A tu per tu con il cantautore emiliano, per parlare del suo nuovo EP intitolato “Gli amori del superuomo“
“Cecilia”, “Mariagrazia” e “Lucia”, questi i titoli degli ultimi tre singoli pubblicati da Richi Rossini, brani che verranno inclusi in un EP che potremmo considerare una sorta di concept (mini) album. In occasione di questa interessante uscita, ospitiamo l’artista parmense per approfondire la conoscenza della sua personale visione musicale.
Ciao Riccardo, benvenuto. Partiamo da “Gli amori del superuomo”, cosa rappresenta esattamente per te questo progetto?
«È una dedica a Nietzsche, mi sono immaginato il suo superuomo, ormai stanco dei piaceri comuni e mi sono chiesto che cosa potesse ancora stimolarlo. Da li è uscito un EP di 3 brani».
“Cecilia”, “Mariagrazia” e “Lucia”, tre canzoni che portano nomi di donna, cosa hai voluto raccontare attraverso questi pezzi?
«Hanno tutte e 3 nomi di donna ma sono metaforiche. Rappresentano appunto i 3 amori del superuomo. “Cecilia” (da Santa Cecilia, protettrice dei musicisti) è dedicata alla musica e in particolare modo alla possibilità di portarla sempre con noi grazie alla tecnologia, “Mariagrazia” al poliamore e “Lucia” (da “Lucy in the Sky with Diamonds” dei Beatles) è dedicata all’alterazione della percezione».
C’è un verso che, secondo te, rappresenta e sintetizza al meglio il senso di ciascun brano?
«”Ti porterò sempre con me” per “Cecilia”; “Oggi noi ci siamo persi, persi davvero” per “Mariagazia”; “Lei trionferà o forse già lo ha fatto tempo fa” per “Lucia”».
Facciamo un salto indietro nel tempo, come e quando hai scoperto la tua passione per la musica?
«Al conservatorio di Parma. Un giorno litigai con il mio insegnante e lui uscì dalla porta. Rimasi io e il piano, inizia a schiacciare qualche nota, in un attimo avevo composto un giro e la mia mente iniziò a volare, da li decisi di non suonare più brani di altri».
Quali ascolti hanno influenzato e accompagnato il tuo percorso?
«Le fonti principali provengono dal periodo impressionista di Debussy, Erik Satie ecc… come dal cantautorato italiano e dall’elettronica inglese e francese. Conservo nelle mie corde anche il brit-pop che mi ha accompagnato da ragazzino».
In questo ultimo periodo stiamo vivendo una situazione inedita a livello mondiale, l’emergenza sanitaria nei confronti della diffusione del Covid-19 sta mutando la nostra quotidianità. Tu, personalmente, come stai vivendo questa situazione così delicata e inedita?
«Devo confidarti che in qualche modo sono abituato alla “vita da quarantena”, in pratica vivo in studio e suono e lavoro a distanza. Nel tempo libero mi ritrovo a riflettere e contemplare, che è un qualcosa che pensavo di avere perso».
Se dovessimo trovare un aspetto positivo da tutta questa situazione, in cosa lo individueresti?
«Non so come e quando ne usciremo ma sono convinto che questo periodo ci renderà tutti un pochino più sensibili e magari anche collettivisti».
Per concludere, a chi si rivolge oggi la tua musica e a chi ti piacerebbe arrivare?
«Mi piacerebbe instaurare un rapporto con chi mi ascolta. I grandi numeri li trovo sterili e non mi interessano. Un sogno nel cassetto, che viene anche dalla mia passione per la psicologia, sarebbe quello di creare degli eventi sia musicali che di formazione, in modo tale da lasciare a chi verrà, una vera e propria esperienza di vita».
© foto di Anastasia Pavlova
© foto di Ilaria Forno
Nico Donvito
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