A tu per tu con il popolare cantautore lombardo, in uscita con il suo nuovo album “Qualcosa di nuovo“
La voce di più generazioni è tornata, pronta a farsi sentire nuovamente. Stiamo parlando di Max Pezzali, idolo dei teenager di ogni età, artista che non ha bisogno certo di presentazioni. “Qualcosa di nuovo“ è il titolo del suo quinto album di inediti da solista, dodici tracce impreziosite dai featuring con J-Ax, Tormento e GionnyScandal. Il risultato è un disco consapevole, fedele alla propria storia e allo scorrere del tempo, che guarda al passato senza rimpianti.
Ciao Max, bentrovato. Partiamo da “Qualcosa di nuovo“, ci racconti qualcosa in più del processo creativo?
«L’album era previsto per aprile, con il titolo ancora da decidere. Poi, vista la situazione, è stato posticipato. L’intenzione era quella di uscire con un disco nuovo per avere un bel po’ di inediti da poter presentare sui due palchi di San Siro a luglio, successivamente al lockdown la concezione dell’intero lavoro è cambiata, quello che mi appariva normale nelle canzoni prima non mi sembrava meritevole di una narrazione dopo. Al netto dell’assenza dei live, ritenevo fosse comunque giusto farlo uscire perchè l’album rappresenta un momento della vita dell’artista, oltre che delle persone che ha intorno, se lo decontestualizzi rischia di diventare obsoleto, fuori dal contesto che lo ha generato».
Una volta deciso di uscire con il disco, sentivi che mancasse qualcosa?
«Sì, ma non riuscivo a capire cosa. Michele Canova da Los Angeles mi ha mandato via WhatsApp un brano composto con Jacopo Ettorre, dandomi l’opportunità di lavorare su un pezzo che, secondo me, centrava perfettamente con quello che avrei voluto dire, ossia raccontare un amore con un fondo di malinconia che, per forza di cose, negli altri pezzi non c’era. L’obiettivo era riuscire a lasciare un sottofondo di malinconia ottimistica, che è un po’ lo stato d’animo di molti di noi dopo quello che abbiamo vissuto e durante quello che stiamo vivendo ancora oggi».
Come giudichi l’attuale stato di salute della musica?
«Per chi fa il mio mestiere, il live è l’elemento fondamentale. L’assembramento e l’aggregazione sono le ragioni stesse del nostro lavoro, fatto per cantare tutti insieme stando più vicini possibile, sudatissimi. Siamo in assoluto la categoria ad avere meno possibilità in questo momento, per quanto mi riguarda io non vado in giro con un quartetto d’archi, un mio concerto è un’altra cosa, ha bisogno di un certo tipo di dimensione, non vado a cantare “Hanno ucciso l’uomo ragno” o “Nord sud ovest est” in versione introspettiva, con il pubblico distanziato che non può nemmeno alzarsi in piedi., non sono canzoni nate per essere eseguite così. Il problema della musica è enorme, non solo per quanto riguarda me o i miei colleghi, pensiamo al mondo dei deejay e dell’EDM, alle aggregazioni che si possono ricreare in quel tipo di eventi. Il nostro è un settore che ha ancora pochissimo ossigeno, è anche più difficile intervenire dal punto di vista degli aiuti. L’augurio è che il Governo possa aprire un tavolo, discutere delle criticità specifiche».
Tornando al disco, il tempo è una tematica ricorrente dell’intero lavoro. Come si è evoluto negli anni il tuo rapporto col tempo che passa?
«Il mio rapporto col tempo è mutato. Quando sei giovane non vedi l’ora che passi alla svelta per arrivare chissà dove, convinto che il mondo ti debba qualcosa e che tutto sia ai tuoi piedi. Quando arrivi alla mia età, invece, speri che il tempo rallenti un pelo (ride, ndr), secondariamente ti rendi conto che le opzioni sono molto più ristrette, con l’aumentare delle responsabilità della vita si riducono le possibilità di scelta. Gli affetti ti legano, hai degli obblighi, non puoi fare il matto, mollare tutto e aprirti un chiringuito in Costa Rica, tanti miei coetanei lo hanno detto per anni, in realtà non ci è andato quasi nessuno e chi ci è andato non è rimasto poi così contento. Quindi, caro tempo, rallenta un attimo perché negli ultimi anni sei passato troppo rapidamente (sorride, ndr), mentre quando era ragazzo le giornate sembravano non finire mai».
Essendo tu un esempio di artista che è riuscito a comporre canzoni che hanno superato abbondantemente la prova del tempo, sei riuscito a comprendere l’ingrediente segreto in grado di trasformare un semplice brano in un potenziale evergreen?
«Guarda, la personalità delle canzoni è per me ancora uno dei più grandi misteri. Tipo mi viene in mente “Vita spericolata”, che a Sanremo non era stata troppo considerata e poi è diventato un inno, non di una generazione, bensì di una nazione. Oppure “Con te partirò”, che ha partecipato al Festival nel mio stesso anno, non piazzandosi nemmeno nei primissimi posti, per poi diventare uno dei pezzi italiani più ascoltati degli ultimi quarant’anni. Le canzoni vivono un po’ di vita propria, non sai mai cosa può accadere. L’unico sforzo che chi le scrive può fare è cercare di essere sempre più sincero e meno mestierante possibile. C’è un momento in cui è necessario sfoderare la tecnica per trovare una rima giusta, questo è normale, pur che questo sia limitato ai casi estremamente necessari. Bisogna essere nudi quando si compongono le canzoni, se le scrivi troppo da coperto è difficile che alla gente arrivi qualcosa».
A proposito di Sanremo, hai partecipato in gara al Festival solo due volte nel corso della tua carriera. L’Ariston è un palco che ti piacerebbe ricalcare?
«Sanremo non è il mio campo da gioco ideale, mettiamola così. E’ come se tutti facessimo atletica, ma la mia specializzazione è nel lancio del peso. Pur facendo anch’io atletica non mi sento molto adatto alle dinamiche del Festival, però vorrei mandare un grandissimo abbraccio ad Amadeus e Fiorello, perchè in questo momento la musica ha bisogno di un grande traino, quindi un Sanremo che accenda i riflettori sull’attuale situazione della musica. A loro va il mio più grande in bocca al lupo».
Il palco di San Siro avrebbe dovuto ospitare, tra gli altri, anche Mauro Repetto, ma in futuro potrebbe esserci realmente una tanto agognata reunion degli 883?
«Con Mauro al momento intratteniamo dei rapporti via mail, nonostante il periodo saremmo distanziati comunque, perchè lui vive a Parigi e io a Pavia. Di recente ci siamo scambiati dei file, lui mi ha mandato delle tracce di pezzi su cui sta lavorando in italiano, cosa molto interessante. Appena ho qualche giorno continuativo di tempo libero, voglio provare a vedere di lavorarci un po’ sopra. Tutto prosegue e, secondo me, dovremmo inventarci qualcosa… al di là di San Siro».
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© foto di Michele Piazza
Nico Donvito
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