giovedì, Marzo 28, 2024

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Nicolas Bonazzi: “Sono pronto a raccontare la prepotenza” – INTERVISTA

Intervista al cantautore bolognese in un viaggio tra sogni, scrittura, infanzia e amore

C’era una volta un ragazzo alto alto e timido timido. In un giorno d’autunno presenziava alla conferenza stampa di presentazione di un progetto discografico al quale aveva collaborato come autore. Quel giorno era presente anche un altro ragazzo (che poi ero io) in quell’occasione timido in egual misura visto che si trattava della sua prima conferenza stampa da giornalista. Succede che i due si ritrovano a parlare cercando di concordare un’intervista e nascondendo la timidezza del momento con qualche sorriso e battuta di facciata sulla caratteristica comune di superare i 190 cm di altezza: non proprio la cosa ideale per chi, ogni tanto, gradirebbe non essere notato. Oltre a me, l’altro era Nicolas Bonazzi, talento bolognese già noto al pubblico per la sua romantica e intima partecipazione al Festival di Sanremo nel 2010 con la sua “Dirsi che è normale”. Ci siamo conosciuti alla conferenza stampa per l’album de Le Deva mentre lui fissava un vaso pieno di marshmallow (che poi non ha potuto che assaggiare) ed io cercavo di tirarmi fuori dalla ressa di colleghi in fila per ottenere un’intervista dalle star della mattinata. L’intervista è venuta da sé, qualche giorno dopo, quando l’ho ricontattato telefonicamente per fargli qualche domanda che, in modo del tutto inconsapevole e casuale, sono riuscite a svelare molto del prossimo futuro che lo riguarderà. Ecco cosa mi ha raccontato:

Nicolas BonazziAllora Nicolas partiamo intanto dalla domanda più importante: come stai?

<<Sto bene. Siamo in autunno e questa è una stagione piena di suggestioni, di colori e di movimenti che per chi scrive come me portano a nascere le idee come i funghi>>.

A proposito di scrittura ci siamo visti per la prima volta proprio per la presentazione stampa dell’album de Le Deva nel quale compari come autore di “Cose che si dicono”. Quella autorale è una dimensione per te abbastanza nuova: come è stata quest’esperienza? Come è nata questa collaborazione?

<<La dimensione è nuova nel senso che non l’ho esplorata a fondo come via anche se è vero che, da un certo punto di vista, è contemporaneamente anche un qualcosa di abituale per me considerando che scrivo tutte le canzoni che canto da sempre. È quindi normale che, a volte, alcune idee inizio a svilupparle su di me e poi mi rendo conto che, magari, farebbero al caso di un progetto del quale vengo a conoscenza attraverso le persone che fanno parte di questo ambiente. Nascono un po’ così le collaborazioni: si sa che qualcuno sta lavorando ad un disco, magari ti arrivano degli attestati di stima da parte loro e, quindi, cerchi di capire se, tra le idee messe da parte, c’è qualcosa di adatto. Il caso de Le Deva, poi, è particolare perché sono quattro ragazze a cantare una canzone che, comunque, deve poter valere per ciascuna. L’esperienza di autore l’avevo già fatta in passato per Simonetta Spiri (“Lontano da qui”) e per Antonino (“Lontano da me”)>>.

Torneresti a scrivere per qualcun altro?

<<Si, devo dire, che nell’ultimo periodo mi sto particolarmente dando da fare in questo senso perché è sicuramente una strada che voglio portare avanti. Sto sottoponendo alcuni miei pezzi ad artisti anche piuttosto noti: speriamo che qualcuno ci si riconosca e decida di indossare il brano perché, alla fine, è di questo che si parla>>.

Nicolas BonazziTorniamo un po’ indietro nel tempo: da dove parte la tua passione per la musica?

<<Da moltissimo tempo fa: ero davvero un bambino quando ho iniziato ad avere questa passione inconfessabile. Mi piaceva cantare ma, non so per quale motivo, non volevo che la mia famiglia lo sapesse, mi vergognavo moltissimo. Appena riuscivo a restare da solo cantavo, cercavo di esplorare la voce, ovviamente senza alcuna competenza tecnica. Solo intorno ai 16 anni ho potuto fare “outing” su questa mia passione iniziando a confrontarmi con altri ragazzi che suonavano>>.

Tralasciando la dimensione musicale che bambino eri?

<<Ero un bambino particolare: avevo alcuni tratti molto introversi, tra cui la timidezza ancora mi appartiene, ed altri estremamente più esibizionisti: mi piaceva spiccare all’interno di un gruppo cercando di dare sempre il meglio. Avevo questa contraddizione dentro: ero un bambino molto timido e delicato, nel senso che mi sentivo debole nei confronti della prepotenza dei coetanei che talvolta ho accusato, ma contemporaneamente anche capace di ritagliarsi il proprio spazio e di crescere con le proprie convinzioni>>.

