Durissima, ironica, appassionata e infuocata arringa del noto giornalista e critico musicale italiano
Scandurra, da molti considerato il Beppe Grillo della critica musicale italiana (“Ma ho sempre avuto un debole anche per le agguerrite arringhe di chi sa argomentare e dire quel che pensa, fottendosene della forma in nome della forza della verità, come fa da sempre il grande Vittorio Sgarbi“, sorride il brillante giornalista), così commenta il cast di Sanremo 2018: “Ogni volta che, dal dopo Baudo a oggi, ascolto il proclama della lista dei candidati a Sanremo, mi viene il vomito: per la grande gioia delle case farmaceutiche, per la qual cura della patologia in oggetto – scherzando – sono un più che ottimo cliente. C’è più gente all’Ariston quest’anno che Re Magi e accoliti ansiosi di conoscere Gesù nella grotta di Betlemme: pazzesco! Incredibile dictu!“.
Claudio Baglioni e la ‘Sony Music’
Prosegue Scandurra: “Abbiamo già assistito a Sanremo 2017 al triste siparietto contiano dello strapotere della ‘Sony Music’, la casa discografica (se, ricordo bene, con più di 10) artisti BIG allora in gara. La storia, ora, si ripete: anche se – fortunatamente – con numeri diversi. È assurdo e indecoroso rilevare come Claudio Baglioni, presunta garanzia di spessore artistico che faceva presumere il ritorno di Campioni degni di tal nome e da troppo tempo assenti dalle scene, si sia di fatto invece piegato alle ”esigenze imprenditoriali” della ‘Sony Music’, etichetta rispettabile con cui collabora da lungo tempo, fatto per il quale rilevo un “leggero” conflitto d’interessi. “Esigenze imprenditoriali” – ironicamente e rispettosamente inteso, s’intende – quali il cercare di rivitalizzare artisti e progetti che alla nota major del disco (così come anche alle altre, sia chiaro) costerebbero – probabilmente, suppongo, penso, con beneficio del dubbio – molto di più in termini di penali e indennizzi economici e altrettante clausole vessatorie da rispettare nei confronti dei cantanti scritturati se quei dischi programmati non uscissero sul mercato. E, allora, tanto vale provare a farli, quei dischi, no? Tanto c’è Sanremo che ci salva. Tanto, al massimo, se li puppano i poveri italiani a Sanremo! Come dire, se dobbiamo spendere obbligatoriamente perchè lo prevede un accordo scritto, spendiamo pure…e che Dio ce la mandi buona!”.
Case discografiche: troppi ‘non artisti’ sotto contratto da gestire, ma poche risorse umane
Scandurra rincara la dose, e prende a picconate il sistema: “Ma la gente, fortunatamente, non è scema. Lo stesso dicasi per ‘Warner’, ‘Sugar’, ‘Carosello’, ‘BMG Rights Management’ e ‘Universal Music’: dico sempre che questi, ahiloro, sono gli ultimi, miserrimi stipendi di una classe di discografici incapaci a fare i grandi numeri come una volta. Tutta la musica italiana non fattura neanche 160 milioni di euro tra circa 80 principali etichette, mentre il totale dell’incasso lordo del settore di chi produce campane, in Italia (in tutto, poco più di una decina di aziende) è decisamente più alto: è musica anche quella! E migliore nonchè gradita a Dio, soprattutto, che non è poco. Per di più, fa bene allo spirito e all’anima, oltre che alle orecchie. Le campane, contrariamente alla credenza popolare, sono lo strumento musicale più intonato al mondo: lo stesso, ahimè, non posso dire dei cantanti dei Sanremo degli ultimi 7 anni. Le campane sono ultracentenarie: la maggior parte delle canzoni degli ultimi Sanremo, invece, la gente le ha già scordate da tempo. E’ chiara la differenza?”.
Rappers e youtubers eliminati dal cast? Era ora!
Aggiunge Maurizio Scandurra: “Del cast apprezzo solo una cosa: il fatto che in gara non ci sia finalmente un rapper e/o uno youtuber (era ora che andassero fuori dai coglioni!). Congiuntamente al fatto che, comunque, il buon Baglioni abbia cercato di traghettare in gara il maggior numero di artisti possibili, circa 26 big in 20 posti: al prezzo, però, di combinazioni e accrocchi improbabili in forma duo o trio di sconosciuti, e gente di nicchia ansiosa di ritornare – o di esserci, per la prima volta – che fatica a mettere insieme il pranzo con la cena. Figuriamoci a vendere dischi. Aspetto la messa in vendita all’incanto delle sedi della major e delle principali etichette per poterle acquistare e trasformare debitamente e ben più utilmente in ricetti per i profughi e altrettante mense per i poveri, o case di spiritualità”.
Il fallimento della musica italiana di oggi
Dichiara infine il noto giornalista: “Ricordo, infine, che nel 2007 Milva interpretò splendidamente a Sanremo, nella toccante ‘The show must go on’ (titolo memorabile e caro anche al grande Freddie Mercury dei Queen) parole profetiche frutto del genio artistico prematuramente spentosi del compianto e immenso Giorgio Faletti: “Gli artisti falliti sono fuori dal gioco/non ci sono mai stati o ci son stati per poco (…)”: è il caso di Sanremo 2018. Idem dicasi per i poveretti della discografia: incapaci – i più di loro – anche di fare le pulizie in bagno e in cucina senza lasciare aloni. Per fortuna che, per quest’ultimo aspetto, c’è il sempreverde ‘CIF candeggina’! Buona ‘musica’ a tutti”, conclude divertito il sempre dissacrante e altrettanto arguto Maurizio Scandurra.
Ilario Luisetto
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