A tu per tu con la band in uscita con l’album “Raining clouds”, anticipato dal singolo “Forbidden soul”
Non lasciano nulla al caso gli Oonar, band composta da Ruggero Poggi (voce), Leonardo Caucci Molara (sintetizzatori e programmazioni), Francesco Favari (basso) e Alessio Simonetti (batteria). “Raining clouds” è il titolo del loro nuovo progetto discografico, in uscita in formato digitale a partire da venerdì 3 maggio per l’etichetta indipendente LaChimera Dischi con edizioni Terre Sommerse. Un progetto che mette a fuoco lo spirito e il sound della band, che arriva a dieci anni di distanza dal lancio del primo loro singolo “I die for you” e a quasi venti dalla loro esordio ufficiale. Un realtà ormai ben consolidata che esprime la massima energia dal vivo, dimensione in cui riescono a tirare fuori il meglio. Approfondiamo la loro conoscenza.
Ciao ragazzi, partiamo dal vostro album “Raining clouds”, cosa rappresenta per voi?
«Raining Clouds, è il nostro nuovo EP, abbiamo impiegato molto per pubblicarlo perché volevamo dare una connotazione ancora più personale al nostro sound, che principalmente riprende il wave ed il syntpop anni ’80 ma all’interno di questo abbiamo messo tanto delle nostre singole influenze. Ci siamo fatti attendere un bel po’ ma questo è il primo di una serie di lavori che vorremmo pubblicare più frequentemente, abbiamo già messo in cantiere nuove idee per il seguito di questo EP».
Da quali idee iniziali siete partiti e a quali conclusioni siete arrivati?
«Non abbiamo delle idee precise quando componiamo, ognuno di noi porta le proprie idee, le sviluppiamo in sala prove in maniera grezza, fino a creare un’identità del brano, poi in studio lavoriamo ai suoni, cercando sempre di miscelare il nostro pensiero al nostro sound, e capendo anche il trend musicale del momento».
Quali sono le tematiche predominanti e che tipo di sonorità avete scelto per esprimerle al meglio?
«Le tematiche di questo disco sono diverse ma spesso ricorre il bisogno di riposizionare noi stessi all’interno di una realtà sempre più distorta ed amplificata dai social. Parliamo di quel concetto di libertà che ci vede spesso incastrati in ruoli predefiniti, e da cui spesso in realtà fuggiamo».
Chi ha collaborato con voi a questo progetto?
«Ci siamo avvalsi del prezioso supporto di Antonio Filippelli, (ex bassista dei Vanilla Sky) ed ora noto producer di grandi artisti Italiani. Ci ha aiutati principalmente in studio con l’arrangiamento finale dei brani, ha fatto uno splendido lavoro. Per le registrazioni delle sessioni vocali ci siamo avvalsi anche del supporto di Vincenzo Mario Cristi (Chitarra e voce dei Vanilla Sky),un ragazzo davvero in gamba e professionale».
Per anticipare l’uscita dell’album avete scelto il singolo “Forbidden soul”, cosa racconta?
«”Forbidden soul” è stata anagraficamente la prima delle tracce che abbiamo creato per questo disco, ed è forse è proprio il surrogato del tema dell’album, parla di come i nostri sogni oggi, non siano poi così spontanei, ma finiscano per essere piuttosto dei paletti. Ci costruiamo un recinto all’interno del quale perdiamo la nostra identità, i nostri sogni finiscono per farci paura. Finiamo per non avere più tempo di ascoltare noi stessi».
Come vi siete conosciuti e quando avete deciso di mettere in piedi la band?
«Ci siamo conosciuti all’università, casualmente, poi ci sono stati dei cambi di formazione, ma l’essenza e lo spirito della band sono sempre rimasti gli stessi. La band è stata formata prima ancora che alcuni elementi della band sapessero realmente suonare uno strumento, eravamo giovanissimi, ma con tanta voglia di litigare in sala prove».