Nel 2010, poi, arriva la grande occasione: il Festival di Sanremo dove gareggi tra le Nuove Proposte con “Dirsi che è normale”, canzone da molti data tra le favorite e che, invece, venne eliminata fin dalla prima esibizione forse anche per colpa di qualche coincidenza non proprio fortunate. Mi riferisco al fatto che Jessica Brando, allora minorenne, non poté esibirsi a causa della fascia protetta che, forse, in qualche misura favorì un suo passaggio alla fase successiva per consentirle la possibilità di calcare il palco almeno una volta. Come ricordi, a distanza di ormai 8 anni, quell’esperienza?

<<Intanto complimenti per la memoria invidiabile e per la lettura lucida ed esatta della situazione di allora. Comunque sia mi eliminarono fin da subito e, probabilmente, influirono anche le circostanze che hai ricordato. O forse lo meritavo, chi lo sa. A Sanremo allora erano previste le eliminazioni e io ho potuto cantare la mia canzone una sola volta e molto tardi. Tra l’altro, prima dell’inizio, c’erano state anche delle polemiche a riguardo del mio pezzo…>>.

Ah già è vero: si sosteneva che, in qualche misura, il tuo brano non fosse da ritenersi completamente inedito se ben ricordo. L’edizione del 2010 fu per molti un anno particolare: oltre allo scenografico lancio degli spartiti fece polemica un po’ tutto.

<<No, fu un Sanremo piuttosto tumultuoso. I miei ricordi sono, sinceramente, anche abbastanza annebbiati a causa dell’emozione che, comunque, un traguardo del genere da ad un ragazzo giovane come me che ci arrivava da indipendente al 100% e con una canzone scritta soltanto da me. Se devo essere sincero, ad oggi, posso dire che quella situazione è arrivata in modo talmente inaspettato che, forse, non mi sentivo nemmeno troppo pronto nel senso che, tornando indietro, avrei aspettato ancora qualche anno per definirmi maggiormente come identità artistica. È chiaro che quando passa quel treno non si può pensare di rimandarlo però, con maggiore lucidità, credo che se mi dovesse ricapitare, come spero, lo vivrei in modo più maturo e cosciente>>.

In quella canzone parlavi d’amore e lo accostavi all’aggettivo “normale”? Viviamo in un Paese che riguardo alla normalità in amore fa piuttosto discutere ancora oggi: che cos’è per te l’amore normale di tutti i giorni?

<<Normale è ciò che vogliamo che lo sia: la distinzione tra ciò che è normale e ciò che non lo è sta tutta nelle nostre parole, nelle nostre idee. La normalità è un concetto che abbiamo inventato noi basandoci, forse, su di un modello statistico. Negli ultimi anni, rispetto a quando ho fatto Sanremo, si sono susseguiti così tanti avvenimenti e situazioni politiche che hanno rivisto il concetto della normalità in amore. Nella canzone, personalmente, non mi riferivo ad una situazione specifica ma parlo di quella dimensione molto intima di una relazione in cui, a volte, si deve far finta che tutto sia normale per andare avanti. La normalità, in qualche modo, ce la dobbiamo creare noi nella nostra stranezza quotidiana, nell’essere fuori dalle righe>>.

È una canzone che, però, continua a darti tantissime soddisfazioni

<<Si, è difficile da spiegare a parole forse però la gente l’ha capita e apprezzata da subito: ancora oggi ricevo tantissimi messaggi da parte di persone che sono state toccate da questa canzone. Questo per me è come un Oscar>>.

Ascoltando i tuoi testi emerge abbastanza chiaramente quell’”ossessione di passione” di cui parli in “Ho sempre fame” ma di cui poi tratti apertamente anche in “Pelle su pelle” per esempio. Nella vita vivi così passionalmente l’amore oppure è una “fantasia” che riversi nelle tue canzoni?

<<Insomma, mi stai chiedendo se sono una delle tipiche persone che parla tanto ma poi pratica poco… (ride). Sicuramente nelle canzoni cerco di scrivere sempre qualcosa che mi riguardi e che rifletta la situazione che sto vivendo nel mio presente anche se è vero che nella scrittura, a volte, capita di sublimare ciò che si vorrebbe vivere o ciò che si vorrebbe essere. Credo, però, che il mio modo di vivere la sfera sentimentale sia, alla fine dei conti, quello che descrivo nei miei pezzi: per me la sensualità, l’erotismo e il fattore epidermico del rapporto è qualcosa di davvero fondamentale e nelle canzoni lo racconto spesso senza rendermene davvero conto>>.

