Affrontiamo un tema collegandoci ad una canzone
Il silenzio fa così male perché esprime tutto il senso di un distacco che si è venuto a creare. All’interno di questo distacco ci sono ricordi, momenti ancora vivi, sentimenti accesi e speranze pronte ad essere cullate “E me ne vado in giro senza parlare, senza un posto a cui arrivare, consumo le mie scarpe e forse le mie scarpe sanno bene dove andare”. Sembra una contrapposizione innaturale, un vero e proprio ossimoro accostare al termine silenzio il verbo esprimere “E faccio finta di non ricordare, e faccio finta di dimenticare”. La verità è che non c’è un bel niente di illogico, perché il silenzio altro non è che una forma di comunicazione.
Partiamo col dire che di per sé il silenzio come forma comunicativa non presenta un’accezione né positiva né negativa. Come per gesti e parole tutto dipende dal contenuto che vogliamo attribuire al nostro messaggio. Se ti abbraccio il mio contenuto comunicativo sarà di un certo tipo, se ti allontano di un altro. Niente di diverso per quanto riguarda le parole, capaci di rappresentare in base alla frase che scegliamo qualsiasi stato d’animo che sentiamo nostro e vogliamo portare agli altri. Comunicazione verbale e comunicazione gestuale sono certamente entrambe dirette, immediate, il più delle volte chiare. I gesti li vediamo, le parole le sentiamo. Tutto risulta quindi molto concreto e soprattutto facile sia da comprendere che da trasmettere.
Discorso che non vale in pieno per i silenzi, centro della canzone “Fai rumore” con cui Diodato vince la settantesima edizione del Festival di Sanremo. Anche essi caratterizzati dal fatto di non avere una connotazione di partenza che li identifichi come positivi o negativi, belli o brutti, leggeri o pesanti, i silenzi sono una forma di comunicazione meno comune, ma più efficace. Pensate quando per esprimere il vostro affetto nei confronti di qualcuno non avete bisogno di utilizzare continuamente frasi e gesti perché quel silenzio ha un significato che non ha bisogno di essere descritto. Oppure al contrario quando affidate al silenzio la vostra delusione consapevoli che quel contenuto sarà sentito con più efficacia dal vostro destinatario. Si tratta di andare oltre la semplicità, oltre l’immediatezza e oltre la concretezza.
La comunicazione che passa dal silenzio non conosce nessun tipo di filtro, nel bene e nel male. Se io sto zitto e tu capisci che ti amo allora significa che non serve nessuna mediazione per capirci e non devo creare degli accessori comunicativi per esprimere il mio sentimento. Nella situazione opposta se dal silenzio riesci a percepire la profonda delusione che mi hai dato ne consegue che quei silenzi hanno fatto più rumore di qualsiasi frase urlata “Non lo posso sopportare questo silenzio innaturale tra me e te”.
Il silenzio crea senza dubbio distacco, perché se non ci si parla e non ci si guarda risulta naturale essere consapevoli di trovarsi in una situazione di assoluta distanza. Cercare di interpretare in aggiunta i silenzi dell’altro è un lavoro autodistruttivo, perché il più delle volte quei silenzi nascondono contenuti che non sono semplici da decifrare “Torno sempre a te, che fai rumore, qui, e non lo so mi fa bene, se il tuo rumore mi conviene”.
Il lato debole di una forma comunicativa non immediata è proprio quella di essere male interpretata o interpretata in tanti modi. Sta di fatto che quel rumore (dei silenzi) diventa quasi una sfida persa in partenza alla ricerca di un contenuto che non avremo mai. Simbolo di una distanza che non si colmerà mai più a meno che, come fa Diodato, ci si prometta di andare oltre quei silenzi attraverso una forma comunicativa che sia più forte di ogni frase non detta: La musica.
Porre domande sulle difficoltà di convivere col rumore di quel silenzio e farlo attraverso una canzone non può che essere un modo per andare oltre ogni ostacolo comunicativo. Perché io so ricevere il tuo silenzio, e soprattutto te lo so esprimere con una forza che azzera le distanze tipiche, appunto, dei silenzi “E non ne voglio fare a meno ormai di quel bellissimo rumore che fai”.
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