A tu per tu con il cantautore calabrese, in uscita con il suo nuovo progetto discografico intitolato “Tsunami“
“Tsunami“ è il nuovo album di Giuseppe Chimenti, alias Modì, un lavoro prodotto da Fabrizio Massara (ex Baustelle). Un disco eterogeneo e raffinato, che racconta l’universo di emozioni e culture custodite dai quartieri multietnici di città metropolitane. Approfondiamo la sua conoscenza
Ciao Giuseppe, benvenuto. Partiamo dal tuo nuovo lavoro “Tsunami”, a cosa si deve la scelta del titolo?
«Tsunami in giapponese significa letteralmente onda del porto: è un’onda che diventa quanto più devastante e travolgente tanto più arriva nei pressi della riva, distruggendo tutto ciò su cui si riversa. Il titolo del disco, mi è venuto in mente ancora prima che lo scrivessi, per un nuovo capitolo della mia vita artistica: volevo realizzare un album d’impatto, che racchiudesse in sé contenuti e suoni capaci d’inondare, musicalmente parlando, gli ascoltatori e trascinarli in un vortice di emozioni. Un’idea ispirata da Torpignattara, il quartiere della zona est di Roma che mi ha accolto più di vent’anni fa, caratterizzato da una forte multiculturalità, con una potente impronta orientale».
Quali riflessioni e quali stati d’animo ti hanno accompagnato nella fase di scrittura delle nove canzoni in scaletta?
«Il disco lo incominciai a scrivere nel 2018. Ricordarsi perfettamente tutto è arduo, ma l’amore e la soddisfazione, ogni volta che scrivevo una canzone, mi arricchiva di emozioni, mentre sensazioni particolari, mai vissute prima, mi assalivano. Era come se stessi facendo un viaggio mentale e vivendo in un altro posto del mondo, che non fosse quello del mio quotidiano. Ero molto divertito e soddisfatto».
A livello musicale, che tipo di sonorità avete voluto abbracciare insieme al producer Fabrizio Massara?
«Io avevo le idee molto chiare per l’album: il “vestito sonoro” che avevo in mente era legato alle atmosfere a cavallo tra la fine degli anni ‘70 e i primi anni ‘80, caratterizzate da quel sinth-pop che strizza l’occhio al pop. Quando si è presentata l’opportunità di collaborare con Fabrizio, grazie all’amicizia con Andrea Nicoletti, che condividiamo, ho colto la palla al balzo: pensavo fosse perfetto per questo lavoro, e non mi sbagliavo».
Quali sono gli elementi e le caratteristiche che ti rendono orgoglioso di questo disco?
«“Tsunami” mi piace moltissimo, trovo che sia un disco equilibrato, dove gli elementi sono tutti al posto giusto: testi, suono, melodia, arrangiamenti. Il risultato finale è addirittura meglio di come lo immaginavo: un’opera con una vita autonoma, che è diventata altro da me, e percorre la sua “strada” anche lontana dalla sua origine».
Facciamo un salto indietro nel tempo, come e quando hai scoperto la tua passione per la musica?
«La passione per la musica l’ho scoperta già all’età di quattro anni: a casa si ascoltavano diversi generi musicali. Si spaziava da De Andrè a Beethoven, da Mozart a Brian Eno, Jannacci e Ivan Graziani: insomma, tante belle cose! Poi il liceo artistico, la musica delle posse, gli anni ‘90 e la voglia di esprimersi tramite uno strumento, i primi concerti… A casa dei miei genitori circolavano vari strumenti: una chitarra acustica e una elettrica, che appartenevano a mio padre, chitarrista “per diletto”. Mio nonno paterno suonava mandolino e chitarra, mio zio suonava, e suona ancora, la chitarra; insomma gli stimoli non mancavano».
Quali artisti hanno accompagnato e influenzato la tua crescita?
«Come dicevo, la mia passione musicale è iniziata da piccolo. Sono cresciuto con “Creuza de ma” ascoltato all’infinito e poi, dopo i quindici anni, The Cure, Depeche Mode, Bluvertigo, Franco Battiato, Joy Division, Nick Cave, New Order e tanta altra musica».
A cosa si deve la scelta del tuo nome d’arte?
«Sono cresciuto a pane e pittura: mio padre era un pittore di fama internazionale e nella mia famiglia le influenze culturali sono state determinanti. La mia formazione è caratterizzata da scuole artistiche, con il liceo artistico prima e l’Accademia di Belle Arti poi. Volevo mantenere, nel mio nome d’arte, il collegamento con le mie radici artistiche legate alla pittura, così ho scelto Modì, in onore di Modigliani, artista livornese noto ai più per i ritratti femminili caratterizzati da volti stilizzati e allungati».
Per concludere, qual è la lezione più importante che senti di aver appreso dalla musica fino ad oggi?
«L’umiltà, la voglia di mettersi sempre in gioco, non accontentarsi mai e, soprattutto, la capacità di evidenziare il lato umano».
Nico Donvito
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