È proprio questo, alla fine, che rende vera la tua scrittura: il fatto di non rendertene conto quasi

<<A volte mi dicono che scrivo cose troppo spinte ma personalmente cerco sempre di dare alla musica una certa sacralità a quei momenti della vita sentimentali per i quali, secondo me, non c’è nulla di cui vergognarsi. Un po’ come dico in “Dirsi che è normale” (“è bello dirsi che è normale vergognarsi appena dopo aver fatto l’amore”). Tutti mi fanno notare che quando in “New York” ho scritto “i liquidi che ho già versato in te”: io la sento davvero molto naturale. Non so cosa possa andare a pensare la gente ma, per come la vivo io, c’è una poesia tra le anime, una contaminazione di pelle che non permettono il pudore>>.

Dopo il Festival è comunque arrivato un EP prodotto da Claudio Cecchetto per la Sony. Come, poi, succede a molti altri giovani ragazzi, spenti i riflettori, sei stato abbandonato da tutto il sistema che, si sa, preferisce guardare a nuovi bocconcini di cui sfamarsi. Come hai vissuto quel momento di disincanto?

<<Sicuramente non è stato un momento piacevolissimo malgrado io sia stato sempre molto lucido sapendo che questi erano i meccanismi. L’EP era stato affrontato, forse, con grande fretta proprio per farlo combaciare al mio arrivo casuale a Sanremo: questa cosa, secondo me, l’ho pagata poi visto che non avevo da parte un progetto già pronto e in attesa solo di essere lanciato. Ho pagato proprio questo mio essere un improvvisato. Quando in seguito ho avuto dei colloqui con delle realtà del mercato discografico, che a mio modo di vere oggi è totalmente fuso, mi sono spesso sentito dire che il fatto che io avessi fatto Sanremo fosse un “deterrente”. Ero scoccato da questo: per loro era una colpa aver partecipato contando solo sulle proprie forze e con una propria canzone. Credo che, però, per avere il grande successo occorre anche lavorarci sulla proposta, investire sugli artisti. Oggi, comunque, li considero tutti errori di inesperienza che rivivo molto serenamente>>.

Da allora hai comunque sempre continuato a fare musica e lo hai fatto da indipendente pubblicando di tanto in tanto qualche nuovo singolo di cui l’ultimo, “Due nuvole”, risale a circa un anno fa. Stai lavorando a qualcosa di nuovo per la chiusura di questo 2017?

<<Io non smetto mai di scrivere e di provare a proporre qualcosa anche se poi, come è normale, ci sono dei momenti in cui l’entusiasmo è più alto ed altri in cui sembra prevalere la voglia di lasciar perdere. Continuo sempre a registrare anche perché per me è come una terapia, un qualcosa che uso per il mio vivere. In questo momento sto lavorando e sono molto concentrato per portare a termine un bel progetto. Nelle ultime settimane sono stato molto impegnato per realizzare un pezzo a cui tengo tantissimo di cui non so ancora cosa posso o voglio dire. E’, comunque, una canzone che parla di quel me bambino di cui raccontavo prima e per il quale abbiamo preparato un video di cui sono molto fiero. Anche se non sono un amante delle tematiche sociali nelle canzoni in questo caso ho scritto, pensato e cantato di bullismo ricordando un bambino che vive certe situazioni. È un brano che dice tanto di me e che non vedo l’ora di fare ascoltare anche se non so ancora…>>.

In “Lontano da qui”, canzone nella quale duettavi con Simonetta Spiri, cantavi un verso molto significativo dicendo “non è questo il posto dove crescere un sogno”. Sei ancora convinto di questo verso oppure hai cambiato idea da allora?

<<Purtroppo è una constatazione e per questo una parte di me difficilmente potrà cambiare idea anche se rimane tutt’ora un lamento e un urlo disperato verso ignoti. Viviamo in un Paese che in questo momento non offre delle strutture atte alla coltura dei sogni: è anche vero che i sogni li si può coltivare solo dentro di sé senza aspettare che qualcuno crei un ambiente fertile attorno. Se non ci si crede bisogna prendersi i propri sogni e portarli da qualche altra parte: io ancora non l’ho fatto, anche se l’ho pensato diverse volte, perché rimango un ottimista e continuo a sperare di poter scrivere in italiano giocandomela qui>>.

Volevo fare una piccola parentesi, malgrado non sia un argomento che amo, riguardo alla tua comparsa nel 2014 a “The Voice”

<<(ride)>>.

Sono andato a rivedere quel tuo provino e…

<<Ti sei sentito un po’ male per me?>>.

