A tu per tu con la band campana, in gara tra i ventiquattro finalisti con “Chiamami amore adesso”
Quattro identità differenti ma che parlano lo stesso linguaggio, questo e molto altro ancora sono i Mescalina, gruppo che fonde il rock al pop legandolo con l’elettronica, in un mix di sfumature sospese a metà tra ritmica e melodia. “Chiamami amore adesso” è il biglietto da visita che presenteranno in gara a Sanremo Giovani, in onda su Rai Uno giovedì 20 e venerdì 21 dicembre, contest che permetterà a due proposte di prendere parte alla sessantanovesima edizione del Festival della canzone italiana in scena il prossimo febbraio. In occasione di questa importante tappa del loro percorso, abbiamo incontrato per voi la band composta da Sika (voce), Giancarlo Sannino (chitarra e sequenze), Cesare Marzo (basso) e Claudio Sannino (batteria).
Ciao ragazzi, partiamo da “Chiamami amore adesso”, brano con cui concorrerete nella finalissima di Sanremo Giovani. Com’è nato e cosa rappresenta per voi?
«E’ un pezzo nato una sera per caso dopo un concerto, da un semplice giro di batteria, poi ci siamo chiusi in studio ed è venuto fuori grossomodo quello che potete sentire. Il brano racconta un momento di amore vero sospeso nel tempo, che può durare anche solo per una notte».
Un pezzo firmato da voi e prodotto dal Maestro Umberto Iervolino, un nome una garanzia. Quali tematiche affronta e che tipo di sonorità avete scelto per presentarlo al grande pubblico?
«Umberto è il numero uno nel suo genere, le sonorità sono arrivate in maniera folle e spontanea, come di solito nascono le nostre canzoni, spaziando dal pop al rock attraverso l’elettronica. Per quanto riguarda il testo, invece, abbiamo cercato di raccontare un tema come l’amore attraverso un altro punto di vista, in maniera totalmente non convenzionale».
Parole spontanee ma anche molto ragionate, come concetto di fragilità intesa come alibi. E’ questa, secondo voi, la chiave del pezzo?
«Esatto, dichiarare la propria fragilità spesso viene inteso come un atto di coraggio, ma è soprattuto un alibi. Le cose succedono perché le vogliamo, non ci dobbiamo nascondere dietro i nostri momenti di debolezza, ma affrontare le situazioni della vita con impegno e passione. Il testo, come hai detto tu, è spontaneo ma anche molto ragionato, cerchiamo di creare suggestioni con le parole raccontando storie che possono capitare a tutti, magari da una prospettiva diversa e per nulla scontata».
Nella vostra biografia mi ha colpito e fatto sorridere la frase: “I Mescalina nascono nel 2017. Un giorno a caso”. Cosa significa esattamente?
«Quando lo raccontiamo le persone pensano che stiamo scherzando, in realtà è successo tutto davvero per puro caso. Non ci ricordiamo nemmeno la data, ma tutto è nato in modo naturale, spontaneo e all’improvviso. Ci siamo ritrovati a suonare in una jam session, da lì ci siamo conosciuti e confrontati sui nostri reciproci gusti musicali, fino ad arrivare a parlare lo stesso linguaggio».
Dunque, quattro personalità differenti che si sono riscoperte simili. Quali ascolti hanno ispirato ed influenzato il vostro percorso?
«I nostri ascolti vanno da Pino Daniele ai Radiohead, abbiamo cercato di mettere insieme i nostri rispettivi bagagli culturali, ma in maniera precisa e credibile. A livello di scrittura ci riteniamo pop, ma ci rifacciamo al rock anni ’70 e ’90 per quanto concerne le sonorità. Quando ci chiedono il tipo di genere che facciamo, non sappiamo dare una risposta ben precisa, perché non si avvicina a nulla di preciso, ma ricorda vagamente cose del passato che fanno parte della nostra crescita personale e artistica».
Con quale spirito vi affacciate al mercato e come valutate il livello generale dell’attuale settore discografico?
«Oggi ci sono tante produzioni fatte bene, il problema è che si somigliano troppo tra di loro, non sono accattivanti e mancano messaggi degni di nota, tant’è vero che sono anni che i pezzi italiani non riescono a varcare i confini nazionali. Bisogna tornare a realizzare canzoni fuori dagli schemi, originali e riconoscibili. Rispetto al passato la qualità è migliore, perché gli strumenti a nostra disposizione sono tecnologicamente più avanzati, ma manca la necessità di fare musica, l’istinto che ti spinge a prendere in mano il microfono e gli strumenti e spaccare tutto».
E’ molto difficile anche immedesimarsi nelle canzoni di oggi, secondo voi perché?
«Perché viviamo nell’epoca dell’interpretariato, i ragazzi non scrivono più, si vergognano ad esprimere le proprie emozioni e questo non va bene, preferiscono farsi scrivere i testi dai soliti autori piuttosto che tirare fuori una parte di loro stessi».
Credete di aver raggiunto una vostra identità ben definita o, più semplicemente, ne siete ancora alla ricerca?
«Abbiamo trovato una nostra identità, ma siamo sempre aperti a contaminazioni e nuove sonorità. Ci sentiamo alla continua ricerca di stimoli, ci piace giocare con gli arrangiamenti e stravolgere la struttura di un pezzo, il divertimento è alla base del nostro lavoro. Però ci sentiamo in continua evoluzione, ma abbiamo una forte identità di base».
Cosa vi aspettate da Sanremo Giovani? Al di là della vittoria e della conseguente possibilità di calcare il palco dell’Ariston, cosa rappresenterebbe per voi il riconoscimento più importante?
«Già il fatto di esserci è una bella vittoria, essere stati scelti da una commissione di quel calibro che crede nel nostro progetto, è la cosa che ci gratifica di più. Aver raggiunto questo traguardo in un solo anno di attività è una cosa assurda, ma che ci stimola a dare il massimo. Ovviamente ce la giocheremo come tutti gli altri, consapevoli della nostra forza musicale, ma la speranza è quella di farci notare, creare un nostro pubblico, suscitare l’interesse di quante più persone possibili attraverso lo schermo e una platea così importante».
Nico Donvito
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