A tu per tu con il collettivo pugliese, in uscita con il singolo “Logorato” realizzato con Papa Ricky e ‘O Zulù
Accoglienza senza più discriminazione, questo il motto dei Salento All Stars, gruppo di artisti impegnato nel sociale e nella divulgazione di una musica di contenuto, che sappia coniugare qualità veicolando messaggi importanti e culturalmente utili. “Logorato” è il titolo del loro nuovo singolo che vanta la doppia importante collaborazione con Papa Ricky e ‘O Zulu. Approfondiamo la loro conoscenza e scopriamo insieme i sani valori di questo interessante progetto.
Partiamo dal voi, chi sono i Salento All Stars?
«I Salento All Stars, sono un collettivo di artisti salentini dove convergono le esperienze e le attitudini dei musicisti della nostra terra. Sonorità che arrivano dalla musica popolare o dal reggae, dal rock o dal raggamuffin e si fondono in una cosa sola, dalla matrice tipicamente salentina».
“Logorato” é il titolo del vostro ultimo singolo, cosa rappresenta per voi?
«“Logorato” parte da lontano. Arriva dal 1992 quando Papa Ricky incide “Comu t’a cumbenatu”, brano che parla di disagio generazionale e che conquista tutti. Lui firma un contratto con Virgin e si attesta a punto di riferimento per le generazioni future, ritorna da Bologna nel Salento e lo incendia dando il via a tutta la scena musicale nostrana per la quale in tanti adesso ci definiscono “la Giamaica d’Italia”. “Logorato” rappresenta tutto ciò, è il giusto riconoscimento a Papa Ricky, uno degli artisti che maggiormente ha influenzato la musica Made in Salento.
Se oggi esistono i Salento All Stars, i Sud Sound System o i Boomdabash, lo devono anche a lui. Noi abbiamo totalmente riscritto la canzone nelle musiche insieme a Peppe Levanto, Alessandro Monteduro, Michele Russo e Giuseppe Anglano e nelle parole insieme a Plata, ‘0 Zulù e lo stesso Papa Ricky, per celebrare questo brano così importante per tutti il raggamuffin italiano».
Come sono nate le collaborazioni con Papa Ricky e ‘O Zulù?
«In realtà con Papa Ricky ci si conosce da tanto, spesso lui interviene nei nostri concerti. E’ un maestro e da qualche mese girava l’idea di mettere mani a “Logorato“, un tributo al pioniere del raggamuffin. Con ‘O Zulù ci siamo qualche volta incrociati sul palco e quando gli abbiamo prosposto questa collaborazione dove si celebra Papa Ricky del quale è amico ed estimatore, lui è stato felice di intervenire marchiando il brano con quelle rime senza peli sulla lingua tipiche dei suoi 99 Posse».
Nel testo di “Logorato” toccate alcune corde sensibili dell’attuale scenario sociale italiano, l’incoerenza e l’intolleranza verso persone di culture differenti. Qual è il vostro pensiero a riguardo?
«In questa fase storica il ritornello di “Logorato”, il tormentone “Comu t’a cumbenatu, mamma mia comu t’a cumbenatu” risulta di un’attualità incredibile, fotografa perfettamente la condizione dell’italiano medio. Italiano che ha dimenticato di essere stato emigrante in ogni angolo del globo tramutandosi da vittima in carnefice, intollerante, razzista e xenofobo verso quelle popolazioni di migranti che sono disposti a tutto pur di coltivare la speranza di un futuro migliore per loro ed i loro figli. Attraversano deserti, vengono segregati, seviziati, abusati, torturati e sfruttati in campi libici prima di poter mettere il loro fondoschiena su imbarcazioni fatiscenti con milioni di metri cubi di mare sotto di loro.