Si, sinceramente, ho pensato a come mi sarei sentito io al posto tuo pur non essendo un musicista ma avendo un’età non poi così distante dalla tua di allora. I quattro coach (Noemi, Piero Pelù, J-Ax e Raffaella Carrà) stranamente ci andarono giù particolarmente pesante con te malgrado, poi, abbiano riservato gran complimenti a cani e porci. A parte questo, come la pensi sulla musica in TV?

<<Sono contrario e non mi riconosco nel meccanismo dei talent show. Ho avuto la tentazione di misurarmici e, dopo quell’esperienza, ho vissuto davvero una rottura interiore perché, come hai detto tu, mi sono sentito attaccato in modo pesante anche nell’intimo. Oggi come oggi continuo a ripetermi che la mia fortuna è stata non essere passato in quell’audizione pensando a cosa sarebbe venuto dopo: qualcosa che mi sarebbe appartenuto ancor meno. Sono dei territori pericolosi quelli dei talent: sono delle forme di karoke ben patinate e rese appassionanti per chi le guarda che punta su un artista come si farebbe per un cavallo alle corse ma, da musicista, sono assolutamente contrario a tutto ciò. La televisione è, per sua natura, finzione, non per forza nel senso negativo della cosa, ma la musica è tutt’altra cosa>>.

Vorrei concludere con una sorta di piccolo giochino: una sorta di botta e risposta stile “Le Iene” per cercare di conoscere a 360° Nicolas Bonazzi. Sei pronto?

Nome: Nicolas

Soprannome: Nick

Anni: 35

Professione: cantautore / chef a domicilio

3 aggettivi che ti descrivono: beh alto… disordinato e… sognatore

Il tuo più grande difetto: avrei detto proprio il disordine, non solo quello fisico

Look alla moda o “come capita”: anche se volessi essere alla moda finirei per essere “come capita” visto il mio poco spiccato senso fashion

Il primo concerto visto: Giorgia a Modena per l’album “Strano il mio destino”

L’artista che hai stolkerizzato di più da giovane: Carmen Consoli, ho visto più di 50 concerti suoi, sono stato più volte a casa sua e ora lei, per me, è una sorta di cugina più grande oltre che uno dei motivi per cui ho iniziato a scrivere canzoni

Se potessi cambiare qualcosa del tuo fisico sceglieresti? In passato avrei sicuramente detto il naso perché ho un naso importante ma poi crescendo ho capito che il difetto va quasi sfoggiato con orgoglio. Forse, vorrei una schiena meno dolorosa

La parolaccia che dici più spesso: Non lo so… “Cazzo”, forse… Adesso non lo so, però ne dico eh

A scuola eri leader o emarginato: Abbastanza emarginato però leader in altre situazioni

Film preferito: Tra quelli dell’età adulta direi “Mulholland Drive”, di David Lynch

Se non fossi cantante saresti: Non ci crederai e ti farò ridere dicendolo però, se non avessi già speso tante energie per cercare di fare il musicista, io cercherei di fare l’attore

Di cosa hai paura? Ho paura della fine delle cose in generale e la “gente”, nell’accezione di gruppo che si mette insieme: rimango allibito quando vedo, per esempio, i linciaggi sui social

Sport o videogame? Assolutamente no ai videogame, piuttosto un film con tante schifezze da mangiare. In generale, però, mi sforzo di essere un tipo sportivo

Il tuo sogno erotico? Non si può dire, è troppo spinto (ride)

Non duetteresti mai con: non metto paletti in questa cosa

Dal domani ti aspetti: di riuscire a fare almeno una parte di quello che rimando al domani da sempre

Nel momento in cui abbiamo realizzato l’intervista ancora non si sapeva che Nicolas fosse stato selezionato tra i 69 candidati ad uno dei 6 posti tra le Nuove Proposte del prossimo Festival di Sanremo. L’avevo ipotizzato e lui aveva confermato questo mio sentore di nuova candidatura ma avevo promesso che non l’avrei scritto. Visto, però, che ieri è stata diramata la lista ufficiale non è più un mistero che Nicolas Bonazzi sia stato selezionato con la sua “Ali di carta” e sia stato ammesso allo step successivo in vista dell’ultima scrematura. Inutile dire che faccio il tifo per te amico mio!

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Ilario Luisetto

Creatore e direttore di "Recensiamo Musica" dal 2012. Sanremo ed il pop (esclusivamente ed orgogliosamente italiano) sono casa mia. Mia Martini è nel mio cuore sopra ogni altra/o ma sono alla costante ricerca di nuove grandi voci. Nostalgico e sognatore amo tutto quello che nella musica è vero. Meno quello che è costruito anche se perfetto. Meglio essere che apparire.
Ilario Luisetto
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