A tu per tu con la cantautrice milanese Micol Martinez, in uscita con il disco “I buoni spropositi“
Tempo di nuova musica per Micol Martinez, disponibile sulle piattaforme digitali con il suo nuovo album di inediti intitolato “I buoni spropositi”, anticipato dai singoli “Buon anno amore mio” e “Mai o mai”. In occasione di questa sua nuova uscita, le abbiamo rivolto alcune domande per approfondire la conoscenza della sua visione musicale.
Ciao Micol, benvenuta. Partiamo da “I buoni spropositi”, il titolo del tuo nuovo album di inediti, cosa racchiude al suo interno?
«È un album… “di sentimento” direi. Ogni canzone è diversa dalle altre. Partiamo da “Buon anno amore mio”, che ha un fondo tragico-ironico su una melodia calzante, poi “Mai io Mai”, che ha una spinta ritmica più forte, è un pezzo ballabile a cui si contrappone un testo di spessore. Poi ancora la canzone “Non vedi che”, che abbraccia una quiete rassegnata ed ha forse una ricercatezza armonica maggiore; “Di me e di te” è un gioco, una fotografia di personaggi al di fuori di me su una musica più frivola, poi “Il Pirata Jade” che tocca in modo metaforico e simbolico il tema della discriminazione su un impianto melodico pop raffinato.
“Una buona occasione” è la storia di due fratelli e della loro adolescenza inquieta. “32 dicembre” è il giorno che sta tra la fine dell’anno e l’inizio del nuovo, è quel giorno dove tutto può accadere, soprattutto le cose più belle. L’album si chiude con “Brina”: un brano in cui si cerca il buono nella semplicità delle cose, dedicato a una mia cara amica».
Quali tematiche e che tipo di sonorità hai scelto di abbracciare?
«Ho optato per soluzioni più semplici rispetto al passato. Banalmente perché ne avevo bisogno. Avevo bisogno di qualcosa di fluido e più luminoso. Musicalmente c’è ricercatezza in gran parte dei brani, ma è velata. Si tratta di sonorità acustiche e elettroniche insieme. Ho dato la precedenza alla voce, tanto da usarla come veri e propri arrangiamenti».
“Buon anno amore mio” è il titolo del primo singolo che ha anticipato questo lavoro, com’è nato e cosa racconta?
«Come dicevo prima, è una canzone ironica. Nasconde, sia a livello di testo che musicale, una malinconia di fondo, parla di quel modo dell’essere umano di nascondere in primis a se stesso la verità; finendo così per nasconderla anche agli altri. La paura di rendersi conto dei propri limiti e accettarli».
Qual è l’aspetto che più ti affascina nella fase di composizione di una canzone?
«La magia del momento in cui la canzone si scrive da sola, perché scrivo sempre intuitivamente».
Solitamente, da cosa ti lasci ispirare?
«Da tutto. Esperienze, sogni, desideri, il mondo che mi circonda, il mondo che vivo ma anche quello che immagino. A volte film visti e romanzi letti».
Da fruitrice, invece, come descriveresti il tuo rapporto con la musica? Ti reputi un ascoltatrice versatile o tendi a cibarti di un genere in particolare?
«Mi cibavo di rock, di punk, di dark, di indie in generale (l’indie di dieci anni fa). Da qualche anno sono diventata decisamente più versatile. Ascolto di tutto. Poi chiaramente alcune cose, quelle “facili”, diciamo così, le evito e non mi interessano. Dò molta importanza al testo. Se non c’è quello, che sia almeno di forma se non di contenuto, per me la canzone ha davvero poco valore».
“Mai o mai” è il secondo estratto, accompagnato dal videoclip diretto da Stefano Poletti, cosa avete voluto trasmettere attraverso quelle immagini?
«Energia, forza, gioco, movimento, sottolineando che siamo tutti uguali e diversi allo stesso momento e che ognuno ha una propria identità che deve essere riconosciuta dall’altro. Nessuno è meglio o peggio».
Se dovessimo definire “I buoni spropositi” con un’emozione, uno stato d’animo, quale sceglieresti?
«Direi che è come planare sul mondo».
Per concludere, a chi si rivolge oggi la tua musica e a chi ti piacerebbe arrivare?
«Può arrivare a chi ha una sensibilità e una capacità di ascolto maggiore rispetto alla maggior parte della gente. Poi, certo, chiunque fa musica, con la propria musica, credo vorrebbe arrivare ovunque».
Nico Donvito
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