Cosa salvare e cosa migliorare di “Ora o mai più”, un programma che andrebbe giudicato al di là del titolo e contestualizzato con ciò che passa oggi il convento sul piccolo schermo
Dopo la prima puntata di “Ora o mai più” sono volate critiche sia costruttive che spietate. Il programma, condotto quest’anno da Marco Liorni, riprende il format andato in onda tra il 2018 e il 2019, all’epoca amministrato da Amadeus per ben due stagioni, prima del suo sfolgorante quinquennio festivaliero.
Partiamo da un presupposto: è sempre opportuno fare paragoni sulla stessa linea temporale, non si può prendere in esame esempi provenienti dal passato e da un mondo completamente diverso da quello di oggi. Ergo, “Ora o mai più” è un tentativo, se vogliamo romanticamente nostalgico, di attualizzare il linguaggio del varietà di una volta avvicinandolo ai meccanismi del talent show che, per quanto a tratti spietati, rispondono a ciò che il pubblico vuole oggi. A questo aggiungeteci anche un pizzico di reality, quella che alcuni chiamano ancora “tv verità”, shakerate per bene e lasciare riposare in frigorifero per quattro-cinque anni.
Sulla questione del titolo, bisogna precisarlo, se si fosse chiamato “Carpe diem” nessuno avrebbe avuto da ridire. Ma dalla traduzione letterale dal latino all’italiano, qualcosa è andato storto e si è arrivati a questo “Ora o mai più” che fa storcere il naso ai soliti perbenismi. Ciò che conta è il senso, quel cogli l’attimo di “oraziana” memoria, quel vivere il presente “Qui ed ora”.
Quindi? Ben venga un programma che rimette al centro la musica dal vivo in prima serata, per sette appuntamenti al sabato sera. Se poi intorno ci costruisci dinamiche “social friendly” volte ad attirare maggiore attenzione mediatica, non la vedo come una problematica. Ma ci rendiamo conto di ciò che passa oggi in televisione? Facendo zapping anche solo per mezz’ora, possiamo renderci conto che il problema non è certo un programma musicale che offre una possibilità a otto cantanti, coadiuvati da colleghi che hanno saputo superare meglio la famigerata e spietata “prova del tempo”.
Ora o mai più, cosa salvare e cosa migliorare
Talent o non talent, reality o non reality, intanto la musica italiana è tornata protagonista dei palinsesti di Rai 1 grazie a “Ora e mai più“, in un appuntamento che personalmente non manderei in onda prima e dopo Sanremo, bensì in un’altra stagione, considerata la potenza attrattiva e offuscante del Festival.
Di per sé, il format non andrebbe cambiato, poiché piuttosto funzionale: otto big della musica italiana si confrontano con otto artisti che hanno conosciuto grande popolarità e che, per una ragione o per un’altra, hanno perso l’attenzione dei mass media. E proprio di questo si parla: della perdita di visibilità e non di talento. È doveroso precisarlo, soprattutto in un’epoca in cui se appari meno non conti nulla. Invece è importante dare il giusto valore e chiamare le cose con il loro nome.
Otto storie, otto carriere che trovano il giusto spazio in un contesto televisivo e non discografico… altra necessaria precisazione. La popolarità è una cosa e i numeri sono un’altra. È compito della tv riaccendere i riflettori sugli artisti, sarebbe invece compito della discografia prendersi qualche rischio e dare un’altra possibilità lavorativa a chi, in un passato anche recente se vogliamo, ha fatto parte dello showbiz in maniera considerevole. Oggi, invece, si è abituati a voltare pagina quando i risultati non sono quelli sperati. La storia ci insegna che molti grandi artisti hanno faticato prima di consolidarsi e che, grazie all’intuito di manager e produttori illuminati, hanno vinto sulla media-lunga distanza.
Di fatto, “Ora o mai più” offre una possibilità, spesso la seconda o la terza, a volte anche la quarta o la quinta, ma mai l’ultima. Tutto cambia così velocemente, specie al giorno d’oggi, che si potrebbero ipotizzare cast per almeno altre venti stagioni del programma. Per questo trovo interessante il “ringiovanimento” dell’età di riferimento, poiché rispetto alle passate edizioni ci sono molti più “figli degli anni Duemila”. Diciamocelo apertamente, i talent rappresentano purtroppo un serbatoio infinito di futuri concorrenti dello show, perché per uno che vince e due o tre che nelle migliori delle ipotesi si affermano, per tutti gli altri non c’è posto.
Ecco come questo programma può offire una seconda chance, ed è giusto che lo faccia soprattutto a chi è ancora in un’età considerata ancora giusta e ce ne sono tantissimi di giovani che sono stati masticati e sputati via da un sistema profetizzato anni fa da Gianni Morandi in “Uno su mille”. E se la salita era dura a metà degli anni ’80, figuriamoci oggi… in un mercato saturo di proposte e senza più talent scout.
Ben vengano, quindi, queste sette prime serate di grande musica, condotte tra l’altro in maniera garbata da Marco Liorni che ha saputo cogliere nel migliore dei modi l’eredità di Amadeus. Si è scherzato sul suo modo di condurre composto ed educato (qualcuno lo ha definito bonariamente Padre Liorni), come se la compostezza e l’educazione fossero doti su cui ironizzare. La professionalità e la gentilezza, più che da schernire, sono qualità che andrebbero apprezzate… almeno quanto i balletti di “Sesso e samba”.
Sette grandi serate, dicevamo, che hanno il compito di riaccendere i riflettori su nomi e volti conosciuti, sta poi alla discografia procedere con il secondo step, proprio come accade nei talent show. Dal punto di vista del format, per carità, tutto è migliorabile. Piacciano o meno le scelte della produzione, trovo che alcuni abbinamenti per il momento sono meno forti di altri. Ma invito tutti, concorrenti compresi, a ragionare più sulla lunga distanza, perché molti coach hanno affidato i loro “cavalli di battaglia” nel corso della prima puntata, quando ne mancano ancora sei. Vedremo cosa accadrà, per adesso è giusto valorizzare l’idea di un programma che pone al centro della narrazione storie di vita e di musica. Per dirla come una nota canzone sanremese di qualche anno fa, “le buone intenzioni” ma senza “maleducazione”. Almeno per il momento!