Sul ciglio delle porte tue serrate col lucchetto
La parola del mese di agosto è mare, molto banale finchè non ne ho cercato l’etimologia, la radice della parola deriva dal sanscrito e significa “morire”. La morte era associata al mare contrapponendolo alla terra, che invece era considerata viva perché feconda e ricca di vegetazione.
Davanti al mare però, la morte è un pensiero lontano, anche per me che sono terrorizzata da tutto. Mentre chiudo gli occhi e immergo la testa in acqua, sentendo tutto ovattato, non penso minimamente alla possibilità di annegare, rifletto invece su come far affogare tutti i pensieri, il mio corpo si alleggerisce, tanto da galleggiare e così anche io, mi sento più leggera. Serve sentirsi piccoli davanti all’immensità, serve perché tendiamo a sentirci sempre un po’ padroni di tutto, della terra, delle situazioni, delle persone. Ci troviamo poi in mezzo al mare, su una montagna e le case sono minuscole, le persone nemmeno si scorgono più, gli ombrelloni diventano macchie colorate e allora prendiamo consapevolezza di come non siamo padroni di nulla, nemmeno della nostra vita.
Una canzone ha risuonato in tutti gli stabilimenti balneari, molto nelle mie cuffiette, “Tuttecose” di Gazzelle e Mara Sattei. È stata la colonna sonora della mia vacanza, dei pensieri che l’hanno accompagnata, di quelli che deciderò di condividere, un po’ come diario di bordo, un po’ come manuale di istruzioni, per chi si trovasse in una situazione simile.
Immaginatevi di partire per un viaggio, con le vostre amiche di sempre, di aver prenotato una struttura per 6, quali siete, e ritrovarvi una stanza per 4, una proprietaria per nulla comprensiva, il tutto a 670 km da casa, da qui o si costruisce o si demolisce, e purtroppo la seconda opzione è la più semplice.
Sotto stress diventiamo altre persone, fragili, incredibilmente aggressive, chiuse, troppo aperte, nervose, sincere o incapaci di dire la verità anche a se stessi. Quanto è facile essere amici quando va tutto bene? Quando si è un po’ brilli? Da sobri siamo tutti così insoddisfatti e spaventati, tanto da dimenticarci quanto le paure si sciolgano in un abbraccio, tanto da preferire le frasi a metà a quelle intere.
La canzone è abbastanza sovversiva sin dal titolo, “Tuttecose”, tutto attaccato, così da far sembrare ancora di più le cose di cui parlano Gazzelle e Mara Sattei, inoltre il termine non esiste nella lingua italiana, nonostante fosse una terminologia di uso letterario nell’antichità, è attualmente rimasto solo nelle forme dialettali, come il mio lombardo “tusscoss”. Una mia insegnante di italiano del biennio del liceo in una lezione aveva però detto che il perdersi dei dialetti portava con loro tutta la coloritura che certe parole dialettali sanno dare. Magari nella scelta del tiolo si è pensato proprio a questo, a non voler togliere sfumature ai pensieri di cui la canzone parla.
Okay, amici come prima, la festa è già finita
Se non ti riconosci più non te la prendere con la mia vita
Con la tua vita
La canzone parla di una relazione d’amore finita, io voglio trasporla nell’amicizia, è un momento di tristezza, qualcosa non va, la relazione sta cambiando, e questa situazione è paragonata alla fine di una festa. Già qui sta l’errore del modo di vivere i rapporti di noi esseri umani, perché considerare festa i momenti in cui va tutto bene, e non parte della stessa anche quelli in cui va tutto male? Se imparassimo ad accettare i nostri malumori, quelli degli altri, i momenti no della vita come parte integrante della festa, smetteremmo di fingerci sempre sorridenti.
Nel mondo delle foto che fanno tanti likes, dei posti instagrammabili, si perde il valore delle lacrime e un broncio è strano, la rabbia degli altri provoca nervoso ed agitazione, eppure lo sappiamo tutti che nessuno sorride e basta, siamo i primi a farlo, perché tanta preoccupazione?
