Istantanea di una crisi destinata a crescere
“Esiste un profondo rapporto vicinale tra l’industria del credito e quello della musica. Assistiamo da moltissimi anni, e più precisamente dal 2008 ad oggi, da quando, con il fallimento di Lehman Brothers e Merrill Lynch, quest’ultima poi salvata e acquisita da Bank of America, si aprì ufficialmente lo scenario della crisi bancaria mondiale, ad una progressiva globalizzazione del mondo della finanza. La svalutazione delle identità, brand fondamentale di ciascun soggetto di mercato, è riscontrabile altresì anche nel mondo della musica”.
E’ così che Maurizio Scandurra, collega che nel mondo della musica ci sguazza già da diverso tempo, presenta lo scenario discografico attuale. Uno scenario che, ad oggi, appare piuttosto in crisi nelle sue componenti di mercato fondamentali. In un interessante parallelismo con la crisi finanziaria apertasi alla fine dello scorso decennio Scandurra delinea, passo passo, le tappe che hanno portato le grandi multinazionali ed etichette discografiche a vivere la più grande crisi di settore di tutti i tempi.
“A partire dalla prima metà degli anni ’90, le grandi case discografiche italiane, seguite a ruota anche dalle multinazionali del disco locate in ogni dove del mondo, hanno intrapreso rapporti di parentato, affratellamento e fusione, simili a quelle che fanno sì che la matrioska più grande inglobi la misura prettamente più piccola. Così come nelle banche, contrariamente a quanto l’uomo può percepire, la perdita di marchi, di loghi, di immagini ricorrenti che richiamano alla mente significati semantici profondi, abitudini di consumo e correnti di pensiero legati agli acquisti ha determinato la perdita di significato della mission fondamentale delle banche, che non è quella di spersonalizzarsi e spossessarsi di un territorio bensì di penetrarlo arricchendo, elargendo e proponendo una ricaduta e ridistribuzione sociale della ricchezza sullo stesso, altresì la progressiva fusione per incorporazione ed incameramento delle realtà discografiche fa sì che venga meno la natura propria della linea editoriale che ha contribuito a mantenerne, fin dalla seconda metà dell’ottocento con la nascita delle prime società editoriali in campo della musica lirica italiana per poi arrivare ad imprenditori illuminati come Curci e Sugar, la natura principale. Una casa discografica è come un volto: possiede tratti fisionomici, caratteristiche peculiari, tratti ricorrenti”.
Non solo, quindi, la perdita di introiti per l’intera industria musicale ma anche la continua e progressiva svalutazione e spersonalizzazione dell’offerta che ha portato gli artisti, via via, a diventare altro da sè. Un altro da sè che, però, non gli appartiene veramente ma che, piuttosto, somiglia più ad una risposta alle esigenze, futili e puerili,del mercato radiofonico.
“Come già detto perfettamente da Ilario Luisetto (qui per recuperarlo) nel suo splendido articolo di qualche giorno fa su ‘Recensiamo Musica’, cui faccio i complimenti per la capacità d’introspezione, la profondità dell’analisi e la perspicacia nell’intuizione di quelli che possono essere i possibili approdi e le future derive della musica italiana suonata, ascoltata e riproposta dal vivo, il progressivo accorpamento degli artisti denota e denuncia una carenza di espressione, una perdita di appeal e altresì una profonda crisi di bilancio non soltanto dal punto di vista dell’impoverimento degli incassi ma anche dal punto di vista della capacità di saper fare progetti che nel medio e nel lungo periodo producano effetti duraturi. Quindi, concludendo, finchè, contrariamente alle politiche di globalizzazione in atto nel mondo, vittima del controllo sui generis di pochi potenti a fronte dell’abbassamento delle teste, della perdita del senso critico e del progressivo scemare dell’acume delle persone, noi abbiamo necessariamente bisogno di affermare ciò che siamo e ciò che ci permette di eternarci al di là dello scorrere del tempo e di vincere la partita con l’eternità: la melodia, la bella voce, gli arrangiamenti all’italiana con l’orchestra in un crescendo e con i ponti musicali, la riduzione della cascata voluminosa di parole tipica del rap e della protesta populista che anche nella musica ha trovato la sua espressione e rispondendo all’imbruttimento delle nostre canzoni con il recupero degli elementi che ne hanno fatto capisaldi internazionali e capiscuola della musica mondiale. Tutte cose che l’ottimo Ilario Luisetto ha ben spiegato, anche con gusto, ricorrendo a espressioni dotte non per far sfoggio ma per far vedere che la cultura è il solo modo da cui ripartire se vogliamo davvero fare musica”.
Ilario Luisetto
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