A tu per tu con Montecreesto, per parlare del singolo “Mofo”. La nostra intervista al cantautore napoletano
È fuori dallo scorso 6 novembre, il nuovo singolo di Montecreesto, all’anagrafe Arcangelo Curci. Il brano, intitolato “Mofo” (asportabile qui), racconta la mascolinità tossica che pervade la società odierna, un retaggio culturale che porta molti uomini a reprimere le proprie emozioni, provocando un profondo smarrimento che ha, in alcuni casi, epiloghi drammatici.
Il cantautore napoletano denuncia, mescolando sapientemente italiano e dialetto, i comportamenti disfunzionali diffusi nell’universo maschile, una catena viziosa che combatte con il linguaggio universale della musica. Ecco cosa ci ha raccontato.
Cosa ti ha spinto a scrivere su temi come la mascolinità tossica e la repressione delle emozioni?
«Negli anni ho letto e sentito tante storie dolorose di fragilità maschile. Questa sfocia troppo spesso in gesti estremi: lì ho capito che è la nostra difficoltà ad accettare e gestire le emozioni, a farci uscire di testa. Ho scritto “Mofo” per raccontare il contatto con la mia emotività, nella speranza che tanti uomini possano iniziare a togliere la maschera delle convenzioni sociali».
Nella tua canzone, menzioni che “le mamme piangono, i figli non ci riescono”. Cosa ha ispirato questa tua riflessione?
«Se gli uomini piangessero di più (invece di ripiegare su “soluzioni” peggiori), tante mamme non dovrebbero farlo al posto loro, quando ormai è troppo tardi. Questa metafora nasce dalle storie di cronaca che sento oramai da anni, nelle quali gli uomini finiscono per fare del male a sé stessi e agli altri».
Mescolare l’italiano e il dialetto napoletano nella tua musica è una scelta consapevole. Quali caratteristiche ti affascinando di questa combo linguistica?
«Mentre la lingua italiana ha una poetica molto forte, quella napoletana ha il dono della sintesi: ho cercato di coniugare questi due mondi, per veicolare il messaggio del brano nel modo più efficace possibile e spero di esserci riuscito».
A proposito del tuo percorso musicale, c’è stato un momento preciso in cui hai capito che la musica era la tua compagna di vita oppure il processo di consapevolezza è stato più graduale?
«Ho iniziato a camminare ballando i brani di James Brown con i miei fratelli: la musica è, da sempre il mio pane quotidiano. La mia famiglia mi ha sempre supportato, comprandomi strumenti vari e finanziando la mia passione in ogni modo possibile. Mi sento benedetto dalla musica e la coltivo ogni giorno, da sempre. Mi piace pensare che sia stata lei, a scegliere me: non posso deluderla».
Dal 2021 hai intrapreso un percorso da solista con Montecreesto. Come descriveresti l’evoluzione della tua musica da quel momento in poi?
«Rispetto ad Arcangelo, Montecreesto è più consapevole: sa bene cosa vuole dire e come vuole dirlo e può farlo grazie al supporto di un team fantastico e ad un approccio più intimo e personale, alla stesura dei brani. È per queste ragioni che reputo la mia musica molto più diretta e attuale di prima».
Per concludere, qual è l’insegnamento più importante che pensi di aver appreso dalla musica fino ad oggi?
«La musica mi ha insegnato che l’amore è in tutte le cose: anche il rumore più sordo, se messo al posto giusto può creare una magnifica armonia. Vorrei ricordare una magnifica frase del maestro Ezio Bosso: “La musica è come la vita. Si può fare in un solo modo: insieme”».
Nico Donvito
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