Intervista al presidente di MIA sui temi caldi dell’industria discografica attuale
E’ nata ufficialmente MIA, un’associazione rappresentativa di categoria che mira, prima di tutto, a compiere un’analisi dell’attuale mercato discografico per, poi, formare ed informare imprenditori ed addetti ai lavori al fine di tornare ad assicurare alla musica un posto di prim’ordine nell’ambito della cultura comune. Abbiamo contattato, per l’occasione, il presidente dell’associazione, il sig. Federico Montesanto, che, insieme a noi, ha provato a tracciare qualche interessante profilo di alcuni temi caldi dell’attuale sistema discografico e musicale.
L’appuntamento fondamentale rimane il 23 novembre 2018 quando, all’interno della Milano Music Week, un convegno alla Palazzina Liberty di Largo Marinai d’Italia proverà a rispondere ad alcune diverse questioni riguardanti l’attuale situazione del mercato. Per accedere all’evento è necessario rivolgersi preventivamente a comunicazione@musicaindipendenteassociata.org
Ecco, comunque, che cosa ci ha raccontato il neo-presidente di MIA:
Volevo partire ovviamente da questa nuova associazione, MIA. Ci spieghi brevemente che cos’è MIA e dove vuole arrivare?
<<Innanzitutto chiariamo che MIA è un’associazione di categoria, quindi non una società di collecting, che si occupa di rappresentare gli interessi di un settore specifico che, nel nostro caso, sono quelli di produttori fonografici, etichette discografiche e distributori musicali. L’acronimo MIA caratterizza il nostro principio fondatore ed esprime l’appartenenza dell’associazione ad ogni suo associato. Il nostro obiettivo è un’organizzazione trasparente e moderna che sia capace di essere sempre in prima linea rispetto alle evoluzioni del mercato discografico e che sappia trasmettere, attraverso le proprie attività, l’informazione corretta per la crescita ed il benessere degli associati e della categoria tutta>>.
Come credete sia possibile arrivare alla realizzazione di questi obiettivi?
<<Partiamo quest’anno con un programma, consultabile sul nostro sito, molto chiaro e sviluppato in punti specifici che nascondono dietro di sé una vera e concreta rivoluzione culturale per il nostro settore e per il modo di fare associazionismo all’interno dello stesso. In particolare la predisposizione al dialogo costruttivo senza pregiudizio ed alla condivisione del nostro know how con tutte le altre realtà del nostro settore>>.
Focus primario, dunque, è posto sull’analisi e l’evoluzione del mercato discografico
<<Esattamente. Questo è il primo compito di MIA. Oggi in Italia esiste ancora la convinzione che il mercato discografico sia fisico ma, premesso che la nostra associazione non ha una preferenza tra fisico e digitale, riteniamo però che l’analisi della direzione oggettiva del mercato sia fondamentale per i processi decisionali. In questo senso è innegabile che il mercato si stia dirigendo sempre più verso lo streaming e verso una vera e propria rivoluzione del modello di business, non solo del formato, come è avvenuto invece in più occasioni, in passato. Mi spiego meglio: da quando è nata la discografia, il concetto base per l’industria è stato sempre e solo uno: vendere dischi. Oggi il modello predominante ci dice che non si vende più, si fruisce. La rivoluzione non sta, quindi, nella diacronia tra fisico e digitale ma tra possesso ed accesso, tra quantità e valore. Questa chiave di lettura non è così banale e la vera sfida di oggi è il comprendere come creare nuovo valore all’interno di questo mutato scenario. Ecco perché il nostro primo obiettivo è formare ed informare gli imprenditori musicali di oggi, affinché grazie alle corrette ed esaustive informazioni, possano ripensare consapevolmente nuove ed attuali strategie di business >>.
Come si può approcciare la musica a questa nuova rivoluzione?
<<Le rivoluzioni si possono affrontare in diversi modi, subendole o cavalcandole. La nostra intenzione è quella di cavalcarla, perché l’innovazione può regalare alla musica lo status di irrinunciabilità e questo proprio perché la musica oggi viene fruita in quantità abnormi rispetto a ieri permettendo così possibilità di riposizionamento e valorizzazione che fino a ieri erano impensabili. Oggi se si vuole agire dal punto di vista normativo e di tutela non si può partire da un pregiudizio verso la realtà attuale ma bisogna farlo sulla base di un’analisi attenta delle dinamiche di mercato al fine di poter proporre delle soluzioni che vadano a vantaggio dell’intera comunità e non solo di una parte>>.
Poco fa stavamo facendo riferimento al chiodo fisso dell’industria discografica, la vendita, a cui il concetto che si lega irrimediabilmente è il guadagno. Oggi, con la traslazione da vendita a fruizione, da dove si genera il guadagno?
<<Senza voler andare troppo nello specifico i servizi di streaming oggi si basano integralmente sul concetto del pro-rata sharing, sia esso Ad-Supported o per Subscription: corrispondere un guadagno singolo in percentuale rispetto al totale incassato. E’ un sistema che, logicamente, ha dei pro e dei contro, perché si presta, innanzitutto, a facili illazioni>>.
