Viviamo in degli anni caratterizzati dalla fobia del numero 2: in qualsiasi campo l’obiettivo minimo è essere il numero 1, la testa di serie, l’incomparabile detentore di ogni record. Dalla politica alla televisione (passando anche per la musica) se non si è “il più votato”, “il più visto” o “il più venduto” non si è nessuno. La smania del successo è così grande da colpire chiunque, nessuno escluso, tant’è che se non si è al numero 1 si fatica ad essere considerati importanti per la scena, qualunque essa sia.
Ditemi voi se ad oggi esiste qualcuno che si accontenta del numero 2: se un politico perde un’elezione viene immediatamente avviato un “processo” per capire quali sono gli errori commessi in campagna elettorale, se una trasmissione non è la più vista in una serata si corre subito al riparo cercando qualche colpo di scena piuttosto che un ospite di caratura internazionale per la puntata successiva. Funziona così anche nella musica: se un disco debutta al numero 2 nella classifica di vendita è già un flop, se una canzone non vende minimo un disco d’oro non conta nulla, se un turnè non è totalmente sold-out la prossima sarà ridimensionata fino all’osso per evitare sprechi. Siamo tormentati dal numero 1. Esiste solo la prima posizione, tutto il resto non conta.
Ecco allora perché oggi siamo ridotti a vedere certe oscenità contro cui ogni volta si grida allo scandalo non appena avvengono. Faccio riferimento al mio campo d’azione ovviamente e quindi alla musica: in quanti hanno esclamato “chi?!” ogni volta che hanno aperto nell’ultimo periodo una classifica di vendita vedendo qualche nome del tutto sconosciuto (come la relativa canzone) in posizioni di rilievo pur essendo un attento ascoltatore? Credo che siano in molti a poter dare una risposta affermativa considerando i non pochi casi che si sono verificati nell’ultimo periodo e che continueranno a verificarsi anche in futuro se chi di competenza non agirà contro questo fenomeno.
Vogliamo proprio ripercorrere insieme gli ultimi imbarazzantissimi mesi dei strani casi della classifica di iTunes (e di Spotify da quando anche lì si “vende” musica)? Penso sarebbe del tutto inutile visto che tutti noi sappiamo nomi e cognomi di coloro che hanno dato una “spintarella” a qualche loro canzone.
Il fatto è che tutti vogliono essere al numero 1 e quando non si è big per davvero è difficile arrivarci e restarci con costanza, molto più semplice cercare qualche stratagemma per facilitarsi la strada. Il fenomeno è partito proprio dallo streaming quando, da inizio 2015, anche questo viene conteggiato dalla FIMI per determinare le certificazioni di vendita che attestano il successo di una canzone e del suo interprete. Tutto molto semplice: basta far partire una playlist che ascolti i primi 5 secondi di un brano all’infinito e il contatore degli ascolti sale fino ai milioni in uno schiocco di dita. Nulla di più facile e all’artista piovono in testa qualche disco d’oro e di platino. Fatto curioso è che a tutto ciò non corrisponde alcun vero successo visto che il tutto è stato astutamente progettato da un ristrettissimo gruppo di persone (spesso il fanclub dell’artista in questione ma talune volte anche le stesse etichette discografiche) ma, realtà ancora più scioccante è il fatto che il guadagno economico è pari a zero! 25, 50, 100 mila copie vendute recita la certificazione ma poi l’assegno staccato è vuoto perché lo streaming permette un guadagno assolutamente imbarazzante per la musica, pensate se poi gli ascolti non sono reali ma falsificati… Qualcuno così ha campato qualche stagione (ed è stato prontamente smascherato anche se qualcuno è sfuggito alla lista della spesa) fino a quando FIMI ha preso dei provvedimenti ideando un sistema che blocchi questo tipo di iniziative cosicché un utente possa ascoltare legalmente per la classifica solo 5 volte al giorno un brano.
Ora, a causa del trucchetto fallito, si è tornati a cercare una nuova scorciatoia per arrivare al numero 1. La soluzione questa volta è stata decisamente più furba ed economicamente non smascherabile. Sono gli artisti stessi (o le case discografiche) ad autocomprare (o regalare) il proprio brano portandolo magicamente al “successo”. E così ricomincia la pioggia di dischi d’oro e di platino a non finire. L’inghippo è che qui le copie sono effettivamente pagate (o dovrebbero esserlo, il fatto è tutto da dimostrare) e quindi l’artista o l’etichetta in questione dovrà sborsare qualche denaro in cambio ma per il successo cosa non si fa?!
A farlo sono emergenti come anche presunti “big”, italiani come stranieri, artisti mainstream come di nicchia, sanremesi come ex-talent. Cosa viene in tasca a queste persone? Poco o nulla: una certa popolarità (non credo sarà di certo positiva visto che la cosa è facilmente smascherabile), la tanto desiderata etichetta di “numero 1” e poco altro. Ma è davvero questo il successo o è solo una magra auto-consolazione che ci si dà per non affrontare la realtà è magari trovare una soluzione? Così, forse, sono più le perdite che il guadagno…
Il circolo vizioso viene scoperto poi facilmente confrontando qualche numero interessante alla nostra indagine: un brano in vetta per mesi alla classifica iTunes spesse volte ha un numero di vendite/ascolti sulle altre piattaforme digitali imbarazzatamente basso (com’è possibile che un singolo sia disco d’oro e non abbia nemmeno 1 milione di ascolti su Spotify che nell’interfaccia utente conteggia anche gli ascolti fasulli? Non può essere solo il “pubblico diverso” la spiegazione perché una persona che sa comprare online da iTunes sa anche ascoltare il pezzo su Spotify), altrettante volte l’album contenente quel pezzo vende appena qualche centinaia di copie (troppo costoso auto-comprarsi i dischi quindi quelli lasciamoli al pubblico effettivo e falsifichiamo il singolo che al massimo costa 1,29€), i tour sono totalmente assenti oppure comprendono solo date gratuite nelle piazze o ad eventi, i brani in questione quasi mai vanno in TV o in radio (e dove le si trova allora 25, 50, 100 mila persone?) o salgono inspiegabilmente in classifica sempre negli stessi momenti della giornata quasi a voler testimoniare da sé che un qualche sistema automatico programmato compia il trasferimento in quel preciso istante. Ma ciò che più impressiona è un dato innocuo ma rivelatore: non appena la FIMI certifica il disco d’oro piuttosto che il disco di platino il brano in questione sparisce magicamente dalle prime posizioni precipitando nel giro di qualche giorno per sempre al di fuori della classifica iTunes. Ma com’è possibile? Altre volte succede addirittura che questa misteriosa “sparizione” avvenga il venerdì (giorno in cui le classifiche vengono diramate alle case discografiche che quindi conoscono in anticipo i dati di vendita che vengono certificati il lunedì) evitando all’artista di auto-comprarsi altre 300/400 copie inutilmente prima della certificazione pubblicata il lunedì successivo.
Inutile fare nomi e cognomi, inutile alzare un polverone mediatico su nomi che sono anche d’impatto (ma se proprio vogliamo farne qualcuno citiamo l’ultimo episodio di Salvo Castagna piuttosto che qualche strano youtuber). La coscienza sporca è la loro non di certo la mia certo è che la mania di questo numero 1 è davvero una brutta cosa per la musica. Le prove ci sono basterebbe solo che qualcuno volesse tirarle fuori ma di certo non è conveniente per i colossi del mercato musicale che buoni buoni sono gli unici a guadagnarci in termini economici.
Ilario Luisetto
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