo e indiscusso, a tempo debito, di una longeva, bella, soddisfacente stagione artistica.
Il giornalista ha anche – deontologicamente e, soprattutto, anche umanamente – il compito di aiutare, sostenere, incentivare, stimolare e fare del bene: oltre che di informare correttamente, quando c’è del buono. Parola di critico musicale, la spendo qui volentieri per lui. Provare per credere. Fidatevi, e abbiate pazienza. Maturerà come ogni buon raccolto, tempo al tempo.
Ma di questo artista, concludendo e tirando le somme, apprezzo anche una seconda, imprescindibile qualità: la dote della tenacia (che, a volte, fa miracoli), di cui ha fatto un’arte vitale, per la sana e produttiva costanza che giornalmente profonde a piene mani nelle sette note. Il successo vero germoglia con lentezza, proprio come le rose d’inverno. E il Leone è capace e ruggente: può diventarlo ancora, il re della foresta, se solo segue la giusta direzione. Dipende tutto da lui. Per essere davvero FUORI LISTA (nomen omen, quando il nome è un presagio, così si chiama l’attuale pop-rock band di cui è anche il frontman), nella musica quanto lungo il sentiero dell’esistenza, occorre saper uscire dagli schemi: con equilibrio, e originalità. Ripeto convinto: tu puoi farcela, Giuseppe.
E ricorda bene: non esiste gioco di potere – anche nello showbusiness, in discografia – capace di resistere al terremoto di una vera emozione. Di offuscarla, e impedirle di approdare ov’è destinata a giungere: in Alto. Adoperati, e fai di tutto per crearla, allora. Sia questo, il tuo Credo. So che ne sei capace. Lavora duramente in vista di quel giorno, è lì pronto che ti aspetta. Corrigli incontro a perdifiato: e gridagli a voce piena, in ogni senso, tutto il tuo amore. Il buon Dio sta già facendo il resto.
In bocca al lupo, Giuseppe. Tifo per te.
Ilario Luisetto
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