Viaggio nella storia e nell’evoluzione dell’hip hop italiano, tra derive, evoluzioni e sottogeneri. A cura di Mattia Cantarutti
Nato nei ghetti d’America come espressione di ribellione e rivalsa sociale, l’hip hop ha attraversato l’oceano per piantare le sue radici anche in Italia. Quello che inizialmente era visto come un fenomeno d’importazione, con il tempo è stato assorbito e trasformato, diventando qualcosa di profondamente nostro. Rap Italy evoluzione hip hop
Dalle rime grezze dei pionieri fino alla conquista delle classifiche, il rap italiano ha saputo imporsi come una nuova forma di cantautorato contemporaneo, capace di raccontare le sfide e i sogni di un’intera generazione. In questa rubrica, Mattia Cantarutti ci guiderà attraverso la storia e l’evoluzione di un genere che, da sottocultura, è diventato parte integrante della nostra identità musicale.
Rap Italy, l’evoluzione dell’hip hop nei primi anni 2000
Ci siamo lasciati settimana scorsa narrando le gesta dei primi pionieri dell’Hip-Hop italiano e raccontando un periodo chiave ed estremamente prolifico come quello della Golden Age degli anni ‘90. Anche le cose belle però sono destinate e finire, e non ci stiamo riferendo alla presente rubrica, eccoci quindi a raccontare un periodo di vuoto che avvenne nel mondo dell’Hip-Hop e del rap italiano: i primi anni 2000.
A quanto pare l’industria musicale nostrana si stancò magicamente del rap, bisognava passare a qualche altro genere da proporre ai giovani e su cui lucrare il più possibile. Sicuramente certe attitudini da parte di molti membri della scena non aiutarono la scena stessa, impossibile però non notare un certo allontanamento che venne deciso direttamente ai piani alti della discografia.
Bisogna forse ammettere anche che l’Italia non era poi così pronta al genere come tanti pensavano. Gli slang, il lifestyle e le scelte musicali richiamavano troppo un mondo, quello USA, non ancora instauratosi veramente nelle vene musicali e culturali del bel Paese. Ma ecco che anche nei momenti più difficili e disperati, la speranza divampa. L’approdo nel mondo mainstream dei beat, dei graffiti e delle rime illuminò fortunatamente molti giovani negli anni ‘90 ed ecco quindi che arrivarono giovani band come gli Uomini di Mare e le Sacre Scuole a riaccendere la miccia quasi spenta del rap.
Le due band, accomunate da una grandissima passione verso l’hip-hop e animate da un’enorme voglia di mettersi in mostra, realizzeranno i loro progetti tra la fine degli anni ‘90 e gli inizi degli anni 2000, riuscendo a farsi notare inizialmente nei pochi circoli ancora rimasti. Ed è proprio da un’ulteriore fine che ha inizio, perdonateci la ripetizione, un nuovo inizio.
Gli Uomini di Mare erano composti da Fabri Fibra e Lato, i due realizzeranno l’album “Sindrome di fine millennio” nel 1999 (tra le collaborazioni al disco, ricordiamo quelle di Nesli, Esa, Inoki e del compianto Joe Cassano).
Dal progetto Uomini di Mare e Teste Mobili Records (l’etichetta fondata dal duo) a emergere più di tutti è la figura di Fabri Fibra, il rapper di Senigallia con la sua intelligenza, emotività e provocazione salirà nell’Olimpo non solo del genere ma della musica italiana stessa, producendo uno scossone che avrà un impatto enorme sul pubblico italiano e su buona parte dei rapper che verranno dopo di lui (molti lo accompagneranno in parte del suo percorso che ancora oggi lo vede ai vertici delle classifiche musicali).
Fibra realizza agli inizi 2000 un trittico che lo porta man mano sempre più in alto, partendo dall’esordio solista nel 2002 con “Turbe giovanili”, “Mr. Simpatia” due anni dopo e riscontrando il vero successo mainstream nel 2006 con l’album “Tradimento”. In questo lavoro, la hit “Applausi per Fibra” otterrà un successo enorme, ma ad oggi non si può non considerare il grande impatto che tutto l’album ha avuto nel lungo periodo.
La scalata di Fabri Fibra riporta grande attenzione (e inevitabili grandi critiche) sul rap, riattivando l’interesse dell’industria musicale verso l’hip-hop. Negli stessi anni ad accompagnare il suo successo troviamo anche la band milanese dei Club Dogo, per parlare di questo è necessario però un piccolo passo indietro, tornando al 1999. Nello stesso anno del primo disco degli Uomini di Mare esce anche “3 MC’s al cubo”. Un album realizzato da Corvo D’Argento, Il Guercio e Fame. Qualcuno tra questi nomi dovrebbe suggerirvi qualcosa, poiché parliamo dei futuri Dargen D’Amico, Guè (conosciuto anche come Guè Pequeno) e Jake La Furia. Gli ultimi due, uniti al producer Don Joe, creeranno quindi i Club Dogo.
Marchiata 2003 è l’uscita di “Mi Fist”, il primo anno della band, che fin dall’inizio attira le luci dei riflettori verso il trio, dopo l’album “Penna capitale” arriva quindi l’esordio in major con “Vile denaro”, da quel momento il successo dei Club Dogo procede a gonfie vele. Tutti i componenti del trio, Guè su tutti, seguiranno successivamente sempre più strade separate, portando una sorta di separazione della band tra il 2015 e il 2017. Il cane a tre teste tornerà a ringhiare solo nel 2024, con l’album “Club Dogo” e un leggendario tour di dieci date sold out all’Unipol Forum e una data evento allo Stadio San Siro.
La nuova parte della rubrica è solo all’inizio, ci vediamo settimana prossima!
Mattia Cantarutti
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