A cosa si deve la scelta del nome Oonar?
«Il nome OONAR, significa “Il Sogno” in Greco antico. Proviene da una frase del poeta Pindaro: “L’uomo è il sogno di un’ombra” verso citato anche da Leopardi, nello “Zibaldone”. Questo nome è tanto bello quanto critico, nessuno lo pronuncia correttamente. Si legge come è scritto, senza prolungare la prima O».
Quali ascolti hanno accompagnato e influenzato il vostro percorso?
«Tutti noi abbiamo gusti totalmente diversi, questo ci ha aiutato a creare da subito una band originale, non avremmo mai potuto essere una cover band. All’inizio è stato difficile far confluire le nostre preferenze musicali in qualcosa di nuovo e che convincesse tutti i membri della band. Il nostro comune denominatore è la musica “new wave” di band come i Joy Division, il “synth pop” dei Depeche o dei Duran, “l’alternative” degli Interpol, ecc ne potremmo citare tanti. Nei live ci piace prolungare alcune parti dei brani un po’ come nella musica psichedelica fine anni 60, questo ci permette di sperimentare cose che poi magari utilizziamo per nuovi brani futuri.
Alcuni produttori non trovavano inizialmente interessante il progetto degli Oonar, perché nei primi anni 2000, il sound anni ’80 non era ancora vintage o desiderabile come lo è oggi».
C’è un momento o un episodio particolare che reputate fondamentale per la vostra carriera?
«Una volta ci siamo imbattuti in una specie di rally dell’appennino per raggiungere una radio. Avevamo la nostra prima intervista in diretta, dovevamo suonare live. Quel giorno andò tutto male, sbagliammo strada, ci imbattemmo in uno sciopero dei trasporti, insomma ci ritrovammo a bordo della macchina del cantante a fare controsterzi ed evitare burroni per arrivare in tempo.
Non arrivammo in tempo, arrivammo cianotici e scazzati, ma in seguito a quell’intervista ottenemmo il nostro primo contratto discografico, ed un buon successo con il singolo “I die for you” del primo EP».
Con quale spirito vi affacciate al mercato e come valutate l’attuale settore discografico?
«Siamo coscienti del fatto che dal nostro primo disco omonimo a “Raining clouds” è passato un pò, per noi quindi si tratta di un nuovo inizio. Abbiamo voglia di pubblicare tanti nuovi brani e questi del nuovo disco ci piacciono molto. Sono diversi da quello che si sente in giro, ma le nostre sonorità sono davvero universali e puntiamo ad un pubblico vasto sia dal punto di vista territoriale che anagrafico».
In quale genere collochereste la vostra musica?
«Il genere predominante almeno per questo nuovo disco è il synthpop. Il singolo “Forbidden soul” nello specifico è electro rock, un genere che a noi piace tantissimo, e che speriamo possa trovare il consenso anche degli ascoltatori».
Quanto conta per voi la dimensione live?
«Il live per noi è tutto. Cerchiamo di rendere i nostri brani live fedelmente, ma arricchendoli sempre di qualcosa che possa colpire il pubblico e che faccia parlare di noi, anche dopo il concerto stesso. Sul palco non ci risparmiamo, e se il disco può dare un’idea di “confezionato” dal vivo siamo imprevedibili. Il nostro primo live sarà Domenica 9 Giugno da Marmo, per “Spaghetti Unplugged”, a cui seguiranno una serie di concerti, anche all’estero».
Per concludere ragazzi, dove volete arrivare con la vostra musica?
«Il nostro sogno è quello di far conoscere la nostra musica ad un pubblico il più vasto possibile, con l’augurio di “esportare” il nostro sound anche all’estero, dove già abbiamo avuto occasione di suonare. Grazie alle realtà come la vostra, che concedono spazio alla musica indipendente e con le piattaforme di distribuzione digitale, nulla è impossibile».
Nico Donvito
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