A tu per tu con Mauro Di Maggio, in occasione dell’uscita del singolo “Avvelenato”. La nostra intervista al cantautore romano
Tempo di nuova musica per Mauro Di Maggio, fuori con un nuovo inedito dal titolo “Avvelenato”. Il brano, disponibile dallo scorso venerdì 11 ottobre, riflette su esperienze dirette e sguardi sul mondo.
Il protagonista di questa canzone può essere ciascuno di noi o chi ci sta accanto, chi è succube delle scelte di altri e non si rende conto che, giorno dopo giorno, la rabbia, il disagio e la frustrazione stanno crescendo.
Attraverso le immagini del videoclip, diretto da Giulio Cannata, viene poi descritto questo risveglio di coscienza che porta a una nuova consapevolezza. Approfondiamone ogni dettaglio con il diretto interessato.
Mauro Di Maggio presenta “Avvelenato”, l’intervista
Qual è stata l’ispirazione principale per questo brano?
«“Avvelenato” è come se fosse una sorta di grido, un grido di una coscienza che si risveglia, una coscienza che si risveglia da un certo avvelenamento più che altro spirituale all’interno di una società nel quale nasciamo e cresciamo dando per buoni tutta una serie di abitudini. Tutta questa serie di modelli, di esempi e di insegnamenti, li prendiamo per buoni perché vediamo e ascoltiamo quello che ci circonda. Questo genere di cose si scontrano col nostro sentire, con la nostra percezione, che spesso poi va più avanti, oppure il nostro intuito è ancora più attento, ancora più in profondità. E così ci si risveglia, ci si ritrova, ci si riscopre, tirando fuori questo grido che vuole in qualche maniera rompere e cambiare passo per permetterci di uscire fuori dai binari».
Nel testo parli sia dal punto di vista personale che della società.Puoi approfondire cosa intendi con il concetto di avvelenamento esistenziale?
«L’avvelenamento esistenziale avviene quando, facciamo un esempio, nasciamo all’interno di famiglie o di contesti sociali, qualsiasi associazione o scuola, e accettati oppure ci viene spontaneo aderire. Questo aderire, spesso e volentieri, è fatto non tanto per un nostro credo, ma è fatto più per essere accettati. E comporta un forte malessere quando in realtà lo facciamo consapevolmente o inconsapevolmente controvoglia, contro un nostro sentire. Poi ci sono anche gli avvelenamenti proprio di vita, cioè la prepotenza, la violenza, le guerre. Sono partito proprio dalla mia esperienza, ho scritto questa canzone un po’ di anni fa quando ho vissuto un periodo di questo genere, un periodo dove mi sentivo infelice e mi rendevo conto che la vita scorreva senza che poi ci fosse una sorta di appiglio d mi rendevo conto di come io avrei dovuto trovare una strada diversa. Ovviamente poi l’avevo trovata, l’ho perseguita».
Quali sono gli aspetti che reputi più asfissianti su cui, secondo te, bisognerebbe porre maggiore attenzione a proposito di questi malesseri sociali?
«In primis, questa sensazione che tutto vada male, che tutto sia disastroso. Questi atteggiamenti disfattisti mettono ansia quando alla fine noi per vivere di cosa abbiamo bisogno? Abbiamo bisogno dell’aria, del cibo sano e anche relativamente sufficiente, quindi basta poco, ma questo per dirti che sembra quasi che questa ricerca dell’abbondanza sia comunque un disagio se poi non avviene. Poi abbiamo bisogno di cosa, di star bene, di essere gioiosi, e per essere gioiosi ci basta ci basta davvero poco: penetrare nel nostro inconscio, nel nostra spiritualità, seguire i nostri segnali, non farci influenzare gli elementi esterni che poi fanno il brutto e il cattivo tempo all’interno del nostro vivere».
Per concludere, qual è la lezione più importante che senti di aver imparato dalla musica fino ad oggi?
«Più che una lezione posso dirti che a me la musica ha dato tanto in termini di amore. E quindi sono grato alla musica perché dalla musica ho ricevuto e ricevo tanto. Quindi, prima di tutto, nutro una grande gratitudine. Forse l’insegnamento che la musica mi ha dato è aiutarmi a dirigermi verso ciò che amo e che più conta per me nella vita».
Nico Donvito
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