Niccolò Fabi: “La libertà è non adattarsi” – INTERVISTA

A tu per tu con Niccolò Fabi per parlare del suo nuovo album “Libertà negli occhi”, fuori dal 16 maggio. La nostra intervista al popolare cantautore romano
Venerdì 16 maggio segna il ritorno discografico di Niccolò Fabi con “Libertà negli occhi“, album di inediti che raccoglie nove nuove canzoni nate da un percorso tanto intimo quanto collettivo. In questa intervista, l’artista condivide il senso di questa nuova tappa, il bisogno di autenticità, il valore del silenzio e della scrittura come forma di resistenza emotiva.
Anticipato dai brani “Acqua che scorre” e “Al cuore gentile”, e dai loro rispettivi video, “Libertà negli occhi” dal 16 maggio sarà presentato al pubblico in 12 appuntamenti nelle città d’Italia, occasioni per approfondire e conoscere il disco, momenti di chiacchera e confronto diretto tra Niccolò Fabi e il suo pubblico. Le presentazioni sono realizzate in collaborazione con Feltrinelli Librerie. Per info e modalità di accesso: https://www.niccolofabi.it/web/incontri-presentazione-libertanegliocchi/
“Libertà negli occhi” è un lavoro che non rincorre il tempo ma lo abita, che riflette sul presente con sguardo limpido e profondità rara. Un dialogo a cuore aperto con un artista che continua a interrogarsi, senza mai smettere di ascoltare.
Niccolò Fabi presenta il disco “Libertà negli occhi”, l’intervista
Hai definito questo nuovo lavoro sia una priorità che un regalo a te stesso e ai tuoi compagni di viaggio. Cosa ti auguri possa trasmettere invece a chi lo ascolterà?
«La verità è che non ci ho pensato troppo. È un disco nato in una specie di ritiro, isolati da tutto il resto, e credo che questo gli dia purezza. Non avevamo preoccupazioni o aspettative verso l’esterno. Forse per questo è un materiale puro, ma anche potenzialmente autoreferenziale, distante da chi ascolta. Spero che chi lo sentirà percepisca questa libertà, che credo debba essere un requisito fondamentale per chi, come me, ha già un’identità artistica riconosciuta. Adattarsi al mercato a questo punto del percorso sarebbe un’occasione persa».
La scelta di farlo uscire proprio il giorno del tuo compleanno è casuale o simbolica?
«Che dici, conoscendomi? Ovviamente simbolica. A un certo punto della vita si cercano comodità, ma questo disco è stata un’avventura. È stato un regalo che mi sono fatto. Farlo uscire nel giorno del mio compleanno lo rende ancora più un manifesto».
Nel booklet scrivi che realizzare canzoni a 56 anni è come provare a far entrare il mare in un bicchiere. Possiamo dire che la tua cifra stilistica da sempre è anche quella di lasciare spazio alla parte strumentale, anche per restituire respiro alle parole?
«Assolutamente. È un tratto che negli anni si è chiarito sempre di più. Anche nei dischi passati ci sono state code strumentali lunghe quanto le parti cantate. In questo lavoro, forse più che mai: basti pensare ad “Alba”, la prima traccia, dove ci sono solo due frasi e poi il resto è musica. La mia speranza è che l’ascoltatore possa completare il racconto con la propria sensibilità, entrando in uno stato d’animo evocato dalla musica, suggerito dalle mie poche parole».
“Ogni mio disco mi sembra l’ultimo” è una frase che ribadisci spesso quando presenti un nuovo progetto. Cosa ti spinge allora a rimetterti in gioco e scriverne un altro?
«Quella sensazione non è per drammatizzare, ma perché voglio viverla davvero. Considerare ogni gesto artistico come potenzialmente l’ultimo mi aiuta a viverlo con più intensità. È una forma di consapevolezza: ogni giorno potrebbe essere l’ultimo. E allora tutto acquista valore. È un grande privilegio, in realtà».
Cosa continua a essere fondamentale nel fare musica?
«È difficile rispondere senza entrare nel personale. Il mio essere cantautore definisce in parte chi sono. È la mia identità. Se un giorno dovessi smettere, entrerei in crisi. Non saprei più come si svolge la mia giornata. Scrivere canzoni mi dà energia. Non so se lo farò per sempre, ma so che dovrò imparare a bilanciare questa mia necessità con ciò che la vita mi porterà. Magari, un giorno, la mia sensibilità si riverserà in altre forme comunicative».
Per concludere, tu hai dato tanto alla musica, ma la musica cosa ha dato a te?
«La musica, anzi, la canzone, mi ha dato un’identità. La musica in generale è stata un amplificatore emotivo enorme. Ne ho ascoltata tanta, molta più di quanta ne abbia fatta. Ma la canzone, quella che scrivo, mi ha dato un ruolo nella società, nella vita. È diventata la mia confidente principale, persino a discapito di amici e persone care. A volte, la canzone ha preso il posto che forse spettava ad altri, ma è lì che sono finite le mie confessioni più profonde».