Musica e società: si è perso il nesso positivo
Ormai ne hanno parlato già tutti: il rapper milanese Andrea Arrigoni, in arte Shiva, è stato sottoposto a misura cautelare per tentato omicidio e, qualche giorno fa, ha ricevuto un nuovo avviso per una rissa avvenuta a San Benedetto del Tronto a fine agosto. Non siamo qui per vestirci da plotone di esecuzione: in Italia, la pena viene decisa in tribunale dopo attento processo e ognuno è non colpevole fino all’ultimo grado di giudizio. Certo, il rapper deteneva illegalmente armi e, dai documenti circolati, non era proprio un novellino nel loro utilizzo ma, a parte questo, è importante concentrarsi su un aspetto secondo me più importante e più grave della storia.
Come sempre si fa nei ragionamenti ad ampia veduta, l’episodio specifico serve a parlare della storia e non viceversa e, proprio per questo, questo articolo non parlerà di Shiva bensì avrà come oggetto l’analisi “SocioEconomicoMusicale”, come mi piace chiamarla, della discografia italiana oggi.
Partiamo da un presupposto: oggi le case discografiche sono allo sbando più totale. Mancano A&R di livello (tranne i “grandi vecchi”), mancano autori e arrangiatori di livello (anche qui, tranne i “grandi vecchi”), vengono firmati decine di artisti che finiscono in catalogo senza però trarre alcun beneficio dal contratto discografico e si gioca a copiare le tendenze americane per inseguire la Top100 di Spotify presentando ogni singolo italiano come una “grande rivoluzione” che però altro non è che una copia, a livello di arrangiamento e di sound, di un brano estero uscito precedentemente.
A parte il lato musicale, già scabroso di per sé, l’elemento preoccupante che merita un’analisi approfondita è quello sociale perché sì, la musica costruisce la società e non viceversa e sembra che “qualcuno” si sia dimenticato dell’intrinseco rapporto che c’è tra arte e costruzione di una generazione.
Donne, musica e sesso |
Oggi, abbiamo abbassato tutte le barriere e, in “qualche” caso, ci siamo vestiti di ipocrisia. Faccio un esempio lampante: Spotify ha creato una playlist dedicata alle artiste donne lamentando la mancata presenza di cantanti di sesso femminile nella grande discografia. Fin qui, tutto bello; peccato però che i curatori di Spotify che hanno avviato questa iniziativa sono gli stessi che poi inseriscono in altre playlist editoriali artisti che a definirli misogini gli si fa un complimento.
E ancora, vogliamo parlare della ormai continua sessualizzazione di ogni tipo di contenuto social o di uscita musicale? Come dicono a Napoli, ccà nisciun è fess. Chi conosce la comunicazione pubblicitaria, per studio o lavoro, sa benissimo che l’utilizzo del sesso o del richiamo a quest’ultimo nell’ambito comunicativo è una cosa vecchia come il cucco. Nell’industria musicale italiana, oggi più che mai, il soft porn, se così vogliamo chiamarlo, e la nudità sono due cose ormai completamente sdoganate: dai video musicali quasi sessualmente espliciti, i cui contenuti però non hanno alcun nesso logico col senso e le parole del brano, ai testi ammiccanti e/o resi come degli specchietti per allodole per la comunità LGBTIQA+ (sì ragazzi, la comunità LGBTIQA+ è un target di vendita e, sappiatelo, la discografia ci sguazza dentro come non mai).
Guai però a criticare la continua sessualizzazione del contenuto; infatti, chi utilizza il sesso per vendere si nasconde dietro all’emancipazione femminile, alla libertà di espressione e/o a quella di poter esporre il proprio corpo come meglio si vuole. Per carità, nessuno vuole impedire niente a nessuno ma non giochiamo a nascondino dietro al dito: il sesso utilizzato come strumento comunicativo è da sempre un metodo di vendita e tale rimarrà per sempre.
La veicolazione della violenza con la musica |
Ma veniamo all’aspetto più preoccupante dal punto di vista sociale: l’ormai totale noncuranza della violenza e della legalità. Non prendetemi come un vecchio: ho 30 anni e ascolto da sempre, per passione e per lavoro, musica di ogni genere compreso il gangsta rap. Molti potrebbero dire che anche all’estero esistono canzoni violente e che parlano di crimine: è assolutamente vero con la piccola differenza che, mentre all’estero l’offerta musicale mainstream è variegata, in Italia ormai il rap e la trap sono diventati il nuovo pop.
Prendiamo come esempio una canzone da poco uscita e che sta spopolando sui social: “Everyday”, brano di Takagi e Ketra, Shiva (manco a farlo apposta), ANNA e Geolier. Cito testualmente una frase del ritornello cantato da ANNA: “Io ti ammazzo solo perché parli con lei”.
Qui, ci sono da osservare due cose: primo, se questa frase l’avesse cantata un uomo, con tutte le accortezze grammaticali del caso, sarebbe scoppiato un putiferio ma, guarda caso, si è pensato bene di farla cantare ad una donna in modo da rendere mediaticamente innocua la cosa. D’altronde, se una donna ammazza, allora va bene, non fa scandalo. Seconda cosa, un po’ più analitica: ammazzare non è sinonimo di uccidere in quanto ammazzare, da vocabolario della lingua italiana, significa “uccidere con mezzi violenti”. Sarà una masturbazione cerebrale, citando la famosa canzone di Pierangelo Bertoli, ma, per chi conosce la lingua, non è un fatto di secondo piano.
Responsabilità sociale di musica, artisti ed etichette |
Parlando di legalità, come si può non parlare di major che firmano e producono artisti con la fedina penale non proprio immacolata? Prendo il caso di Niko Pandetta, finito dietro le sbarre per spaccio ed evasione fiscale. Ebbene, si dà il caso che Warner Music Italia abbia sotto contratto il succitato rapper. Può una major diffondere e commercializzare dischi e contenuti di una persona condannata in tutti i gradi di giudizio per spaccio ed evasione fiscale? La domanda sorge lecita.
Facendo una sintesi, voglio porre a voi lettori una domanda: se è vero che l’industria del mainstream ha un potere commerciale e comunicativo notevole, come può allora diffondere e vendere prodotti di criminali e pieni di contenuti violenti e restare con la coscienza pulita? Non dobbiamo stupirci dei crimini giovanili in crescita se chi ha un grande potere a livello di media pubblicizza personaggi che, oltre ad essere pregiudicati e/o sotto processo e/o condannati in via definitiva, diffonde canzoni contenenti testi ricchi di misoginia, violenza e crimine? Badate bene, il mio non è bigottismo bensì consapevolezza che l’arte, essendo un grande mezzo comunicativo, ha una grande influenza sulle persone.
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