A tu per tu con il giovane artista milanese, in uscita con il suo singolo d’esordio intitolato “Sottovoce“
Debutto discografico per Alberto Rivolta, in arte semplicemente Rivolta, cantautore classe ’95, in uscita con il singolo “Sottovoce“, disponibile in radio e in digitale dallo scorso 17 luglio. Approfondiamone insieme i dettagli.
Ciao Alberto, benvenuto. Partiamo dal tuo singolo d’esordio “Sottovoce”, cosa rappresenta per te questo biglietto da visita musicale?
«“Sottovoce” per me rappresenta la possibilità di poter finalmente voltare pagina. È una canzone che ho fortemente cercato per tirarmi fuori da un loop in cui ero fermo da anni. Le mie insicurezze mi avevano portato a non avere più fiducia in me stesso e a non riuscire più a esprimermi liberamente, annullando completamente la mia personalità. Voglio che questo sia per me un nuovo inizio, un’esperienza che mi possa aiutare a non ricadere più nei dubbi e nelle paure del passato».
Quali riflessioni e quali stati d’animo ti hanno accompagnato durante la fase di scrittura di questo pezzo?
«Mentirei se dicessi che è andato tutto liscio, è stato un po’ come salire sulle montagne russe. Il desiderio, quasi viscerale, di tirare fuori tutto si contrapponeva con l’ansia di ritrovarmi faccia a faccia con me stesso. Per fortuna non sono tornato sui miei passi, ho dato libero sfogo ai miei sentimenti, raccontando anche di situazioni che mi avevano fatto stare male in passato. Alla fine è stata una vera e propria liberazione, la foga ha dato spazio al sollievo di poter dire “finalmente ho fatto quello che volevo fare da tempo”».
C’è una frase che, secondo te, rappresenta e sintetizza al meglio il senso della canzone? Se sì, perchè?
«La prima che mi viene in mente è “Non voglio più parlare sottovoce”. È una frase semplice e “completa” già da sola, ma che riassume perfettamente tutto quello che ho detto fino ad ora. “Voglio gridarti in faccia che ci sono“ e “Voglio sentirmi sempre forte e chiaro”, vanno poi a ricalcare il fatto che non ho più alcuna intenzione di tenermi sempre tutto dentro. Credo che anche “Lo giuro ho un solo difetto, cioè che non sono perfetto” possa rientrare nella categoria. Anche questa è una frase semplice, ma ho voluto inserirla per ricordarmi sempre che non devo più lasciare che i miei difetti mi condizionino la vita».
Dal punto di vista musicale, che tipo di sonorità hai voluto abbracciare?
«In questo brano ho voluto sentirmi libero anche per quello che riguarda l’accostamento delle influenze musicali. C’è una componente elettronica data da synth e voci processate, che si mischia a strumenti “analogici” come chitarre acustiche, fiati e archi. Questi tre strumenti in particolare strizzano l’occhio alle sonorità del tango argentino, che vanno poi a completarsi nel disegno della ritmica e nella scelta di utilizzare percussioni tipiche della musica sudamericana. Mi piaceva l’idea di creare una specie di “tango 2.0”, per questo gli elementi prima indicati si fondono con un mondo più moderno, dato da un beatmaking associabile al mondo della musica urban».
Facciamo un breve salto nel tempo, quando e come ti sei avvicinato alla musica?
«La musica ha sempre fatto parte della mia vita. Associo i primi ricordi che ho di mia madre alla musica, per intenderci, dato che ha sempre lasciato la radio accesa in casa. Ho ereditato da lei la passione per la musica; ricordo che ho stressato pesantemente i miei genitori affinché mi regalassero la mia prima chitarra, arrivata poi per il mio dodicesimo compleanno.
Il mio percorso quindi è iniziato come chitarrista, nel corso degli anni ho suonato in un paio di band e fatto qualche serata con loro nei pochi locali di musica dal vivo che rimangono a Milano. Parallelamente a questo, ho continuato a coltivare la passione per lo scrivere canzoni, finché a un certo punto ho capito che era quello che volevo fare nella vita. Da lì in poi ho deciso di investire le mie energie nella creazione di un percorso da solista».
Quali ascolti hanno accompagnato e ispirato il tuo percorso?
«Da piccolo mi sono innamorato perdutamente del cantautorato italiano, ho ascoltato tantissimo Vecchioni e De Gregori. Mi sono avvicinato poi alla musica pop e, successivamente, anche al mondo della musica hip hop e urban. Gli artisti italiani che mi ispirano maggiormente, oltre a quelli già elencati, sono Ligabue, Jovanotti e Tiziano Ferro. Del mondo hip hop invece, direi Fabri Fibra, Salmo e Marracash in primo luogo, per arrivare poi a Massimo Pericolo e Rancore. Ascolto anche tantissima musica americana e inglese, partendo dai classici come Eric Clapton e B.B King, fino ad arrivare ad artisti come John Mayer, Ed Sheeran e Post Malone».
Quali sono i tuoi obiettivi per il futuro e/o sogni nel cassetto?
«Ho vari obiettivi e sogni nel cassetto, la maggior parte dei quali riguardano il mondo della musica. Spero davvero di poterli realizzare un giorno, ma fino a quel momento temo che li terrò solo per me… sono una persona molto scaramantica! Scherzi a parte, posso dire che il mio più grande sogno è sicuramente quello di fare della musica il mio lavoro. Mi ha sempre animato il desiderio di poter vivere della mia più grande passione, suonare in giro, conoscere nuovi posti e nuove persone grazie alle mie canzoni».
Per concludere, a chi si rivolge oggi la tua musica e a chi desideri arrivare in futuro?
«La prima cosa che ho detto è stata quanto Sottovoce mi abbia aiutato a crescere e trovare finalmente il coraggio di mettermi in gioco. Direi quindi che la mia musica ora si rivolge a me, nel senso che è un qualcosa che mi aiuta a fare i conti con me stesso. Spero che in un futuro, anche non troppo prossimo, possa arrivare ad altre persone che hanno condiviso situazioni di vita ed esperienze simili alla mia, ma non solo. La bellezza dello scrivere canzoni in fondo è questa, prendere un piccolo pezzo di sé, delle proprie esperienze e sensazioni, e condividerle con altri. Per allacciarmi alla domanda sui sogni, potrei veramente ritenermi soddisfatto se qualcuno, ascoltando un mio pezzo, potesse ritrovarci dentro qualcosa di suo».
Nico Donvito
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