Intervista all’autore di tante hit da classifica
Nella settimana che noi di ‘Recensiamo Musica’ abbiamo scelto di dedicare al mondo autorale italiano dei nostri giorni oggi pubblichiamo una nuova chiacchierata con Andrea Bonomo, un artigiano delle canzoni che tanti successi ci ha regalato negli ultimi anni. Attraverso la sua creatività sono passati, negli anni, le voci di interpreti come Nek, Paola Turci, Marco Mengoni, Le Vibrazioni, Annalisa, Bugo e tanti altri…
In attesa di vederlo alle prese con un’iniziativa del tutto speciale che sveleremo il prossimo lunedì e che, oltre a lui, coinvolgerà altri suoi colleghi in un gioco divertente che abbiamo ideato vi lasciamo con questo veloce scambio di battute:
Allora Andrea, partiamo dall’attualità. La situazione di questi giorni ha sicuramente messo in difficoltà tante professionisti impiegati nel settore musica; per un autore forse è diverso ma personalmente stai riuscendo a portare avanti il tuo lavoro?
<<Ho scritto poche cose, molto poche, una delle quali è la coda della vita prima del lockdown da cui avevo assorbito l’idea e nel chiuderla, nei primi giorni di quarantena, ero ancora, come dire, sporco di vita per cui è stato facile. Ora non lo è più: siamo tutti nella non-vita. E’ un discorso molto appassionante questo e sul quale ho riflettuto moltissimo in questi giorni e sono giunto alla conclusione che ognuno reagisce a proprio modo di fronte a quello che stiamo vivendo: per qualcuno scrivere canzoni ricordando la propria vita o quella degli altri prima di questa situazione può essere fattibile e terapeutico. Per me non è così>>.
Da che parte guardano le cose che stai scrivendo?
<<Mah guarda non ho quella certezza e quell’ambizione che ho solitamente nello scrivere canzoni per cui è davvero un disastro per me non poter trarre ispirazione dalla vita quotidiana di sempre. Come dice Jovanotti “nessuno si disseta ingoiando la saliva”. Io nelle canzoni scrivo quello che vivo e questa situazione mi ha fatto scoprire molto più autentico di quanto credessi>>.
In che senso?
<<L’essermi così tanto bloccato nella narrazione è frutto del fatto che solitamente scrivo perché mi accadono cose. La scrittura di canzoni per me è una metabolizzazione della vita: ora non sento né la vita né l’urgenza di scrivere>>.
La musica per te, dunque, si è fermata in un certo senso…
<<Credo che le canzoni siano un punto di vista individuale ma condivisibile e che in questo momento a nessuno interessi del punto di vista di una non-vita (la mia) che parla della fotocopia della non-vita degli altri. Credo sia semplicemente inutile: le canzoni sono un qualcosa che non ha a che fare con quello che stiamo vivendo>>.
Forse ti stupirà o forse no ma la maggior parte degli italiani la pensa un po’ come te. Indagando sui dati di Spotify qualche giorno fa abbiamo scoperto che mediamente si ascolta molta meno musica in questi giorni di quarantena rispetto ai giorni precedenti (qui l’articolo) e, da un certo punto di vista, è un dato incredibile.
<<Si, non mi sorprende. La canzone è comunicazione e nel momento in cui scrive per forza di cose ci si immagina anche a chi potrà arrivare: attualmente è impossibile e difficilissimo immaginarci, dal punto di vista di noi autori, a chi staremo parlando con le nostre canzoni un domani. Anche per questo sono un po’ in attesa perché scrivere di una vita che non sarà più e per delle persone che non sentiranno più come prima è del tutto inutile e privo di senso. Per ora bisogna osservare e mantenere un tacito silenzio>>.
Credi, dunque, che questa situazione possa modificare davvero la musica di domani?
<<Sicuramente in qualche modo questa cosa cambierà la musica almeno nell’immediato. Dal mio punto di vista mi auguro che le canzoni piene di retoriche siano rare perché è una cosa che proprio non sopporto: in questo momento non ho bisogno di conforto in quanto uomo ma solo di libertà>>.
In questi anni ho imparato un po’ a conoscerti musicalmente e, anche grazie ai nostri confronti e scambi d’opinioni, ho capito che sei una persona un po’ futurista, che non si adagia sulla tradizione. Il pop, però, è il tuo mestiere e sicuramente l’hai visto cambiare ed evolvere fino a questa dimensione indie-urban che stiamo vivendo…
<<E’ una fortuna che sia arrivata questa ventata. Io sono estremamente grato a questa middle-generation che è metà tra i ventenni che fanno trap e gli over 40 che arrivano da un qualcosa di più assodato ed istituzionale. Io sono davvero grato alla generazione dei Coma_Cose, di Calcutta, di Tommaso Paradiso, di Canova e di chiunque abbia partecipato a questo risveglio musicale>>.
Ma se di trasformazione parliamo, qual è il futuro?
<<Come tutte le cose questa scena prima o poi si istituzionalizzerà portando alla necessità di un nuovo punto di rottura con quello che il passato ha creato. Come ho scritto in un brano di Bugo (“Al Paese”, ndr): “il cane fa pipì sul monumento, tutti sanno qui che ci pensa il tempo”: il senso è proprio quello di dire che occorre dissacrare. Io sono un grande fan degli obelischi che cadono a favore dei fiori che nascono>>.
A prescindere da che tipo di fiore sia?
<<Si perchè l’arte è l’estensione del mondo che siamo. E’ il mondo che plasma la musica e, dunque, non ci si può lamentare del succo della nostra vita. La musica non ha una responsabilità tangibile e pratica. L’artista ha la responsabilità di rischiare ma l’arte non ha una responsabilità civica. Il futuro della musica sarà la traduzione del mondo in cui vivremo>>.
In questo scenario di distruzione dei colossi tradizionali come collochi l’emersione di nuovi fenomeni che, invece, tornano a proporre e a rafforzare quel tipo di conservatorismo musicale?
<<Sostanzialmente penso che anche se si cambia packaging ad un Chanel n°5 questo rimane comunque tale. C’è sempre bisogno di ricontestualizzare un grande classico perché il classico non muore mai. “Cent’anni di solitudine” lo leggeranno anche tra un secolo però, magari, ci cambieranno la copertina e lo stesso succede nella musica. Ultimo, e con lui altri, è un Claudio Baglioni con la copertina nuova che raccoglie le mancanze di un Paese estremamente sentimentale come il nostro e, permettimi di dire, per fortuna che c’è qualcuno che incarna anche queste cose perché tutti hanno il diritto di avere la musica che suona bene con la propria anima>>.
Perché, allora, per portare avanti un disco “vecchio” abbiamo sempre bisogno di qualcuno di “nuovo” ed, invece, non ci si affida a chi è nato facendo quel tipo di musica e che ora se la ripropone non riesce più a raccogliere lo stesso risultato di un tempo?
<<Perché abbiamo bisogno di avere sempre una faccia nuova per non annoiarsi>>.
Ilario Luisetto
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