Affrontiamo un tema collegandoci ad una canzone
“Tutti quei sorrisi che si sprecano al telefono” li teniamo per noi. È vero che sono sorrisi sprecati, il più delle volte infatti restano limitati al nostro orizzonte senza che siano condivisi con chi è dall’altra parte. Rimangono sorrisi nascosti, nati dalla lettura di un messaggio o dal passaggio di una telefonata che ha per un secondo accorciato una distanza fisica.
Come sempre Cesare Cremonini è molto attento nel raccontare i dettagli che si nascondono dietro i comportamenti delle persone. Negli angoli dei rapporti si celano sfumature che raccontano cosa proviamo o abbiamo provato nel profondo e il più delle volte questi angoli quasi invisibili appaiono nitidi solo a noi e per pochissimo tempo. E allora cerchiamo di custodirli, di fissarli, di non dimenticarli. Perché il rischio è proprio questo: dimenticare ciò che non si condivide.
Relegare il contenuto di un sentimento o la gioia di un momento che associamo chiaramente a una persona ad un oggetto come il telefono anziché alla persona in questione a volte risulta l’unica soluzione. Una soluzione triste, quella di doversi raggiungere tramite uno strumento che faccia da intermediario necessario, obbligatorio. Tuttavia rimane pur sempre l’unica soluzione possibile per essere più vicini, soprattutto nel momento in cui l’alternativa risulterebbe la totale assenza.
Parliamoci chiaro, senza girarci intorno. Effettuare una telefonata non è come chiacchierare guardandosi e scrivere via messaggio “Ti abbraccio” non si avvicinerà mai all’effettivo gesto di abbracciarsi per davvero. In ogni caso, però, sono tante le occasioni in cui sentiamo il bisogno di quella chiamata e di quel messaggio, mezzi che hanno la forza di accorciare le distanze e amplificare il valore degli affetti.
Il telefono ha da un lato accelerato la facilità di comunicazione e ridotto certe tempistiche all’interno dei rapporti semplificandoli, ma dall’altro ha oscurato alcuni caratteri della comunicazione stessa. Gioire per un bel messaggio ricevuto significa sorridere davanti al telefono. Provare malinconia riguardando vecchie fotografie significa che se scende la lacrimuccia è probabile che vada a posarsi sullo schermo dello smartphone. L’altro lato del rapporto in quel momento starà facendo tutt’altro. L’altra persona non è emotivamente coinvolta in quello che stiamo provando.Starà lavorando o sarà ad una festa, ma non è lì con noi. Con noi c’è solo il telefono, unico ed ultimo strumento di legame che media tra noi e gli altri. Il filo di congiunzione esiste, ma è sottile sottile. Sottilissimo.
Questo tipo ti mediazione non potrà mai sostituire un abbraccio e nemmeno un “Non ti amo più”. Non potrà sostituire gli occhi lucidi e la bellezza del sorriso. Come vedete qualcosa rimane e qualcosa si perde “Ma quante volte penserai che è vero, che sei rimasta sola in mezzo al cielo, ma sono solo anch’io come uno scemo”. È che forse in fin dei conti cerchiamo dei modi per sentirci meno soli.
Credo che Cesare Cremonini abbia voluto ritornare ancora una volta sul tema della solitudine. “Ti sei accorta anche tu che siamo tutti più soli?” recita un frammento tratto da “Nessuno vuole essere Robin” (di cui qui un nostro articolo) che trovo in netta continuità con il recentissimo “E solo sono anche io come uno scemo” della nuova “Al telefono”.
Il telefono fino a che punto aiuta a combattere la solitudine? Ci sentiamo davvero meno soli o addirittura lo siamo di più? Perché auto convincersi di non sentirsi soli può risultare una necessità, così come uno stupido errore.
Redazione
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