Rocco Hunt: “Questo ritorno a Sanremo ha un sapore speciale” – INTERVISTA

Rocco Hunt

A tu per tu con Rocco Hunt, alla vigilia del ritorno a Sanremo 2025 con “Mille vote ancora”. La nostra intervista all’artista salernitano che partecipa al Festival per la terza volta

Rocco Hunt, in gara al prossimo Festival di Sanremo ci racconta in questa intervista le sue sensazioni alla vigilia del ritorno sul palco del teatro Ariston in gara con “Mille vote ancora”.

Un brano che unisce urban e melodia, lingua italiana e napoletana, un testo di mancanze e denuncia sociale con sonorità da rap mediterraneo. La produzione è firmata da Zef e dai Room9, mentre il testo parla della nostalgia agrodolce che prova chi ha dovuto lasciare la propria terra, un luogo non semplice, pieno di difficoltà e contraddizioni ma dove si desidera tornare mille volte ancora.

Rocco Hunt torna sul palco dell’Ariston per la terza volta dopo aver trionfato nel 2014 nella sezione Nuove Proposte con il brano “Nu juorno buono” e aver gareggiato tra i big nel 2016 con “Wake up”. Ecco cosa ci ha raccontato.

Rocco Hunt racconta “Mille vote ancora” e il suo ritorno a Sanremo, l’intervista

“Mille vote ancora” è il titolo della canzone che stai per presentare al Festival, che sapore ha per te questo pezzo e che sapore ha per te questo ritorno?

«Questo ritorno ha un sapore speciale, perché arriva dopo nove anni dal mio ultimo Sanremo e sono cambiate un po’ di cose. È cambiata la musica in generale, per cui penso sia giusto mettersi in gioco. Voglio portare una mia nuova versione, un’evoluzione di Rocco Hunt, però allo stesso tempo restare fedele alle tradizioni, a ciò che ho fatto su quel palco. È arrivata la canzone giusta, perché “Mille vote ancora” è un brano speciale, emozionante e che ha di certo un buon sapore».

Il brano parla dell’affetto che si prova per la propria terra, anche quando si è lontani. Per certi versi, sembra quasi un sequel di “Nu juorno buono”. Cosa hanno in comune per te queste due canzoni?

«La cosa che io cercavo in “Mille vote ancora” era provare a ripetere l’emozione che ha suscitato in me “Nu juorno buono”. C’è un fil rouge tra queste due canzoni che è sottile, in quel pezzo del 2014 cantavo de “l’addore d”o cafè”, che oggi è quasi scomparso, considerando che ormai esistono le macchinette con le cialde. In questa nuova canzone, quasi mi lamento che non si sente più l’odore del caffè. Quindi a distanza di undici anni, c’è sicuramente questo punto comune, anche se questa volta c’è un velo di nostalgia che accompagna la narrazione».

Dicevamo che a Saremo ci torni dopo nove anni, l’ultima volta della statua del 2016 con “Wake up” ed è strano a pensarci visto che sei un po’ figlio del Festival. È stata una coincidenza o una scelta ben precisa?

«È stata una scelta, non mi sono mai proposto a nessun direttore artistico in questi anni, perché volevo essere contento del percorso che andavo a fare su quel palco. È chiaro che ci sono stati degli anni in cui ho fatto una musica un po’ più leggera per il grande pubblico, mi riferisco ai vari tormentoni estivi e non era quella la cosa che volevo portare a Sanremo, perché essendoci già stato con due canzoni che affrontavano entrambe dei temi sociali, volevo tornarci con un pezzo che avesse quello stesso sapore lì denuncia. Torno al Festival cantando di un disagio territoriale che mi tocca da vicino, ma che non riguarda solo i ragazzi della mia terra, ma forse un po’ la mia generazione».

In questi anni, Sanremo è cambiato moltissimo, ma rimani l’unico artista al momento ad aver vinto il Festival con un brano rap. All’epoca, eri anche tra i pochi esponenti di quel mondo che si affacciavano su questo palco, mentre quest’anno possiamo dire che sei in bella compagnia: un artista su tre proviene dal tuo stesso mondo. Come ti spieghi questo fenomeno?

«Sai, il rap è cresciuto come genere ed è diventato a pieno titolo mainstream. Allo stesso tempo, però, Sanremo si è aperto anche un po’ le classifiche, ai gusti della nuova generazione, grazie al lavoro fatto prima da Carlo Conti nei suoi Festival e proseguito poi da Amadeus, che ha ringiovanito tanto i generi presenti su quel palco. Devo dire che il rap si è anche contaminato, proprio com’è successo in America, il luogo dove è nato, possiamo dire che non si tratta più dello stesso genere degli anni ’90, si è evoluto. Anche i rapper più duri hanno contaminato la loro musica con qualche ritornello un po’ più largo e qualche featuring più pop. Dall’altra parte Sanremo è diventato un Festival open minded, nel senso che il pubblico ha oggi la possibilità di riconoscersi in più generi».

Per concludere, c’è uno slogan che in realtà è una domanda e che nessuno è mai riuscito a dare una risposta: “Perché Sanremo e Sanremo”. Tu che idea ti sei fatto?

«Io penso che Sanremo rappresenta in toto l’Italia, è come dire il corpo umano senza un organo fondamentale. Il Festival rappresenta sia la bellezza che anche le fragilità del nostro Paese, le contraddizioni. È forse una delle poche cose, a parte la Nazionale Italiana di calcio, che ci tiene uniti. Quando partecipai la prima volta nel 2014, non c’era l’hype di adesso. Molti miei colleghi mi dicevano: “ma che vai a fare a Sanremo?”. Oggi, invece, artisti di tutti i generi sognano di partecipare al Festival. Proprio per questo, sono orgoglioso e onorato di aver trovato il mio posticino all’interno di questo cast e spero di rendere giustizia alla storia anche mia su quel palco».

Scritto da Nico Donvito
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