È parte della festa la canzone che non ci piace e tutti ballano, è parte della festa il fatto che devi guidare e non puoi bere, e magari sei sempre tu, è parte della festa assistere a scene che non vorresti vedere, e allora è parte della festa anche essere tristi, è parte della festa il cambiamento di cui si parla in questa frase. Cresciamo, cambiano i nostri interessi, non bisogna prendersela con la vita di nessuno. Capita di non riconoscersi, è il punto di partenza per iniziare a guardarsi con occhi diversi.
Ma tu non sei cattiva, no, no
Sei buona come il tuo sapore tra le dita
Ah la cattiveria, quante volte abbiamo la necessità di sentirci dire che non lo siamo, e quanto è bello avere vicino chi ce lo ricorda, quando temiamo di esserlo. Spesso però alla cattiveria associamo lo scegliere il bene per noi stessi, come se concedersi un po’ di egoismo possa fare di noi persone diverse, peggiori, irriconoscibile agli occhi di chi ho davanti, quando invece farebbe di noi persone più vere, più umane, forse più comprensive nei confronti di chi non si fa scrupoli a pensare a se stesso.
Molto bella l’associazione della bontà d’animo alla bontà di un sapore, associamo sempre i profumi alle persone, e alle persone alle quali voglio bene riesco anche io ad associare solo profumi buoni.
Mare, fammici stare bene
Dentro c’è tuttecose
Stiamocene io e te
Che stare male non vale
Se non lo puoi gridare
Portati via ste cose
Portale via con te
La richiesta davanti al mare è quella di poter stare bene, di vedere tutti i pensieri che si hanno in testa ovattarsi, farsi piccoli nella distesa azzurra. “Stare male non vale se non lo puoi gridare”, vero, non si riesce a stare male in silenzio, o forse si riesce, fino a un certo punto, poi si esplode, e chi abbiamo tentato di proteggere fino a quel momento, è alla mercé dei nostri sbalzi d’umore.
A questo punto piuttosto che gridare il nostro malessere, meglio che tutto ciò che abbiamo dentro lo porti via il mare e la ripetizione di “portare via” dà l’idea dell’onda che arriva e torna indietro.
Segue una strofa ricca di spunti, confusionari, una specie di flusso di coscienza, esce tutto senza filtri, emergono gli errori di chi non si capisce più, non è più in grado di osservarsi.
Lascio andare, tutto appare, faccio strade in lacrime
Chiudo a chiave, poi scompare tra le cose che ho con te
Un po’ si scaccia il dolore, un po’ si trasforma in lacrime, un po’ lo si lascia da parte insieme ai ricordi, sperando passi, sperando si possa tornare ad essere felici, incapaci di fare qualcosa di concreto.
Sul ciglio delle porte tue serrate col lucchetto
E dico amarti sottosopra forse riesce meglio
Ci troviamo così davanti agli altri, che non ci comprendono e non comprendiamo, ci sembra di trovare porte chiuse, quando siamo stati noi a perdere quella chiave. Allora scombussoliamo tutto, proviamo ad amare, a volere bene sottosopra, ripensando a quando eravamo felici, giustificando gli altri, la loro incapacità di ascoltarci, senza mai giustificare noi.
E forse andranno via tutte ste cose come onde
Sopra la sabbia il sole scende e io sto peggio
Ma non t’ho visto e non t’ho detto mai
Che bello starsene seduti, sai
Noi due una scia d’aereo e tutti muti
Nulla è cambiato, i pensieri non se ne sono andati, forse non se ne andranno mai, il mare non può certo fare il nostro lavoro, forse bastava essere sinceri, ricordare la semplicità delle cose che fanno bene.
Ma come si fa ad essere sinceri se la sincerità ferisce gli altri?
Chiedo per un amico, chiedo per le mie amiche.
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