sabato 23 Novembre 2024

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Parole in circolo, giugno 2022 – Tamberi vs Fassinotti – “Nessuno vuole essere Robin” di Cesare Cremonini

La favola del supereroe

La parola del mese di giugno non è esattamente una parola quanto più un episodio, avvenuto il 26 giugno, al termine della gara di salto con l’asta maschile, durante la terza giornata degli Assoluti di Rieti, che ha visto competere per il gradino più alto del podio due campioni, Gianmarco Tamberi e Marco Fassinotti.

Tamberi vince, Fassinotti gli si avvicina a fine gara ripreso solo da una telecamera che si trova alle sue spalle, gli tende la mano, sembra dirgli qualcosa, e Tamberi lo apostrofa con parole sgradevoli, alzando la mano al cielo, in un gesto antisportivo.

Lo sdegno della stampa, del web e degli stessi arbitri di gara, è stato notevole, Tamberi se ne è tornato a casa con la medaglia d’oro, oscurata da quel cartellino giallo per condotta impropria e comportamento antisportivo.

Questo podio è troppo piccolo per tutti e due

Ma cosa ci ha stupiti così tanto? I nervi sono a fior di pelle quando stai combattendo per un titolo importante, con un campione, che conosci da sempre, che ha i tuoi stessi desideri, e che non è felice di vederti vincere. Non c’è posto per due persone sul gradino del primo posto degli assoluti, spazio che però Tamberi aveva trovato per il suo caro amico Barshim, con il quale ha condiviso con piacere il titolo di campione olimpico. Come dimenticare quella gioia infinita e quell’abbraccio tra i due, che in un attimo ha fatto di Tamberi il supereroe della favoletta che ci raccontiamo, lui, reduce da un infortunio, vince e condivide il podio, emblema del falsissimo mito “se vuoi puoi”.

L’immagine di questo atleta brillante, apparentemente perfetto, si è ribaltata contro di lui,  un supereroe non è vittima della tensione, è in diretta nazionale, deve sempre ricordarsi di essere un esempio per molti. In uno sport elegante, e in un mondo ben più educato di altri, come quello dell’atletica,  quella mano avrebbe dovuto stringere quella dell’avversario, nonostante tutto.

Tamberi e Fassinotti hanno spiegato ciascuno la propria versione dei fatti. Tamberi in particolar modo ha chiarito la sua posizione sul suo profilo Instagram, chiedendo scusa ma abbandonandosi ai rancori passati. Fassinotti, spiega, è quell’atleta col quale è cresciuto, quello degli screzi giovanili, quello rispetto al quale essere sempre migliore e ,a detta di Tamberi, un gran provocatore. Fassinotti ha dichiarato di aver semplicemente detto una frase di circostanza a Tamberi e la faccenda si è conclusa con le scuse reciproche.

Qualcuno vuole essere Robin?

Inutile domandarsi chi dei due sia il cattivo del nostro racconto, non lo sapremo mai, forse nemmeno esiste. Questa circostanza, in ogni caso, reduce dal concerto di Cremonini, mi ha fatto pensare alla sua canzone  “Nessuno vuole essere Robin“. Il testo tratta di una tematica estremamente attuale, quella dell’incapacità, nel nostro mondo di campioni e supereroi, di accettare il secondo posto, peggio, di accettare di poter non essere nessuno.

Questo è stato uno scontro tra due teste di serie, due campioni, poco abituati a perdere o a non vedere i propri nomi brillare nell’olimpo dei vincitori, non che questa sia una loro colpa, i media, i tifosi, si impegnano costantemente per divinizzare figure che sono estremamente umane, ma alle quali impediscono di esserlo.

Tornando alla canzone di Cesare, il titolo contiene già una metafora, con Robin Cesare intende il fidato compagno di Superman, l’aiutante delle favole, quello per il quale simpatizziamo, ma del quale difficilmente ricordiamo il nome. Nessuno vuole stare sugli spalti, vogliamo tutti scendere in campo, per di più col numero 10. Cremonini ha reso Robin protagonista di questa canzone, senza mai citare Superman invece, spiegandoci quanto sia difficile rivelarsi fragili e umani.

Come mai sono venuto stasera?

Con questo quesito si apre la canzone di Cremonini, che io mi immagino davanti a una porta, a notte fonda, dopo aver suonato il campanello, davanti a una ragazza che non capisce come mai lui sia lì, Cesare si fa avanti con una serie di scuse e poi cede ammettendo:

C’ho una spina in gola che mi fa male, fa male, fa male
Fammi un’altra domanda
Che non riesco a parlare

Tergiversa, non vuole apparire fragile, non cede il suo posto di campione, al suo alter ego, fragile, che può sbagliare. Tamberi e Fassinotti hanno chiesto scusa, ma si sono giustificati, ognuno a suo modo, vittime della loro stessa fama, del loro mantello da supereroi che noi abbiamo intessuto  per loro e che non riescono a scostarsi di dosso così facilmente.

