Romina Falconi: “Sono il paziente tipo, non l’eroina da copertina” – INTERVISTA

A tu per tu con Romina Falconi per parlare del suo nuovo album “Rottincuore”, fuori da venerdì 16 maggio. La nostra intervista all’ispirata cantautrice romana
Dimenticate il pop patinato, quello dei sorrisi Instagram e delle frasi da biscotto della fortuna. Con “Rottincuore“, Romina Falconi spalanca le porte di un concept album che somiglia più a una seduta di psicanalisi che a una playlist da aperitivo.
È il suo terzo disco, ma suona come un nuovo debutto, coraggioso e senza filtri: un viaggio tra vizi, disturbi, fragilità e identità fuori dalla comune norma, in cui ogni canzone diventa una confessione emotiva. Non si cerca l’assoluzione, semmai la comprensione. E in questo “inferno con vista panoramica sulle nostre magagne”, Romina accompagna l’ascoltatore con la dolcezza di chi ha imparato a convivere con i propri mostri e ha deciso, per una volta, di fargli fare un giro in piazza.
Un po’ come Quasimodo quando scappa dalla sua gabbia dorata di Notre-Dame per prendere parte alla festa dei folli. Qui con noi in questa intervista non c’è Victor Hugo tramite seduta spiritica, bensì Romina Falconi in carne, ossa e tutta la sua voglia di raccontare e raccontarsi.
Romina Falconi racconta il disco “Rottincuore”, l’intervista
“Rottincuore” è un album che hai annunciato da tempo. Ora che l’uscita è davvero imminente, quali sono i tuoi stati d’animo?
«Ho avuto tanta paura di chiudere questo cerchio che mi accompagna da cinque anni. Avevo timore di cosa sarebbe successo il giorno dopo, quando non avrei più avuto il disco a cui aggrapparmi quotidianamente. Ma ora, a pochi giorni dall’uscita, mi sento pronta a condividerlo, a godermelo insieme a chi ha scelto di volermi bene. Sai meglio di me che essere indipendenti è temerario, è libertà ma anche tanta solitudine. E in quella solitudine ci ho sguazzato per scrivere queste canzoni. Solo così ho potuto raccontare l’ombra. E ti dirò: il coraggio viene proprio da lì, dai momenti bui».
Hai sempre definito il pop come un genere rassicurante, ma in “Rottincuore” non c’è nulla di patinato. È un album che va controcorrente. Perché hai scelto di stare proprio lì, tra le crepe?
«Perché sono convinta che siano proprio le crepe a renderci veri. Il pop oggi è spesso “impomatato”, come dico io: ci mostra vincenti e sorridenti. Ma a livello d’ansia, da uno a dieci, io non sono Margherita Buy. Al massimo posso raccontarti i miei turbamenti e le mie ferite. E spero che qualcuno, là fuori, si ritrovi nei miei stessi stati d’animo».
La tua musica non giudica il dolore, lo accoglie e lo accarezza. Quanto è stato importante il dialogo con te stessa per scrivere le tracce di questo disco?
«Importantissimo. Questo disco nasce da un pozzo di dubbi. Avevo bisogno di risposte, e invece scrivendo mi sono venute ancora più domande. Ho iniziato a studiare psicologia, non per rubare il mestiere a nessuno, ma perché avevo bisogno di capire cosa mi abitava dentro. E con l’aiuto di amici psichiatri e psicologi, ho cercato di trasformare le mie ombre in personaggi. Io non voglio essere educativa, non sono un esempio. Sono piuttosto il paziente tipo».
“Rottincuore” è anche un titolo fortissimo, sia evocativo che provocatorio. In perfetto Falconi style. Qual è, per te, l’identikit di una persona dal cuore rotto?
«Una persona che non si è mai risparmiata, che ha avuto una rissa interiore con i propri mostri. Il problema è che quei mostri non sempre riesci a cacciarli. Alcuni ti restano dentro tutta la vita. E tutto parte dall’infanzia: se non ricevi la giusta dose d’amore nei primi anni, ti programmi male. Cresci associando l’amore alla fatica, alla sopportazione. Quando poi incontri qualcuno che ti ama in modo sano, non lo riconosci nemmeno. È questo il cuore rotto: un’anima che cerca l’amore, ma lo cerca nei posti sbagliati perché così è stata programmata».
Ogni brano del disco è legato a un “peccatore”, un’anima ai margini. Come li hai scelti? Sono reali, immaginari o una proiezione di te?
«Tutti proiettiamo. È così che funziona la mente. Vedi negli altri ciò che non riesci a vedere in te. I personaggi del disco sono ombre che ho conosciuto da vicino, alcune le ho odiate all’inizio, poi ho provato a mettermi nei loro panni. Ed è un esercizio che consiglio a tutti: provare a raccontare una persona diversissima da te, che magari ti infastidisce. Scopri che dietro ogni spigolo c’è una storia, un clima affettivo freddo, un dolore. E invece di giudicare, cominci a comprendere».
Prima hai parlato dell’importanza dell’infanzia. Se potessi incontrare la Romina adolescente, quella delle prime serate nei locali romani, cosa le diresti? E quale brano di “Rottincuore” le faresti ascoltare per dirle: “un giorno arriverai a fare questo”?
«Le direi: “impara a dire di no”. Perché il vero atto d’amore verso sé stessi, a volte, è un no. E le farei ascoltare “Rottincuore Lacrimosa”, la prima traccia, che è il testamento di tutti i miei peccatori. Lì c’è tutto. Le direi anche di sbagliare, e di sbagliare forte. Non facendo male agli altri, ma sulla propria pelle. Perché la vita è una sola, e i rimpianti fanno più male dei fallimenti. Ah, e poi le farei ascoltare anche “Sono felice”, perché io ho sempre avuto la sindrome di Pollyanna: cercare il positivo anche quando crolla tutto. Ma a volte quella luce può diventare una carezza anche per chi non riesce a spiegarsi certe cose».
E ora che il disco esce, cosa ti auguri di raccogliere da questo viaggio?
«Mi auguro che venga capito. Anche se va contro le regole, anche se è ruvido. Perché ogni tanto andare contro le regole è bellissimo. E non vedo l’ora di portarlo dal vivo, che è la mia dimensione preferita: lì il personaggio è più forte della persona».
Romina, grazie. Ci rivediamo presto per approfondire ancora di più questo lavoro ricco e multidisciplinare, pieno zeppo di cose da raccontare. Urge un secondo tempo con tanto di recupero. Considerala una promessa…
«Grazie a te. E sì, ci vediamo presto. Anche perché dopo cinque anni, quando esce un disco così importante per me, non esce mai davvero una volta sola».