A tu per tu con il giovane artista classe ’95, in uscita con il suo primo progetto discografico intitolato “40”
Arriva negli store digitali e tradizionali a partire dal 29 marzo il primo disco ufficiale di Vittorio Crisafulli, meglio noto con lo pseudonimo di Quentin40. Prodotto da Guna/Urbana Label e distribuito da Sony Music, “40” è il titolo dell’album d’esordio dell’artista romano, nato e cresciuto nella frazione di Acilia e trasferitosi recentemente a Milano, dove ha concretizzato e lavorato a questo progetto di debutto. Tredici inediti prodotti dall’amico e socio Dr. Cream, tra cui spiccano in scaletta: “Botti”, “Giovan8″, “Luna Piè”, “Tiki Taka”, “666GAP” (in collaborazione con Fabri Fibra), “Le darò 1 passi”, “Mamma Mia”, “Scusa Ma”, “Piatto di pasta”, “Inverno”, “Giovane1”, “Fahrenheit” e la title track “40”. Approfondiamo la conoscenza del giovane rapper.
Partiamo da “40”, cosa hai voluto inserire in questo tuo primo biglietto da visita discografico?
«In questo disco ho cercato di mantenere la stessa spontaneità che mi contraddistingue sin dagli esordi e dalle mie primissime produzioni. Non posso che essere sincero in primis con me stesso, mi siedo in studio con i miei amici e faccio la musica che più mi piace, cercando di condividere le nostre creazioni con più persone possibili. Non chiedo di meglio. Ho capito che se una cosa la vuoi davvero, lavorando sodo la puoi ottenere».
Al contrario c’è qualcosa che hai voluto lasciare fuori, non dico per censura, che hai preferito non inserire in questo tuo album d’esordio per proporla magari più avanti?
«Assolutamente sì, ho iniziato a scrivere tanti pezzi che poi ho abbandonato per strada perché pensavo avrebbero depistato l’ascoltatore e distolto l’attenzione su quello che volevo dire effettivamente. Alcuni di questi pezzi potrei anche riproporli in futuro, magari anche durante il live.
Nel tempo è un po’ cambiato il mio metodo di lavoro e di conseguenza il criterio di selezione dei pezzi, in generale mi lascio sempre trasportare da quello che mi piace, partendo dalle sonorità, sulla musica mi ci faccio un bel viaggio sopra, cercando di tirare fuori tutte le parole evocate da una determinata situazione, un’emozione o semplicemente mi lascio trasportare da quello che stiamo suonando.
Tendenzialmente tendo a dare libero sfogo a ciò che mi passa per la mente, il lavoro in particolare consiste nel cercare di trovare il modo giusto per esporre le cose che sto pensando, prendendomi anche il tempo necessario per elaborarle, tipo posso metterci anche due ore per una frase, l’importante è riuscire a tirar fuori quello che mi rispecchia».
Sei passato dalla provincia romana ad una realtà apparentemente diversa come quella di Milano, come hai vissuto questo cambiamento?
«Il passaggio è stato particolare perché, una volta salito a Milano, mi sono reso conto davvero di cosa vuol dire lavorare in ambito musicale. L’impatto è stato per certi versi anche terribile, soprattutto per un ragazzo come me abituato ad un altro tipo di realtà. Sai, quando ero giù mi sono sempre fatto tanti film, ho provato ad immaginare come potesse essere lavorare in studio con professionisti del settore, così ho cercato di mantenere lo spirito che mi ha sempre contraddistinto cercando di migliorarmi, imparando anche ad essere un pochino più preciso, per evitare di creare dei danni sia verso me stesso che nelle persone che confidano in me, fino ai ragazzi che mi ascoltano. Ho cominciato a familiarizzare con il senso di responsabilità».
Durante la lavorazione, ti sei sentito schiacciato dal peso delle aspettative?
«Nell’ultimo periodo un po’ di ansia c’è stata, ma adesso mi sento alla grande perché il disco finalmente sta per uscire e per me rappresenta una gioia immensa. Un po’ come è accaduto per i live, la mia determinazione ha superato sia la timidezza che la paura. Ho voglia di rischiare, da bambino sognavo di fare il cantante, non ho mai smesso di farlo e continuo a portare avanti quelli che sono i miei obiettivi, cercando di accerchiarmi sempre dalle persone giuste».
Da quali idee iniziali sei partito e a quali conclusioni sei arrivato?
«Questo disco ha cominciato a prendere forma tre anni e mezzo fa, quando ho cominciato a realizzare le mie prime cose. Lo considero un po’ una raccolta che ho concepito in due momenti diversi, inizialmente quando questa roba non aveva futuro e nemmeno un pubblico di riferimento, successivamente quando questa stessa musica era diventata altamente sovraesposta e super richiesta. La prova più dura è stata capire quale fosse la mia strada».
Cosa mi racconti dell’incontro e della collaborazione con Fabri Fibra?
«E’ un onore incredibile averlo in questo mio album, non ho avuto ancora il tempo di immagazzinare la cosa. L’immaginario supera sempre la realtà, fin dall’inizio abbiamo cercato di puntare in alto, senza proporre sempre le stesse cose cavalcando il successo del singolo precedente, abbiamo scelto di non chiuderci solamente in ciò che funziona, cercando di seguire altre vie. Questo è proprio quello che ho imparato dalla musica di Fibra».
Ti senti rappresentato dall’attuale mercato e da ciò che si sente oggi in Italia?
«Assolutamente no, in Italia prima di chiudere un disco si devono necessariamente valutare mille cose perché, parliamoci chiaro, l’obiettivo è vendere. Sinceramente, io non voglio tornare a lavorare al bar, nella vita voglio continuare ad esprimermi con la musica, con questo non voglio dire che tutto è costruito a tavolino, anzi, se sono arrivato fin qui è proprio perché non ho mai seguito le regole, ho sempre cercato di uscire fuori dagli schemi.
La cultura del rap francese mi ispira da morire, anche se la scena hip hop italiana ha sempre tratto spunto dalla scuola americana, è una questione di identità, di natura e di concetti che vengono espressi. Poi, se in futuro le cose non andranno come devono andare, le affronterò col sorriso, convinto di aver dato tutto me stesso mostrando quello che sono, con i miei pregi e con i miei difetti. La musica è verità, i risultati sono solo una conseguenza».
Nico Donvito
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