domenica, Aprile 28, 2024

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Musica in arresto: le scelte di marketing che impoveriscono l’arte e deridono il pubblico

La musica ha perso sotto i colpi dell’impoverimento artistico e dello sfruttamento economico

Giustizia è fatta verrebbe da dire. Ciò che era stato deciso è ora compiuto. I responsabili, d’altro canto, non sono gli esecutori del gesto ma tuttalpiù i mandanti. Di che cosa sto parlando? Dell’ennesimo crimine mortale compiuto ai danni della musica, dell’arte o, più propriamente, di quello che ne rimaneva.

Eh si, perchè della musica vera e propria, quella che scalda i cuori e racconta un qualcosa, oramai sono rimaste poche e misere tracce. Prima ci si è svenduti all’oggi, alle mode passeggere, ai dettami di chi ha preteso di fare della patria del bel canto e del canto impegnato una povera terra di conquista per il reggaeton da spiaggia privo di contenuti e di vocalità (qui la mia ultima disamina su tale fenomeno tutto italiano), poi, come se non bastasse, ci si è messo di mezzo il marketing, la strategia, l’imbroglio. E così la musica ha perso due volte: ha perso prima la sua rassicurante credibilità “made in Italy” e, poi, ha perso la fiducia del proprio pubblico che ha compreso, mano a mano, gli inganni che dietro alle proprie spalle discografici (e, a volte, artisti stessi) hanno spesso tramato per qualche copia venduta in più.

I responsabili sono gli artisti, certo, ma sono ben guidati e consigliati. E alla fine di tutto ciò che resta? Cosa rimane della nostra musica al netto di mode passeggere, voci insignificanti, testi insipidi, imbrogli commerciali e scadenti strategie di marketing promozionale che non fanno che inaridire il lato artistico, oltre che quello umano, di un cantante? Niente, un corpo morto, senza vita. Un corpo che rimane lì, ucciso da chi sappiamo ma senza una ragione.

Franz Kafka, uno dei massimi autori del novecento europeo raccontava, nel suo celebre ‘Il processo’, la storia di K.: un uomo che viene processato senza un capo d’accusa e, puntualmente, viene condannato seguendo un percorso narrativo illogico e del tutto irreale. Portato in una cava deserta da due uomini il signor K. racconta, in un crescendo emotivo inenarrabile, la propria fine al lettore che, in pochissime righe, apprende il destino del protagonista: “Dov’era il giudice che egli non aveva mai visto? Dove il supremo tribunale fino al quale non era mai arrivato? Alzò le mani e allargò le dita”.

Qual è, dunque, il tribunale al quale il nostro signor K. non è riuscito a rivolgersi? Chi ha deciso per lui e per la sua vita senza nemmeno mai interrogarlo, senza mai vederlo? E’ un po’ come per la musica. Chi ha deciso la sua morte, la sua svendita prossima all’abuso di fronte al mercato e alle sue futili esigenze? Potremmo, forse, capire chi ma giungere al perchè sarà ancora più difficile e complicato.

Ma qual è il corpo del reato? Semplice, tutti ne parlano. Se vogliamo citare l’ultimo caso potremmo andare a pescare le dichiarazioni di Rocco Hunt che in un lungo post sui propri canali social qualche giorno fa sembrava aver dato l’annuncio del suo definitivo addio alla musica salvo poi, appena tre giorni dopo, svelare la pubblicazione, alla fine di agosto, di un nuovo album d’inediti. Insomma, dove sta il rispetto per la musica? Vale così poco l’arte da scegliere di deridere apertamente il pubblico prima impietosendolo e poi sfruttandone l’attenzione mediatica solo per lanciare adeguatamente un disco? Che cosa dovrebbero fare quegli artisti che cantano per strada o nei piccoli club non venendo considerati da nessuno? Come può un vincitore del Festival di Sanremo che negli ultimi anni ha goduto di un discreto successo e di un numero abbondante di possibilità mediatiche (oltre che musicali) permettersi di sbeffeggiare il pubblico e la musica stessa? Perchè di sbeffeggiamento si parla se un giorno dici di voler mollare tutto perchè più nessuno ti considera e non ti permettono di fare il tuo lavoro e due giorni dopo pubblichi la notizia dell’uscita dell’album.

Ma vogliamo parlare, poi, delle continue riedizioni a cui, ormai, un album su due va in contro al momento del suo “concepimento” artistico? E’ mai possibile che un progetto venga spacchettato a rate, diviso, adeguatamente studiato sotto l’occhio attento della convenienza economica solo per raggiungere qualche premio in più, qualche copia venduta superiore alle previsioni di una normale pubblicazione univoca?

E come dimenticare, giusto per non lasciare da parte nemmeno un aspetto di questa vera e propria tragedia, gli annunci di quegli artisti che paiono volersi prendere “una pausa” giusto perchè quotidiani e testate online cadano nella trappola di dedicare loro qualche titolo in prima pagina anche quando, in realtà, non sta per arrivare altro che l’inizio di un nuovo regolare ciclo di lavoro? Un disco non nasce dall’oggi al domani: un anno e mezzo o due sono all’ordine del giorno per chi, vuoi o non vuoi, fa il lavoro dell’artista pop. Eppure ultimamente sembra che chiudere un’era discografica per aprirne una nuova con i relativi tempi corrisponda ad un allontanamento volontario dalle scene. Che dovrebbero dire, allora, quegli artisti che sono obbligati a non pubblicare, che lo sono stati per anni o che non hanno i mezzi adeguati per farlo?

“Ora le mani di uno dei signori si posarono sulla gola di K. mentre l’altro immergeva il coltello nel cuore e ve lo girava due volte. Con gli occhi prossimi a spegnersi K. fece in tempo a vedere i signori che vicino al suo visto, guancia contro guancia, osservavano l’esito. <<Come un cane!>> disse e gli parve che la vergogna gli dovesse sopravvivere”. Ha ragione Kafka, ancora una volta: la musica è stata assassinata come un cane e la scena non è stata delle migliori. Non ci rimane più nulla se non un corpo senza vita, il mandante (il marketing discografico che si arrampica sugli specchi) e l’arma del delitto (delle canzoni vuote). Irrazionale ma, purtroppo, reale. Un realismo magico come quello di Kafka per l’appunto.

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Ilario Luisetto

Creatore e direttore di "Recensiamo Musica" dal 2012. Sanremo ed il pop (esclusivamente ed orgogliosamente italiano) sono casa mia. Mia Martini è nel mio cuore sopra ogni altra/o ma sono alla costante ricerca di nuove grandi voci. Nostalgico e sognatore amo tutto quello che nella musica è vero. Meno quello che è costruito anche se perfetto. Meglio essere che apparire.
Ilario Luisetto
Ilario Luisetto
Creatore e direttore di "Recensiamo Musica" dal 2012. Sanremo ed il pop (esclusivamente ed orgogliosamente italiano) sono casa mia. Mia Martini è nel mio cuore sopra ogni altra/o ma sono alla costante ricerca di nuove grandi voci. Nostalgico e sognatore amo tutto quello che nella musica è vero. Meno quello che è costruito anche se perfetto. Meglio essere che apparire.