giovedì 21 Novembre 2024

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“Quando ti manca il fiato” ridisegna l’uomo Gianluca Grignani – RECENSIONE

Recensione del brano che Gianluca Grignani ha presentato nell’ultima edizione del Festival di Sanremo

Un ritorno al Festival di Sanremo, dopo qualche anno di distanza dal palcoscenico, che per lui aveva un duplice obiettivo: da una parte, ricollocare ad alti livelli i suoi nuovi lavori; dall’altra, rimettere il focus sulla sua musica dopo che, negli ultimi tempi, soprattutto sui social, si è parlato più di altro. E, diciamolo subito, Gianluca Grignani li ha soddisfatti entrambi.

La vigilia festivaliera |

Non arrivava, infatti, da un periodo facile Gianluca, sia a livello artistico che umano. Le canzoni belle ha continuato a scriverle, pensiamo ad esempio all’intensa “Tu che ne sai di me” o alla sperimentale “A long goodbye“, ma alle sue ultime produzioni è mancata la giusta cassa di risonanza, tra radio poco interessate a divulgarle e piattaforme streaming che sappiamo già quasi totalmente orientate verso le nuove tendenze. E questo ha contribuito a dare l’artista per disperso da chi è poco attento alla musica che rimane fuori dai soliti canali di fruizione.

A questo si aggiunge il duetto con Irama, sulle note de “La mia storia tra le dita“, avvenuto l’anno scorso proprio sul palco dell’Ariston. Un risultato non memorabile e giustificato poi da cure cortisoniche dovute ad un abbassamento della voce. Giustificazione evidentemente non soddisfacente per buona parte del pubblico social che ha subito urlato al mostro, colpendo il cantautore con attacchi già sentiti e risentiti e un’ironia che mascherava una spietata mancanza di empatia.

Canzone che rimette al centro non solo l’artista, ma anche l’uomo |

Si è presentato quindi in Riviera con gli occhi di tutti addosso, sia per il recente passato, sia per una canzone che, si sapeva già, l’avrebbe impegnato fortemente dal punto di vista emotivo. E che, invece, si è rivelata una scelta azzeccatissima. Perché “Quando ti manca il fiato” ha rimesso al centro non solo l’artista, ma anche l’uomo. Grignani si spende con assoluta generosità verso il pubblico in un racconto struggente sul suo rapporto quasi inesistente col padre. Non c’è verso che non sia necessario. Non c’è parola che sia utilizzata come un semplice orpello.

Ricordi, sofferenze e perdono finale |

L’introduzione intima aiuta il cantautore a fare un viaggio nei pochi ricordi d’infanzia che lo vedono legato al padre: “Era uno dei tanti, ma era il mio eroe quando mi sorrideva, vivevamo ancora insieme, questo lo ricordo bene, e poi non ricordo più“. Le atmosfere iniziano a scuotersi con la descrizione di una telefonata avvenuta dopo vent’anni di lontananza: è il padre che gli chiede “tu verrai o no al mio funerale?“. Il brano qui inizia a irrobustirsi e la voce di Grignani si fa inquieta, quasi a voler rappresentare lo stesso senso di angoscia vissuto in quel momento.

Il continuo crescendo rock accompagna poi le sue riflessioni, tra sofferenze e difficoltà vissute (“Sono coltelli che cadon dal cielo, fan sanguinare anche l’uomo più duro“) e senso di smarrimento e abbandono (“Anche se sono cresciuto da solo, a modo mio“). È un uomo che, pur in mezzo a mille domande, trova il coraggio di perdonare: “Ciao papà, o addio papà, io ti perdono, le mie lacrime sono sincere“. Che ha raggiunto una maturità tale da riuscire a fare completamente pace con il suo passato: “Ognuno giudichi sè stesso, questa è l’unica legge che conosco e rispetto“. Che è talmente risoluto da riuscire comunque a manifestare il suo amore nei confronti della figura paterna (“Questa canzone te la canto adesso, perché tu sappia che ti amo lo stesso“) perché è sbagliato “fare accordi con i ricordi quando ti manca il fiato“.

Canzone da Premio della Critica |

Ecco perché “Quando ti manca il fiato” ha rimesso al centro non solo l’artista, ma anche l’uomo Grignani. Perché lo conferma artista fuori dagli schemi: un brano con una costruzione difficile, senza ritornello e tutt’altro che immediato. Sarebbe stato più facile ripresentarsi sul palco dell’Ariston con una delle sue ballad radiofoniche, orecchiabili e dirette. Ma a lui le cose facili non sono mai piaciute e ha dimostrato così di essere ancora quel cantautore che, quasi 30 anni fa, all’apice del suo successo, si ribella alla volontà dei suoi discografici di guardare verso un target giovanile e pubblica un album difficile, ruvido e disorientante come “La fabbrica di plastica“.

Ed è un brano che, inoltre, è inscindibile dal suo vissuto. Può scriverlo solo chi ha sofferto, dopo esser riuscito però a fare pace con la sua sofferenza. Grignani lo sente dentro, lo vive, si è visto in particolare durante la prima esibizione sul palco dell’Ariston, quando sembrava che cantasse con un nodo in gola. È tutto talmente profondo, vero, autentico e commovente che non possiamo che chiudere questo articolo con una domanda, che forse non troverà mai spiegazione: com’è possibile che non abbia vinto il Premio della Critica?

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Nick Tara

Classe '92, ascoltatore atipico nel 2022 e boomer precoce per scelta: mi nutro di tradizione e non digerisco molte nuove tendenze, compro ancora i cd e non ho Spotify. Definito da Elettra Lamborghini "critico della sagra della salsiccia", il sogno della scrittura l'ho abbandonato per anni in un cassetto riaperto grazie a Kekko dei Modà, prima ascoltando un suo discorso, poi con la sincera stima che mi ha dimostrato.