Il racconto della serata d’esordio della kermesse in tutte le sue contraddizioni
Una prima serata tra paradossi e contrasti, quella del 73° Festival di Sanremo, che si apre con l’alto spessore civico dell’omaggio di Roberto Benigni alla bellezza della Costituzione italiana, ancora più intenso perché onorato dalla presenza del Presidente della Repubblica.
Questa ouverture non trova coerenza drammaturgica nella parte restante della serata: le canzoni paiono guarnire un intrattenimento sciapo e con poco ritmo, inverso nelle proporzioni a quanto ci si aspetterebbe da una kermesse canora. Abbiamo ancora bisogno di messaggi incisi sugli abiti per richiamare all’importanza della libertà di pensarsi liberi, se poi è necessario giustificarci con un monologo sulla dinamica dei sogni? Non dovremmo, invece, sentirci persone più libere di altre per averli realizzati, senza il bisogno di convincere ulteriormente?
Capacità personali e quel ‘tocco’ di fortuna, che fa la differenza nei risultati, evidentemente non sono sempre sufficienti, se la libertà di essere e di fare si confonde con quella di infrangere gli schemi, sempre e comunque. Si può inneggiare all’arte come mezzo di emancipazione, di bellezza e di elevazione spirituale e lasciare poi, che si compiano azioni simbolicamente distruttive, innescate dalla rabbia per un problema tecnico, o chissà in parte programmato, nel luogo più sacro della musica italiana?
È il diario di un Sanremo appena decollato, con qualche incertezza e che, magari, troverà il modo per correggere il tiro e fissare priorità: prima fra tutte, il bisogno di essere una grande festa senza altro intento educativo. Diversamente, ha messo in luce le contraddizioni e le fratture di generazioni a confronto, dove per un giovane Blanco che sporca c’è un veterano Morandi che riordina e pulisce… e per fortuna!
Francesco Penta
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