Raffaella Carrà, il ricordo dell’artista e l’analisi delle sue canzoni

Emancipazione e uguaglianza, la filosofia delle canzoni di Raffaella Carrà: il nostro omaggio a quattro anni dalla sua prematura scomparsa
Canzoni popolari dai ritornelli facili, che hanno accompagnato almeno quattro generazioni. Nel corso della sua folgorante carriera, Raffaella Carrà ha venduto 60 milioni di dischi in ben 37 paesi del mondo, superando quota 700 pubblicazioni tra singoli, album e raccolte.
Attraverso i suoi pezzi leggeri e profondamente avanguardisti, molti dei quali firmati dall’inseparabile e geniale Gianni Boncompagni, ha saputo sdoganare pregiudizi e scardinare tabù attraverso l’allergia, l’ironia e una spiccata sensibilità artistica.
Tra le sue canzoni d’amore, troviamo ballate senza tempo come “Innamorata”, “Forte forte forte”, “Abbracciami”, “L’uomo ideale”, “Io ti amo”, “Bellissimo” e “Sarà perchè“, brani dai testi accessibili ma mai banali, soprattutto per i canoni dell’epoca.
Immancabili anche tracce più romaniche e nostalgiche, nelle quali la protagonista viene puntualmente sedotta e abbandonata. Da “Io non vivo senza te” a “E salutala per me”, passando per “Sei un bandito”, “Torna da me” e “Niente di importante”.
Insomma, nelle sue canzoni Raffaella le corna le ha prese, ma le ha anche restituite! Ribellandosi a un sistema che non favoriva una narrativa legata all’emancipazione femminile. Pensiamo a Tanti auguri, uno dei suoi più celebri cavalli di battaglia, pubblicato nel 1978.
Raffaella Carrà esempio di emancipazione e uguaglianza
Così una donna si ritrovava a cantare il piacere di fare l’amore, pensate, tre anni prima della cancellazione del delitto d’onore dal codice penale. O meglio cinque anni prima se consideriamo la precedente e iconica “A far l’amore comincia tu“, rilasciata nel 1976.
Amore libero che esportava in giro per il mondo, anche in paesi come il Cile e la Spagna, che in quegli anni erano sotto un regime dittatoriale. Rispettivamente di Augusto Pinochet e di Francisco Franco. Una ribellione a suon di note, passi di danza e testi piuttosto espliciti.
Come non citare “Luca“, la seconda canzone italiana della storia a trattare il tema dell’omosessualità dopo “Pierre” dei Pooh, anche se in modo decisamente più leggero, oppure “Amicoamante“, dove si anticipava di qualche decennio la figura del trombamico.
Poi, ancora, la lussuriosa “Pedro“, il cui protagonista (mica tanto perbenino) adesca una turista con la scusa di farle da guida per la città. Non frena i suoi istinti nemmeno in “Io la colpa non ce l’ho“, dove canta: “La mia mente dice no, ma il mio corpo grida un sì!”.
E che dire di “Che dolor?” Brano che racconta in terza persona la storia di una donna che si ritrova sul groppone un marito nullafacente, che al posto di andare a lavorare si intrattiene a casa con una biondina che rinchiude nell’armadio, con tanto di finta prescrizione medica.
Provocatrice garbata e pioniera dell’autoironia, Raffaella Carrà ha saputo selezionare un repertorio coerente e fuori dagli schemi, mettendosi più volte in gioco, ad esempio con gli Elio e le storie tese in “Presidance“, facendo praticamente la parodia di se stessa.
A livello musicale ha sempre amato sperimentare. Toccare corde anche diverse e apparentemente distanti, aprendosi addirittura al reggae e alla dance, prediligendo in primis le sonorità latine. Sempre con una buona dose di melodia all’italiana, soprattutto nei ritornelli.
Raffaella Carrà ha sempre anticipato i tempi, basti pensare a quello che considerava essere il suo pezzo preferito, vale a dire “Rumore“, uno dei pochi esempi riusciti di disco music in lingua italiana, insieme a “Nessuno mai” di Marcella Bella.
Andando indietro di un decennio, addirittura il “Tuca tuca” venne considerata da molti una canzonetta, la sigla di un programma popolare e niente più, quando in realtà possedeva dei riferimenti swing e una costruzione orchestrale piuttosto importanti.
Ma Raffaella Carrà non ha mai ostentato o sbandierato i suoi traguardi professionali. Anzi, probabilmente non si é mai nemmeno resa realmente conto di quanto ha realizzato, del suo impegno rivoluzionario in termini sociali, musicali, coreografici e televisivi.
“Ma che musica maestro”, “Chissà se va”, “Vi dirò la verità”, “T’ammazzerei”, “Sono nera”, “Fiesta”, “Ballo ballo”, “Fatalità”, “Soli sulla luna”, “Rosso”, “Più forte del tempo” e “Vuol dire crescere“, questi alcuni dei brani finora non citati che meritano di essere menzionati.
Non bisogna essere necessariamente degli intellettualoidi per lanciare dei messaggi e per cercare di risultare innovativi. Perchè a volte la semplicità e il buonumore possono diventare dei veicoli immediati, mirati, efficaci e comprensibili di altri più ricercati.
Decennio dopo decennio, Raffaella Carrà ci ha insegnato a prenderci tutti meno sul serio. A spostarci un po’ più in là quando sembra che il mondo ci stia cascando addosso. Perchè in fondo la vita è davvero come il brodo: “se non c’è il prezzemolo… ma che sapore ha?”.