Mare che spesso si trasforma in cimitero e quando non lo fa è anche grazie ad ONG come Sea-Watch (con la quale abbiamo collaborato per la realizzazione del videoclip) che riescono a tirare a bordo questi dimenticati da Dio e dagli Uomini, in attesa di un porto che li faccia sbarcare. Rappresenta la nostra posizione sullo scenario sociale italiano, dice da che parte stiamo. Noi siamo con chi auspica un futuro migliore, dove c’è una sola razza, quella Umana senza distinzione di colore di pelle, sesso e condizione sociale. Dove si aiuta chi ha bisogno e dove ci si contamina nella vita di tutti i giorni, nella cultura così come nella musica».
Cosa avete voluto trasmettere attraverso le immagini del videoclip ufficiale?
«Nei giorni in cui finivamo le incisioni del brano, balzavano alle cronache la vicenda della Sea-Watch con i 47 migranti a bordo per i quali il nostro Governo negava il consenso allo sbarco. Noi ci siamo subito sentiti molto vicini a loro perché fondamentalmente stavamo facendo la stessa cosa: noi con la musica e loro molto meglio proprio “sul campo”, in mare. Così è venuta l’idea di contattarli, fargli sentire il brano e chiedere una sorta di “collaborazione trasverale” per il videoclip.
Loro sono stati subito molto entusiasti, ci hanno aperto il loro archivio video con minuti e minuti di girato in mare ed a bordo. Scene incredibili di gente strappata alle onde, di occhi e volti di chi lotta aggrappato alla speranza di un futuro migliore. Noi abbiamo voluto trasmettere tutto questo soprattutto a chi assuefatto dai social e dalla Playstation, pensa che la questione migranti sia qualcosa di virtuale. Le immagini di “Logorato” non sono frutto di ricostruzione scenica, sono vere e ci sbattono in faccia che nel Mediterraneo si sta consumando un nuovo Olocausto».
Facciamo un passo indietro, come vi siete conosciuti e quando avete deciso di mettere insieme le forze e creare questo vostro collettivo?
«La storia dei Salento è atipica. Nascono in studio nel 2014 quando Davide QbA Apollonio decide di reincidere “Salentu, lu sule lu mare, lu jentu” per il ventennale dalla sua stesura, brano da lui scritto e reso famoso durante i suoi trascorsi negli Après la Classe. Chiama a raccolta 14 musicisti per realizzarlo ed il progetto piace subito moltissimo. Così decide di realizzare con questa forma del collettivo musicale un intero album. Da lì partono anche i live e si affina il feeling con alcuni musicisti che restano più stabilmente nel nucleo del progetto. Primo su tutti Alfredo Quaranta voce dei Granma, che rappresenta il filo conduttore sia nei dischi in studio che dal vivo sul palco».
Quali ascolti vi hanno ispirato?
«Il suono dei Salento è veramente un meltin’pot dove riecheggiano tante sfumature musicali, ispirate a quello che negli anni abbiamo ascoltato. Innanzitutto la nostra musica popolare, ma poi anche il punk irriverente dei Sex Pistols, lo ska e la sperimentazione dei Casino Royale, la personalità dei CCCP e CSI, il reggae di Bob Marley e la musica balcanica che negli anni ’90 è arrivata sulle nostre coste con la migrazione delle popolazioni albanesi».
Ci sono degli artisti con cui vi stimolerebbe collaborare in futuro?
«A noi piace metterci in gioco nelle collaborazioni, mettendo insieme artisti che arrivano da scene musicali anche molto diverse tra loro. Per stima in quello che fa, ci piacerebbe fare qualcosa insieme a Daniele Silvestri ma è accattivante anche l’idea di mettere sui nostri riffs un cavallo pazzo come Achille Lauro».
Vi sentite rappresentati da ciò che passa oggi in radio?
«Sicuramente non dalle radio commerciali che sottostanno ai giochetti delle lobby discografiche. Ci sono poi alcune “isole felici” come per esempio anche il “servizio pubblico” dove anche se in piccole dosi è possibile ascoltare Musica e non prodotti musicali».
Per concludere, quale messaggio vi piacerebbe trasmettere, oggi, attraverso la vostra musica?
«Che la vita di ogni persona vale allo stesso modo, sia bianco che nero, sia uomo che donna, sia direttore di banca che elemosinante all’uscita dal supermercato».
Nico Donvito
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