Mille: “Ho imparato a rilassarmi” – INTERVISTA

Mille C'est fantastique

A tu per tu con Mille, che si racconta in occasione dell’uscita del nuovo album “Risorgimento”, fuori dallo scorso 19 settembre. La nostra intervista alla cantautrice romana

Tempo di nuova musica per Elisa Pucci, in arte Mille, che ha reso disponibile il suo primo album ufficiale: “Risorgimento“. In questa intervista racconta di un disco potente, ruvido e lucido, dove l’intimità si fa rivoluzione e il dolore si trasforma in forza creativa.

Anticipato dai singoli “Il tempo, Le febbri, la sete”, “C’est fantastique” e “UMPM (un maledettissimo posto migliore)“, il lavoro arriva dopo due anni di scrittura e prende il titolo da una parola dal significato storico e personale insieme. In “Risorgimento“, l’artista intreccia rock, lampi punk, incursioni elettroniche e una narrazione spudorata, diretta, a volte cinematografica, sempre piena di vita. Ogni brano è un tassello di una rinascita: non solo artistica, ma emotiva, quotidiana, concreta.

Abbiamo incontrato Mille sul suo balcone di casa, luogo simbolico e reale di molte delle storie che compongono questo disco. Un’intervista sincera, senza filtri, come la musica che racconta.

Mille presenta il disco “Risorgimento”, l’intervista

“Risorgimento” è un titolo forte: quale significato assume per te questa parola e com’è nata l’idea di chiamare così il tuo primo album?

«Sì, è il mio primo album ufficiale e “Risorgimento” è una parola che mi è molto cara. Per me significa tornare alla sorgente, tornare alla vita. Porta con sé tantissimi significati: c’è ovviamente un riferimento al periodo storico, ma anche alla voglia di imitare e ricomporre pezzi di sé che si erano un po’ sparpagliati nel tempo. Risorgere implica movimento, cambiamento, trasformazione: esattamente quello che racconto nel disco. È un titolo nato per caso, durante una conversazione con una persona a cui stavo raccontando i cambiamenti della mia vita, su tanti fronti: professionale, sentimentale, abitativo. Vivevo a un piano, poi sono salita di due… E lui mi fa: “Stai vivendo un risorgimento.” Lì ho avuto un’illuminazione: ho bloccato tutto e ho detto “Ecco il titolo del disco”».

Hai definito “Risorgimento” una rinascita. Cosa hai lasciato andare e cosa hai accolto durante la realizzazione e la metabolizzazione di questi brani?

«Hai usato la parola giusta: metabolizzazione. Ho imparato a digerire meglio quello che mi è successo, ad accettarlo e ad abbracciarlo, sia nel bene che nel male. Ho lasciato andare soprattutto la rigidità, quella severità che avevo verso me stessa e anche verso gli altri. Un tempo stiravo i capelli, lunghissimi e perfetti, oggi li lascio al naturale. È una metafora, ma racconta bene il cambiamento: sono più morbida, più accogliente. Ho imparato a rilassarmi».

A livello musicale, che tipo di sonorità avete scelto di abbracciare con Unbertoprimo per accompagnare questa catarsi?

«Sono tornata all’essenza della musica, per come l’ho sempre vissuta: basso, chitarra, batteria, voce. Suonare in sala, in studio, dal vivo. Il mio primo EP era nato durante la pandemia ed era più digitale, più virtuale. “Risorgimento” invece è nato con la chitarra elettrica in mano, con l’ossatura dei brani costruita in tempo reale, insieme Unbertoprimo. La musica è fisiologica, è corpo, è braccia. Dovevo suonare le canzoni, viverle anche fisicamente».

Molte tracce hanno una forte componente cinematografica. Quanto e in che termini il cinema influisce la tua scrittura?

«Molto. Non nel senso che prendo ispirazione dai film, ma che vedo letteralmente le immagini mentre scrivo. O forse scrivo perché le vedo. La musica racconta benissimo le immagini, per questo amo le colonne sonore».

Se “Risorgimento” fosse un film, con che genere lo descriveresti e quale sarebbe il regista perfetto per raccontarlo?

«Mi viene in mente David Lynch. Non saprei dire il genere, un po’ come per la mia musica, non riesco a incasellarla. Ma Lynch sì. Perché, nonostante la malinconia e il romanticismo, c’è sempre un sottile strato di amarezza nei miei racconti. Quindi probabilmente sarebbe un noir, ma onirico».

A proposito del singolo “UMPM”, ci racconti com’è nato e cosa rappresenta per te quel “maledettissimo posto migliore”?

«Il videoclip l’ho girato qui, nel mio palazzo, usando il mio balcone, le mie stanze e anche quelle dei vicini. Il “maledettissimo posto migliore” è proprio casa mia. È maledettissimo per tutto ciò che ci ha preceduto, dai momenti difficili agli ostacoli, ma è anche il posto migliore, perché è qui che ho trovato una sorta di pace. Il superlativo “maledettissimo” lo uso per alleggerire, per liberarmi: è un’esclamazione che contiene fatica ma anche felicità».

Nella traccia “Video Hard” parli di spettacolarizzazione del dolore. Quanto hanno influenzato, secondo te, i social e i mass media in questo?

«Sono assolutamente amplificatori. Personalmente li uso pochissimo, solo per comunicare cose mie. Non rappresentano la realtà nella sua interezza. Preferisco i rapporti veri, quelli in cui puoi bussare alla porta, quelli in cui “ci mangi insieme chili di sale”, come si dice dalle mie parti, prima di chiamare qualcuno amico. Le sovrastrutture social sono utili, ma vanno dosate. La verità sta nelle relazioni vere».

“Tour Eiffel” con Rachele Bastreghi è un incontro di voci fortissime. Come è nata questa collaborazione al femminile?

«Con Rachele ci siamo conosciute a un festival qualche anno fa. La nostra conversazione è stata subito profonda, mai solo formale. Quando ho scritto “Tour Eiffel”, l’ho fatta ascoltare a Davide e ho detto: “Sarebbe bellissimo se ci fosse la voce di Rachele.” L’abbiamo chiamata, lei l’ha ascoltata e ha detto subito: “Facciamola.” Per me è stato un dono immenso, e proprio per questo l’ho voluta come chiusura del disco. È stato il mio modo di dire grazie».

Per concludere, se dovessimo buttarla in percentuale: quanto di Elisa e quanto di Mille c’è in “Risorgimento”?

«Difficile dirlo. Non separo Elisa da Mille, non ho mai voluto costruire un personaggio. Elisa come nome d’arte era già preso, e usato bene, tra l’altro, quindi ho scelto Mille. Ma sono sempre io. Le due cose coincidono, nonostante ci sia una percezione esterna che distingue artista e persona. Quello che scrivo è sempre autobiografico, realmente accaduto. Non c’è scissione, non ce n’è bisogno».

Scritto da Nico Donvito
Parliamo di: