venerdì, Maggio 3, 2024

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Progressive Rock, i 10 dischi fondamentali per gli amanti del genere

IL PROGRESSIVE ROCK LO SVILUPPO IN ITALIA E COME IL GENERE NEL NOSTRO PAESE SI DISCOSTA COME TEMATICHE DAGLI ESPONENTI INGLESI

Il Progressive Rock è nato in Inghilterra, ma l’Italia è uno di quei Paesi in cui il genere ha attecchito meglio. La scuola prog Italiana ha saputo sviluppare un linguaggio tutto suo, con esperimenti totalmente originali e con esponenti, che con il tempo sono diventati icone musicali come il Banco del Mutuo Soccorso, la Premiata Forneria Marconi e Le Orme. Tali gruppi e quali che hanno abbracciato il genere, si sono in parte discostati dai colleghi inglesi, inserendo nei loro testi tematiche più introspettive, quali solitudine, alienazione, critica sociale, rifiuto delle imposizioni da parte della famiglia o dello stato, religione, droga.

Soprattutto negli anni ’70 il genere spopola nel nostro Paese, di seguito, i 10 dischi fondamentali per chi ama il genere, ne riproponiamo titoli e contenuti anche a favore di chi fosse pervaso dalla curiosità di ascoltarli :

“Banco del Mutuo Soccorso” Banco del Mutuo Soccorso (1972)

Il primo album di una formazione tra le più importanti e originali della musica italiana, con una proposta musicale che prende le mosse da certe atmosfere care a EL&P e ai Gentle Giant ma si sviluppa in maniera originale, sospinta dalla bravura dei fratelli Nocenzi (Gianni al pianoforte e Vittorio alle tastiere, quest’ultimo anche principale compositore) e dalla voce del fenomenale Francesco Di Giacomo, che porta il melodramma italiano all’interno del rock. Banco del Mutuo Soccorso (con il vinile racchiuso in una rarissima copertina a forma di salvadanaio), contiene diversi classici della band romana, da R.I.P. a Metamorfosi. Ma la vera delizia è il lato B, quasi interamente occupato da Il giardino del mago, la suite più bella di tutto il prog italiano. Un viaggio oltre la solitudine e la morte, tra visioni e profumi della fanciullezza, con testi e momenti musicali che sono vera poesia.

“Storia di un minuto” Premiata Forneria Marconi (1972)

Caposaldo del prog a livello internazionale, il primo album della PFM è spinto dal successo di classifica di Impressioni di settembre, che fa a meno del ritornello e lo sostituisce con il celeberrimo tema di Moog. Il disco pone l’ascoltatore e osservare la giornata di un uomo, dal risveglio alla notte: momenti di felicità misti ad angosce esistenziali e relativi saliscendi musicali a seguire questi stati d’animo. La PFM inserisce per la prima volta elementi presi dal folk italiano dandone una versione rockeggiante tinta dall’elettronica dei sintetizzatori. Nasce il rock mediterraneo, con È festa a sottolineare questa fusione che diventa un vero marchio di fabbrica della formazione milanese e che sottolineerà gli arrangiamenti del famoso tour con Fabrizio De André.

“Felona e Sorona” Le Orme (1973)

Reduci dal grande successo di Uomo di pezza (1972) dal cui era stato tratto il singolo Gioco di bimba, aspramente contestato dal pubblico più politicizzato per il suo ottimo piazzamento in classifica (sinonimo di aver ceduto alle spire capitalistiche), il trio veneto de Le Orme decide di puntare in alto con un concept (e relativa suite a coprire tutto l’album) a tema fantascientifico: due pianeti che vivono rispettivamente nelle tenebre e nella luce e tutta una serie di vicende a loro collegate. Ciò che può sembrare un racconto di fantasia racchiude in sé una serie di metafore sulla diseguaglianza, metafore che i tre mettono in musica con un afflato cosmico fatto di grandiose atmosfere tastieristiche che ben si sposano all’aggraziata voce di Aldo Tagliapietra.

“Zarathustra” Museo Rosenbach (1973)

Punta di diamante del “genere-non-genere” il Zarathustra dei liguri Museo Rosenbach è uno di quei dischi diventati di culto assoluto in Giappone. E si capisce perché. Si tratta di un vero concentrato di prog italiano 100%, con lussureggianti atmosfere sinfoniche miscelate da un gusto totalmente nostrano. La possente suite omonima del lato A (ispirata, come tutto il disco, dagli scritti di Nietzsche) è perfettamente esemplificativa di ciò, con un’apertura di Mellotron da paura e una serie di cambi di tempo e atmosfera sospinti dalla voce roca di Stefano “Lupo” Galifi. Il cantante proviene dal blues, e riesce a instillare in un tessuto così classicheggiante la spinta passionale del suo genere d’elezione. Un connubio perfetto. Da segnalare la presenza in formazione del batterista Giancarlo Golzi, destinato a futuro successo con i Matia Bazar.

“Palepoli” Osanna (1973)

Il prog che nasce a Napoli fa da culla al cosiddetto Neapolitan power, la scuola che vedrà il battesimo dell’astro di Pino Daniele e di tutta una serie di altri musicisti indaffarati a mischiare le tradizione partenopea con il jazz e il rock. Gli Osanna ne sono i capostipiti. Nella loro musica c’è tutta la visceralità del capoluogo campano, i suoi ritmi mischiati con i consueti richiami classicheggianti. Palepoli (“Città vecchia”, antico nome latino di Napoli che poi si trasformerà in “Città nuova”) è oscuro e labirintico come i vicoli in cui è nato. Profuma di quei luoghi e in quei luoghi fa perdere l’ascoltatore fino a imprigionarlo completamente.

“Crac” Area (1974)

Ovvero di come il rock incontrò la politica facendo scaturire un’energia che muove muscoli e cervello. Il disco più accessibile targato Area e anche il più completo. Con le consuete cavalcate jazz-rock al fulmicotone unite a canzoni che hanno fatto storia, tra cui il manifesto Gioia e rivoluzione. Non è musica semplice ma all’epoca essere impegnati voleva dire anche sforzarsi di superare i propri limiti nell’ascolto musicale. Questo per far sì che il cervello si aprisse e la realtà fosse percepita in maniera più completa e critica, affinché la lotta di classe fosse portata avanti con coraggio e intelligenza. Gli Area e artisti similari servirono proprio a questo, a non addormentarsi, a non essere passivi, a sfidare il potere anche grazie a un contrabbasso che può trasformarsi in “un mitra che ti spara sulla faccia”.

“Biglietto per l’Inferno” Biglietto per l’Inferno (1974)

Droga, isolamento, rifiuto dei dogmi sociali e religiosi. Tutte le problematiche tipiche di un giovane dei primi anni Settanta sfilano qui in cinque brani pregni di una rabbia e di una frustrazione che ancora oggi colpiscono come pugni in faccia. I Biglietto per l’Inferno, da Lecco, passano alla storia per l’inedita fusione delle tipiche istanze classicheggianti con un furente hard rock di marca Deep Purple/Uriah Heep. Il cantante Claudio Canale è completamente coinvolto nella dolorosa storia che narra, quella di una sconfitta, di una morte, di una perdita delle illusioni. Anni dopo, sentendosi inadeguato alla società, lo stesso Canali prenderà i voti e entrerà in una comunità monastica.

“Introspezione” Opus Avantra (1974)

Gli Opus Avantra si propongono come punto di incontro tra avanguardia e tradizione. Ovvero, il pop e la musica classico-contemporanea. Una sfida che può considerarsi vinta, soprattutto nel primo album dell’ensemble veneto capitanato dalla cantante e performer Donella Del Monaco, nipote del celebre tenore Mario. Introspezione è un incanto di atmosfere decadenti, tra filastrocche infantili, vecchie bambole, carillon, altalene, crisi esistenziali, sensualità e morbosità varie. Il dream pop che dai Cocteau Twins arriva fino ai Beach House, inizia anche un poco da qui.

“Napoli Centrale” Napoli Centrale (1976)

Dopo gli Osanna, gli alfieri del Neapolitan power che sta nascendo sono i Napoli Centrale di James Senese (sax e voce), figlio di una napoletana e di un soldato statunitense afroamericano. James ha il jazz e il soul nel sangue, e lo trasmette in maniera esplosiva. I Napoli Centrale esordiscono nel 1975 con Franco Del Prete alla batteria, l’inglese Tony Walmsley al basso e l’americano Mark Harris alle tastiere. Il disco omonimo è irresistibile: rock, funky, jazz e folk napoletano in una miscela unica, con cambi di scena inaspettati e testi che si schierano dalla parte degli emarginati e degli sfruttati. Il singolo Campagna arriva anche in classifica, il testo dice già tutto: “Campagna, campagna / comme è bella ‘a campagna / È cchiù bella pe’ ‘e figlie / do padrone della terra / ca ce vene sulamente / cu ll’amice a pazzià / ma po’ figlio do bracciante / ‘a campagna è n’ata cosa / ‘a campagna è sulamente / rine rutt’ e niente cchiù”.

“Forse le lucciole non si amano più” Locanda delle Fate (1977)

Il prog si congeda dalla grandi masse di pubblico con un disco che torna alle sue atmosfere più romantiche e struggenti, figlie dei primi Genesis e di certe pagine del Banco del Mutuo Soccorso.
Forse le lucciole non si amano più è un’opera permeata da una grande malinconia, con il pianoforte sugli scudi, grandi atmosfere e una ritmica creativa a sostenere la voce di Leonardo Sasso, ottimo discepolo di Francesco Di Giacomo che narra di sogni infranti, di ideologie perdute e di nostalgie di gioventù (da notare che i protagonisti del disco hanno tutti intorno ai vent’anni al momento dell’incisione). Un vero canto del cigno.

(Fonte Rolling Stone)

Buon Ascolto !