Una polemica fondamentale degli ultimi anni risiede nella convinzione popolare, se così si può dire, che con i servizi di streaming gli artisti percepiscano un guadagno nettamente inferiore rispetto a quanto percepivano con la vendita dei dischi fisici
<<Questo è un punto rispetto al quale si generalizza spesso: bisogna, innanzitutto, distinguere tra interprete/esecutore ed autore/compositore. Partiamo dal presupposto che non si può attribuire ad un service provider, come può essere Spotify, la responsabilità su quanto incassa “pro-rata” l’artista o l’autore , e questo perché proprio tecnicamente né l’interprete né l’autore hanno rapporti diretti con i vari service provider. Ad avere dei rapporti diretti sono il proprietario di un master (o chi ne fa le veci) e la società di collecting locale. YouTube, Spotify o qualsiasi altro fornitore di servizi pagano sempre e solo questi due soggetti: il produttore, l’etichetta o l’aggregatore per il master audio e la SIAE (nel caso dell’Italia) per le opere dell’ingegno. Quando questi soggetti incassano, a loro volta poi pagano gli artisti-esecutori e gli autori in ragione di specifici accordi. Esistono sicuramente dei problemi legati al value-gap ma occorre partire dalla conoscenza delle dinamiche specifiche per poterli analizzare senza correre il rischio di generalizzare>>.
Per quanto riguarda, invece, tutta la vicenda di ‘Spotify for artist’ qual è la vostra posizione?
<<Innanzitutto che non è un servizio per Artisti. Sarà semantica per qualcuno ma per noi non lo è ed anzi è abbastanza lapalissiano che chi produce una registrazione, fosse anche l’artista, è e resta giuridicamente un produttore. Quindi Spotify for Artist non è un servizio per artisti ma per produttori. Detto questo, lo stesso da una parte offre una certa libertà di accesso al mercato e MIA chiaramente non potrà mai essere contraria alla libertà di accesso al mercato di un piccolo produttore, purchè questo avvenga nella parità delle condizioni e nell’assenza di discrasie rispetto ad altri produttori, quindi in un ambito di concorrenza leale. In tal senso noi riteniamo che la qualificazione all’interno del mercato dovrebbe essere data non dal semplice accesso, ma dalla capacità d’interpretarlo e svilupparlo in un modo migliore o più funzionale rispetto a quello di un altro, in sostanza, la libera concorrenza. Per garantire libera concorrenza si devono creare però condizioni sia economiche che operative che mettano tutti sulla stessa linea di partenza e ‘Spotify for artist’ , come apparrebbe da questa prima beta version, pare non esaudire questa condizione base >>.
Un’altra tematica importante ricade nella richiesta che da anni viene portata avanti in Italia affinché venga concepita una legge che obblighi i network radiofonici a dare un determinato spazio ai prodotti nazionali rispetto a quelli internazionali
<<Stiamo parlando della cosiddetta idea di “legge sulle quote radio” che prende ispirazione da quella presente già in Francia. Nel nostro programma uno dei punti è proprio riferito a questo argomento, sebbene aggiornato e ripensato con l’inclusione e l’estensione agli “spazi promozionali che generano ricavi” includendo in tal senso anche le playlist dei servizi di streaming, che riteniamo debbano dare molto, ma molto più spazio agli indipendenti. Questo ripensamento, rispetto all’originale proposta, parte dalla base dell’evidenza che oggi l’incidenza della radio sulla diffusione di musica è molto minore rispetto a ieri e che appunto nuove dinamiche si sono affermate, dinamiche di cui non si può non tenere conto e che renderebbero qualsiasi legge che non le consideri, anacronistica.>>.
Facciamo un’ultima riflessione sulle classifiche: sono davvero rappresentative del mercato reale?
<<No, assolutamente no. Mancano ancora all’appello l’intera YouTube e tutto l’Ad–Supported di Spotify, in sostanza i due principali servizi di fruizione musicale in Italia ed i primi due nella creazione del valore per gli indipendenti italiani, che dunque escono fortemente penalizzati da questi criteri attuali. Inoltre c’è un problema non indifferente, ovvero che nel mondo del valore e dell’accesso, noi ancora abbiamo una classifica che si basa sulla quantità di venduto, sinceramente pare anacronistico e soprattutto poco rappresentativo della realtà del consumo di musica in Italia. A noi di MIA quindi, l’attuale sistema delle classifiche non convince per niente. Tuttavia come evidenziato sin da subito, la nostra non è un’associazione di opposizione, bensì di dialogo costruttivo e senza pregiudizio, per cui non possiamo che essere apertissimi a sederci ad un tavolo per discutere delle soluzioni attuali che possano davvero dare la misura dell’effettivo consumo di musica in Italia e del reale peso che gli indipendenti hanno in termini di market share>>.
Ilario Luisetto
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