Cesare prosegue poi con una frase emblematica del mondo dei social, nel quale viviamo, si sente fortemente giudicato, lui è fragile, torna dove è stato bene, riceve un rifiuto e sente su se stesso i giudizi della gente.

E quanti inutili scemi per strada o su Facebook
Che si credono geni, ma parlano a caso
Mentre noi ci lasciamo di notte, piangiamo
E poi dormiamo coi cani

I titoli dei giornali, le espressioni di tifosi e leoni da tastiera, dopo l’accaduto tra i due atleti, fomentano odio, non perdonano, se sei un supereroe, quando fallisci dimostri chi sei, ti spogli dei tuoi superpoteri e sei disprezzabile, perché elevato a divinità, ti riveli essere esattamente come noi.

In quest’epoca dove auto criticarsi è fuori moda, è molto più semplice criticare un altro, ricevere poi l’approvazione di chi, entrato nella folla degli haters, ha perso ogni attaccamento alla realtà e sente di poter dire qualsiasi cosa.

Il vincitore è solo

Personalmente ho scelto di praticare uno sport di squadra, e non credo avrei mai retto la tensione di uno sport in cui la mia prestazione soltanto vale tutto, in uno spot di squadra sei responsabile per più persone e loro però lo sono con te, si vince e si perde insieme, mai soli. Tamberi e Fassinotti, invece, sono due aspiranti numeri uno, ma in questo mondo di supereroi, va a finire che poi a quel paese ci si manda tra tutti e che l’umanità viene meno, per lasciare posto al profitto.

Siamo estremamente soli e me ne rendo conto dall’incapacità di ognuno di comprendere il gesto accaduto tra i due sportivi. Un momento no, e nessuno che si è incarnato in Gianmarco Tamberi, stanco, accaldato, teso, nessuno che abbia preso le parti di Fassinotti, stanco di essere sempre messo a paragone. Saremmo davvero tutti stati in grado di ricordarci delle telecamere? Della nostra posizione di “esempio per gli altri”? Eppure frasi come “Se avessi io tutti quei soldi”, “se vivessi io la sua vita”, sono all’ordine del giorno. Nessuno che abbia detto però “se fossi stato io lì, come avrei reagito?”. Vogliamo il numero 10 e il nostro nome sui giornali, su quel commento di cattivo gusto su Facebook che fa centinaia di likes, e questo comporta guardare alle sfaccettature dell’umanità degli altri con superficialità e saccenteria, finendo per impedire a noi stessi di essere umani.

Ti sei accorta anche tu, che siamo tutti più soli?
Tutti col numero dieci sulla schiena, e poi sbagliamo i rigori
Ti sei accorta anche tu, che in questo mondo di eroi
Nessuno vuole essere Robin

E tu vuoi essere Robin?

In un mondo in cui Cesare lo dice chiaramente che nessuno vuole essere il giovane aiutante di Superman, io invece rivendico la necessità di tornare a essere Robin, perché il vincitore è solo, ed è necessario imparare a fargli posto. Lo ha capito Tamberi, che non può sempre finire sulle copertine dei giornali perché ha condiviso un podio, e l’esempio più bello da dare, sarebbe vedere una sconfitta che riconosce la bravura della vittoria, che l’ammira.

In un attimo mi sono fatta giudicante anche io, è proprio nella indole umana, alla fine io sotto quel sole cocente ci sono stata e anche io nella mia vita ho ceduto a provocazioni, che se ci penso oggi, mi viene solo da ridere. Per fortuna però io non sono mai stata una numero uno, la sconfitta mi è stata insegnata benissimo e spesso nella vita sono stata Robin.

Il rischio di essere Robin oggi però, nel mondo dei campioni, è che poi esigiamo un riconoscimento, se non in prima pagina, se non tramite una medaglia, almeno affettivo. E dunque ricordiamo i nostri gesti di aiuto e favore, appuntandoceli in una lista immaginaria da tirare fuori al momento giusto, per rinfacciare a qualcuno che non c’è stato, come invece avevamo fatto noi. Più che Robin, in un attimo siamo Lex Luthor.

E allora aveva ragione Cesare, in questo mondo di eroi, non sappiamo più essere Robin, anche perché lui su Robin ci ha fatto una canzone, ma Robin per rimanere tale deve stare lontano dai riflettori, mica che poi sfoderi le sue manie di protagonismo, rivelandosi anche lui per come è, terribilmente umano.